MISSIONE SPERANZA

Il "dolore" e il "grido"

RITAGLI     E noi apriamo le nostre "palme" vuote     SEGUENTE

HAITI: RACCOLTA FONDI "CARITAS" - "CEI"

HAITI: PROGETTO DI AIUTO DELLA "FONDAZIONE PIME ONLUS" - MILANO

Maurizio Barcaro: Haiti due Anni dopo!

HAITI: LETTERA "MGM" - GENOVA

Testimonianza dei giovani di Genova sulla Missione di Haiti...

Preghiamo insieme ai nostri fratelli Haitiani: Grazie, o Dio!

ONLUS "MESÌ MESÌ" : www.mesianpil.it ("Emergenza Colera").

Messaggio Papa Benedetto XVI per Primo Anniversario Terremoto di Haiti

Messaggio Papa Francesco per Quinto Anniversario Terremoto di Haiti

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La Cattedrale di Haiti, subito dopo il terremoto! Crocifisso ancora in piedi, accanto a crolli e distruzione... Tra le macerie, il Palazzo Presidenziale della capitale!

Davide Rondoni
("Avvenire", 14/1/’10)

La "tragedia" di Haiti lascia senza fiato. Gigantesca. Più di quanto si immaginava. Il numero delle "vittime" imprecisato, si parla di decine e decine di migliaia. In una parte di un’isola già povera e provata da "miseria" e fatica di vivere, si è abbattuta una "sventura" che lascia attoniti. Come se a sventura si aggiungesse sventura in un "baratro" senza fondo. Haiti, nome "esotico" e di buia "miseria". Nome di "terra lontana". Di popolo provato e povero. E il fiato non si sa dove prenderlo. Se metti la faccia tra le mani, il respiro non torna. E se anche ti volti da un’altra parte, il respiro non torna. E se ancora maledici i "terremoti", non torna. Come non tornano le decine di migliaia di "innocenti". I bambini e le donne. Come non tornano i "sepolti vivi".
Un "raddoppiamento" di male. Di sventura. Un raddoppiamento di "catastrofe". Una insistenza del dolore e della mancanza di fiato. Come se nessun "perché" gridato in faccia a nessuno e nemmeno gridato in faccia al "cielo" potesse esaurire lo sconforto, e la durezza che impietrisce davanti al disastro e alle immagini di disastro. Nessun "perché" rigirato nelle mani, nessuna domanda ricacciata in gola, può esaurire l’"inquietudine". Una doppia "ingiustizia". Una moltiplicata sventura. Anche il cuore più sordo sente il grido di questa sventura. Anche il cuore più duro si crepa davanti alla morte che domina così apertamente, così sfacciatamente. Anche l’anima che non "sospira" mai, sente il fiato che si tira. Il fiato che non arriva. Il fiato che si rompe.
Quasi non si arriva nemmeno alla domanda, lecita, urgente di cosa si può fare, di fronte a questa "tragedia". Quasi non si arriva a formulare nessuna domanda su cosa fare, perché si rimane inchiodati a una domanda più forte, più radicale: cosa possiamo essere? Sì, insomma, cosa si è, cosa è essere uomini davanti a questi eventi? Perché sembra quasi che ogni forza nostra, ogni umana "dignità" siano annullate. "Radiate". Come se esser uomini davanti a tali "tragedie" sia quasi una cosa "grottesca". Tappi di sughero nel mare in tempesta. Formiche in balìa della "strage", come diceva Leopardi di fronte al "Vesuvio" sterminatore.
Da dove riprendere fiato, umanità, "dignità" davanti a tale "strage"? Non c’è altra possibilità: davanti a questo genere di cose, o si prega o si maledice Dio. O si è "credenti" o si diventa "contro" Dio. Una delle due. E se il "cristiano" dice di esser quello che prega, invece di esser l’uomo che maledice, non lo fa per "sentimentalismo". Non lo fa per "comodità". Anzi, è più scomodo. Molto più scomodo. Ma più vero. Perché quando il "mistero" della vita sovrasta – nella sventura come nelle grandi gioie – è più vero aprire le "palme" vuote, o piene di "calcinacci" o di sangue dei fratelli e dire: tienili nelle Tue braccia. Tienili nel Tuo cuore. Perché noi non riusciamo a conservare nemmeno ciò che amiamo. Perché la vita è più grande di noi, ci eccede da ogni parte, e la morte è un momento di "eccedenza" della vita. Un momento in cui la vita tocca fisicamente il suo "mistero".
La natura non è Dio. In natura esistono anche i "disastri". Come gli "spettacoli" e gli "incanti". Ma la natura non è Dio. Non preghiamo la natura, che ha pregi e difetti, come ogni "creatura". Preghiamo Dio "Creatore" di abbracciare il destino delle "vittime". Il destino triste di questi fratelli. Che valgono per Lui come il più ricco "Re" morto anziano e sereno nel proprio letto. Che ci ricordano, nel loro dolore, che non siamo padroni del "destino".