In 400mila
hanno lasciato le proprie abitazioni dall’inizio dell’anno.
I rifugiati sono accampati alla meno peggio in insediamenti precari.
Ban Ki-moon: «Irrealistico mandare i "caschi blu"».
L’esodo in
Somalia: via in 175mila in due settimane, quasi un milione di sfollati.
Il Paese è ridotto in macerie.
La domanda di acqua e cibo è in costante aumento, scarse le condizioni
igieniche.
Ma l’aiuto dell’"Acnur" è insufficiente. Continuano intanto
scontri e violenze.
"Raid" delle forze etiopi nella città contro i miliziani: settanta i
morti.
Paolo
M. Alfieri
("Avvenire",
15/11/’07)
È un flusso costante, un’"emorragia"
umana ininterrotta quella che abbandona, sfiduciata e atterrita, una Mogadiscio
sempre più violenta. «Ormai stanno fuggendo tutti. Anche quelli che non hanno
un posto dove andare», racconta Yusuf, padre di tre figli, riparato ad Afgooye,
una cittadina a ovest della capitale somala.
«Mogadiscio ha vissuto tanti momenti drammatici in passato, ma non ho mai
assistito a violenze tanto efferate e continue quanto negli ultimi tempi –
prosegue Yusuf – . È un inferno. Non so descrivere bene quello che si prova
ad ascoltare, impauriti, l’eco di un colpo di mortaio. So solo che quando sono
scappato ho dovuto farlo per non rischiare la vita».
Le parole di Yusuf potrebbero essere quelle delle migliaia di altri profughi che
hanno abbandonato Mogadiscio sotto la furia dei combattimenti tra i militari
etiopici (che sostengono le autorità somale) e i ribelli "islamisti"
spalleggiati da "clan" e "sottoclan" locali, ostili sia al
presidente Abdullahi Yusuf che alla stessa presenza delle truppe di Addis Abeba
nel Paese. L’"Alto Commissariato Onu per i rifugiati" ("Acnur")
stima in 24mila gli sfollati dell’ultima settimana, ma il dato sale a 175mila
se si considerano le ultime due settimane e addirittura a 400mila dall’inizio
del 2007. Senza contare che il totale degli sfollati interni in tutta la Somalia
ha ormai raggiunto quota 850mila. Dati certi non esistono, perché si tratta di
"stime"; inoltre fonti somale parlano di una cifra ormai vicina se non superiore
al milione se si considera il dato complessivo di oltre trent’anni di
anarchia.
Numeri dietro ai quali si celano volti, persone. Storie intrise di sofferenza,
paura, sconforto. Fonti "Onu" che nello scorso fine settimana hanno
raggiunto Afgooye, punto di arrivo di quasi metà dei nuovi profughi, hanno
testimoniato delle condizioni estremamente dure nelle quali vivono gli sfollati,
accampati alla meno peggio in insediamenti precari. Anche i servizi approntati
di recente nella zona dalle agenzie umanitarie sono messi sotto pressione dal
nuovo flusso umano che si riversa qui dalla capitale. La domanda di acqua, cibo
e medicine è in costante aumento. «Le condizioni igieniche continuano a essere
scarse, facendo aumentare il timore di un’epidemia di colera – sottolinea l’"Acnur"
– . Anche lo stato nutrizionale dei bambini desta preoccupazione». Le
tensioni in corso non facilitano il lavoro degli operatori umanitari. Anche ieri
sono continuati a Mogadiscio per tutta la giornata i "rastrellamenti" delle forze
etiopiche, decise a sconfiggere i ribelli. Le truppe di Addis Abeba (che hanno
anche chiuso tre stazioni radio indipendenti) sono state accusate dalla
popolazione di aver aperto il fuoco negli ultimi giorni anche contro i civili,
colpendo zone affollate come il mercato di Bakara. Un comportamento che
costituirebbe una rappresaglia per l’uccisione di dieci soldati etiopici, i
cui corpi senza vita erano stati trascinati dai miliziani per le strade di
Mogadiscio. Da qui l’intensificarsi degli scontri, che ha causato oltre 70
vittime, in gran parte civili.
Contribuiscono peraltro a questo quadro di instabilità le lotte di potere che
si stanno consumando per la nomina del nuovo "premier" (che
sostituirà Mohamed Ali Gedi, dimessosi due settimane fa) da parte del
presidente Yusuf. Da parte sua il segretario generale delle "Nazioni
Unite", Ban Ki-moon, ha definito nei giorni scorsi «irrealistico e non
attuabile», a causa delle forti tensioni in corso, uno schieramento di "peacekeeper"
"Onu" in Somalia. Altre opzioni, secondo Ban, andrebbero prese in
considerazione, incluso l’impegno di un’eventuale «coalizione di
volenterosi». Da mesi, ormai, l’"Unione africana" ha deciso l’invio
in Somalia di 8mila "peacekeepers". Ma ad oggi soltanto 1.600 militari
ugandesi, con risultati inconsistenti, hanno fatto il loro arrivo in un Paese
precipitato sempre più nel baratro.