Haiti un "anno" dopo: un "abbraccio" nuovo
Qui, perché il "filo" non si
spezzi
e perché questo è
"Paradiso"
«Per che cosa si continua a "lavorare"? Per Cristo!».
SR.
MARCELLA CATOZZA
("Avvenire",
14/1/’11)
È passato un
anno.
Tempo di bilanci sembrerebbe, tempo per guardarsi indietro e dire cosa si è
fatto e cosa non si è fatto, chi ha lavorato bene e chi no, di chi i meriti e
di chi le colpe.
A noi del "Vilaj Italyen"
di Haiti non interessa guardare
indietro, vogliamo guardare avanti e per farlo capiamo che dobbiamo guardare all’istante
che oggi ci è dato di vivere.
E così... guardiamo all’oggi, chiedendoci cosa ci ha tenuto qui in questi
lunghi mesi, cosa ci ha fatto muovere sfidando l’impossibile della
ricostruzione di un Paese da sempre
devastato, cosa ci muove oggi davanti agli alti e bassi del Colera.
E perché continuiamo a proporre ai nostri amici di aiutarci e continuiamo, su
un "immondezzaio" che sembrerebbe non aver futuro, a vivere le
giornate con la nostra gente, indicando una strada, una speranza, un abbraccio
nuovo.
Guardando il volto della mia gente, fermandomi a parlare con loro o prendendo in
braccio i loro bimbi sporchi e nudi, è come se mi fosse data la possibilità di
ripartire ogni giorno dall’unica ragione che può tenere una persona qui: la
generosità ed il "buonismo" finiscono in fretta in un posto così.
Per cosa si resta e si continua a credere che anche qui sia possibile l’esperienza
di felicità per l’uomo? Per Cristo, per
l’"Unico" che questa condizione umana l’ha abbracciata come
compito e l’ha vissuta fino in fondo, non rifiutando nulla di ciò che
comportava.
Quale speranza avrebbe questa gente fuori dall’abbraccio di Cristo al proprio
destino? Volti polverosi, consumati dalla fatica e dal dolore, senza una storia
e senza un futuro. Volti che vagano nella notte in attesa non sanno neanche di
cosa o di chi.
Volti che potrebbero gridare al tradimento, all’inganno. Perché nascere
quaggiù custodendo nel cuore la promessa di felicità e il desiderio di buono,
bello, giusto, può sembrare un inganno.
E se poi ti travolge un Terremoto, vivi
in una "Tendopoli", vedi
morire i tuoi figli di fame, i tuoi amici di Colera, beh, allora l’inganno
diventa insopportabile ed il grido diventa rabbia e tutto viene distorto perché
staccato dall’origine.
Allora non si resta qui a dire che bisogna essere buoni e che c’è soluzione a
tutto, battendo una pacca sulla spalla e dicendo: "Coraggio!". Si resta
qui perché l’"Origine" riaccada per questa gente, perché il filo
non si spezzi, perché Cristo possa usare della nostra povera umanità per
abbracciare i suoi figli nel dolore. Ieri una Suora che è venuta a trovarci,
vedendomi circondata dai miei ragazzi, mi ha detto: «Ma tu qui sei in
"Paradiso"!». Sì, sono in "Paradiso": si resta qui per
questo!