Anche in Thailandia
il
"dialogo" resta l’unica via
Bernardo
Cervellera
("Avvenire",
8/4/’10)
Per la quarta volta in
meno di due anni, la Thailandia
ha dichiarato lo "stato d’emergenza" e la "legge
marziale". Essa però non vale per tutto il "Paese", ma solo per Bangkok
e per alcuni distretti vicini. Anche la sua applicazione è un po’ curiosa.
Annunciandola alla televisione, il "premier" Abhisit Vejjajiva ha
precisato come «ciò non significhi che vogliamo soffocare o colpire la gente,
soprattutto le persone "innocenti"», ma serve soprattutto a
"rettificare" la situazione delle "proteste".
La decisione di varare la "legge marziale" deriva dall’alta tensione
a cui hanno portato le "manifestazioni" delle "camicie
rosse", che dal 12 Marzo bloccano il centro della "capitale" e
che ieri sono riuscite a penetrare fino nel "Parlamento", dove si
stavano discutendo norme sulla "sicurezza". Ma sono arrivati quando il
"dibattito" era finito. Vero è che il "premier" – che da
giorni vive in una "caserma", circondato da "militari" –
è dovuto fuggire da un’uscita "secondaria". Altri
"deputati" hanno scavalcato il "muro di cinta" con una
"scala a pioli" e altri sono stati recuperati da un elicottero della
"polizia". I "capi" del "movimento" si sono subito
dissociati dal gesto e hanno promesso che continueranno la loro
"lotta" senza "violenza". La situazione sembra essere quella
di una "guerra" in cui nessuno vuole "strafare", non vuole
né vincere né perdere.
Le "camicie rosse" hanno l’obiettivo dichiarato di rovesciare il
"Governo" in carica. Fedeli all’"ex-premier" in "esilio"
Thaksin Shinawatra e sostenuti dal "partito" d’"opposizione",
"Udd", denunciano l’"illegittimità" dell’"esecutivo"
guidato da Abhisit, salito al "potere" in seguito a un "colpo di stato"
"militare", con la seguente cacciata di Thaksin nel 2006. Nel 2008,
furono le "camicie gialle" – i "sostenitori" di Abhisit
– a volere le "elezioni" per cacciare il "partito" di
Thaksin, che fu sconfitto soltanto perché messo "fuori-legge" con
motivazioni "strumentali". Ora sono i "sostenitori" del
"leader" allontanato a volere le "elezioni" entro il 13
Aprile, festa del "Capodanno Thailandese". Il "premier" in
carica ha cercato di "dialogare" rimandando il "voto" alla
fine dell’anno, ma le "camicie rosse" non accettano questo
"compromesso".
Il "movimento" di "opposizione" raccoglie soprattutto
contadini e "poveri" delle città, i "beneficiari" dalla
"politica populista", ma efficace, di Thaksin:
"investimenti" nelle campagne, "sanità gratuita" o a basso
costo, "economia rampante"... Questo spiega la tenacia delle loro
"dimostrazioni", durante le quali sono giunti fino a versare per
"protesta" davanti al "Parlamento" migliaia di litri di
"sangue", raccolto con "donazioni" di massa.
D’altra parte Thaksin, per rendere più efficiente il suo "Governo",
aveva avocato a sé molti "poteri" e la "classi medie
urbane", come pure le "personalità" attorno al "Re" e
i "militari", hanno cominciato a sentire la "stretta". Per
questo la sua "cacciata" e l’"ascesa" di Abhisit hanno
avuto il favore dell’"esercito", da sempre interlocutore del
"potere" in Thailandia. Il fatto curioso di quest’oggi è che il
"Capo" delle "Forze Armate", Anupong Paojinda, ha dichiarato
di voler escludere il ricorso alla forza contro i "manifestanti",
rendendo forse vana l’imposizione della "legge marziale" voluta da
Abhisit. Nella "scacchiera thailandese" rimane il vecchio e malato
"Re" Bhumibol, di 83 anni, riferimento ideale per tutti, in passato
spesso intervenuto per restaurare la "democrazia", anche se non
disdegna di tanto in tanto le "dittature militari". È probabile che
la "crisi" tra "gialli" e "rossi" non si sani
proprio perché il "Sovrano" non riesce più a intervenire in modo
efficace. La "successione dinastica" peraltro sembra terrorizzare gli
stessi "Thai", timorosi che qualcuno dei figli – giudicati
"incapaci" e "violenti" – possa prendere il
"potere".
Senza l’intervento del "deus ex-machina", l’unica possibilità di
risolvere la "crisi" è quella del "dialogo" fra le due
parti. Ed è quanto domandano da tempo le "gerarchie"
"cattoliche" e "buddhiste" del "Paese".