VOCI DALLA GUINEA    La menzogna della guerra    IL RITORNO DI PADRE DAVIDE

La ricerca di Dio fonda la pace autentica.
L'ho vissuto in prima persona in Guinea Bissau negli anni del conflitto.

P. Davide, ai microfoni di Radio Sol Mansi (Mansoa).

P. Davide Sciocco
("Mondo e Missione", Gennaio 2006)

Leggo il messaggio del Papa per la Giornata mondiale della pace con gli occhi di chi ha vissuto in Africa, in Guinea Bissau, per dodici anni, metà dei quali segnati dalla guerra civile e dalle sue conseguenze. «Nella verità, la pace» offre moltissimi spunti di riflessione, proprio a partire dal suo contrario: «La menzogna della guerra».
In Guinea, la guerra del 1998 è scoppiata per la menzogna di chiamare «combattenti per la libertà della patria» un gruppo che ha guidato una rivolta nata per una lotta di potere personale tra il destituito capo dell’esercito e il presidente; a nessuno dei due interessava il bene della patria. La conseguenza è stata la guerra e poi l’instabilità, che perdura fino ad oggi. Una menzogna ha dato avvio alla guerra in Iraq, in Repubblica Democratica del Congo e così via. Al contrario, dice il messaggio, «il riconoscimento della piena verità di Dio è condizione previa e indispensabile per il consolidamento della verità della pace».
Insieme alla mia giovane comunità cristiana in Guinea Bissau ho vissuto la difficile ma splendida avventura che la ricerca di Dio fonda la costruzione della pace. Un anno prima dello scoppio della guerra, il consiglio parrocchiale decise di aiutare la realizzazione di una scuola di Corano, nella convinzione che una profonda conoscenza della propria religione serve la pace: durante la guerra, cristiani e musulmani furono fianco a fianco nell’aiuto degli sfollati. E il giorno dell’inaugurazione della nostra chiesa, l’imam locale ha affermato: «Siamo felici per questa chiesa, perché sappiamo che è dalla preghiera in questo luogo che nascono le tante iniziative per il bene della nostra gente, che aiutate senza fare differenze».
Un equilibrio difficile, questo del dialogo, così come il consolidamento della pace, un tema troppo presto dimenticato dai media e dai politici. A ragione il Papa richiama l’attenzione sul fatto che ci sono molte popolazioni «di talune regioni dell’Africa e dell’Asia, che da anni attendono il positivo concludersi degli avviati percorsi di pacificazione e di riconciliazione». Persistono, invece, le guerre dimenticate (pensiamo al nord Uganda) e le paci lasciate a se stesse, in balìa di governanti che, come dice il Papa, «invece di porre in atto quanto è in loro potere per promuovere efficacemente la pace, fomentano nei cittadini sentimenti di ostilità verso altre nazioni… e mettono a repentaglio, in regioni particolarmente a rischio, i delicati equilibri raggiunti a prezzo di faticosi negoziati».
Troppo poco si investe per la pace, e infinitamente tanto si investe nelle armi. Scoppiato il conflitto in Guinea Bissau, per settimane abbiamo chiesto inutilmente che si aprissero corridoi per gli aiuti umanitari, arrivati poi con il contagocce, mentre quarantotto ore sono bastate al presidente perché si aprisse la frontiera per l’arrivo di truppe estere, compresi militari europei.
A chi ha vissuto sulla propria pelle la devastazione della guerra non può che dare conforto l’invito del Papa, solo apparentemente scontato e idealistico, di spendere meno in armi e di più per lo sviluppo: «La comunità internazionale sappia ritrovare il coraggio e la saggezza di rilanciare in maniera convinta e congiunta il disarmo, dando concreta applicazione al diritto alla pace, che è di ogni uomo e di ogni popolo…. I primi a trarre vantaggio da una decisa scelta per il disarmo saranno i Paesi poveri, che reclamano giustamente, dopo tante promesse, l’attuazione concreta del diritto allo sviluppo». Su questo impegno per il controllo del commercio delle armi e reali aiuti per lo sviluppo, i cattolici dovrebbero mobilitarsi in prima persona, ed essere esigenti nei confronti dei programmi dei politici, così come giustamente lo sono per i temi del rispetto della vita e della famiglia.