( Don Ezio Del Favero )
C'era una
volta una grossa candela: «Sono una candela di cera purissima. La mia luce è
migliore di quella di tutte le altre candele e dura più a lungo. Il mio posto
sarebbe in un candeliere d'argento!».
Una candela più semplice la udì e rispose: «Io invece sono soltanto una
povera candela fatta col grasso animale, ma mi consolo pensando che sono più di
un lumino. I lumini li fondono una volta sola, io invece sono stata fusa otto
volte e sono diventata più spessa. Essere di cera è più aristocratico: le
candele di cera le mettono sui lampadari, in salotto; io invece resto in cucina,
ma anche lì è un posto rispettabile!».
La candela di cera affermò: «Io sono più importante! Questa sera ci sarà un
ballo e sono certa che mi tireranno fuori per la serata di gala e mi faranno
risplendere!».
Quel pomeriggio la padrona di casa prese le candele di cera e le portò in
salotto. Poi prese la candela di grasso e si recò in cucina dove la stava
aspettando un ragazzo povero con un paniere pieno di patate e di mele: «Eccoti
anche una candela! La tua mamma lavora fino a tardi e questa le servirà». La
figlia della padrona, sentendo dire «fino a tardi», esclamò gioiosamente:
«Starò alzata fino a tardi anch'io, stasera; si ballerà e io mi metterò nei
capelli dei nastri rossi grandi così!». Il viso della bambina era raggiante di
felicità e i suoi occhi risplendevano più intensamente di ogni candela.
Poi il ragazzo se ne andò col cestello pieno. La candela pensò: «Ed ora, dove
andrò mai a finire? Certamente a casa di povera gente, dove non avrò neppure
un candelabro di ottone, invece la mia compagna di cera se ne starà sicuramente
in un candeliere d'argento!».
Il ragazzo giunse in una casa povera dove viveva una vedova con i suoi tre
figli. Abitavano tutti in una cameretta situata di fronte alla ricca dimora. La
madre esclamò: «Dio benedica la buona signora per i suoi regali! Oh, che bella
candela! Potrò lavorare fino a tardi stanotte».
E la candela fu accesa. «Mi hanno accesa con uno zolfanello di scarto!»,
pensò.
Anche nella casa dei ricchi si accendevano le candele e il loro splendore
giungeva fino alle case circostanti. La candela pensò agli occhi della figlia
della signora: «Certo non vedrò più degli occhi così brillanti!». In quel
momento entrò la bimba più piccola della vedova e, guardando il cestello,
disse con gioia: «Stasera mangeremo patate!». La candela notò che il suo
visino era radioso ed esprimeva la stessa felicità del volto della bimba nella
casa ricca quando aveva esclamato: «Starò alzata fino a tardi, stasera...».
Quella sera, nella casa della vedova, fu apparecchiata la tavola e le patate
furono divorate di gusto: una vera cena di festa. Alla fine tutti ebbero una
mela e la bimba recitò la preghiera: «Signore, ti ringrazio perché ci hai
dato da mangiare stasera!». Poi i bambini andarono a letto, felici, e la mamma
cominciò a cucire al lume di candela.
Dalla dimora dei ricchi, oltre ai suoni dell'orchestra, giungeva la luce delle
candele di cera. Le stelle rifulgevano sopra le case dei ricchi come quelle dei
poveri.
«Dopo tutto - esclamò la candela di grasso - è stata una serata eccezionale.
Chissà se la candela di cera, dentro il candeliere d'argento, è contenta
quanto me!».
Proviamo gioia
quando ci sacrifichiamo
per raggiungere la felicità e fare felici gli altri.
L'autentica
felicità si lascia scoprire nella semplicità,
nella genuinità, nella giustezza,
nella verità, nella creazione, nella generosità, nelle persone...