Appello
di Benedetto XVI alla comunità internazionale,
«affinché si trovino soluzioni di pace e si rechi assistenza a quella cara
popolazione».
Incoraggiati dal Papa «gli sforzi di quanti, pur nell’insicurezza e nel
disagio,
rimangono nel Paese per portare aiuto e sollievo».
Piccoli eventi di speranza, come la nascita di una bimba in un ospedale di "Msf".
La situazione politica resta ingarbugliata,
mentre non si fermano i combattimenti,
che hanno spopolato la martoriata capitale Mogadiscio.
"Imbavagliati" i mezzi di informazione.
Il presidente Yusuf ha nominato un nuovo "premier": il colonnello di
polizia Nuur Adde.
Un
milione gli sfollati. C’è chi tenta di resistere.
Agghiaccianti i dati dell’"Alto commissariato Onu per i rifugiati":
ormai un abitante su nove ha lasciato la propria casa.
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Paolo
M. Alfieri
("Avvenire",
22/11/’07)
Benedetto XVI, che segue «con trepidazione le dolorose notizie circa la precaria situazione umanitaria della Somalia, specialmente a Mogadiscio, sempre più afflitta dall’insicurezza sociale e dalla povertà», ha voluto incoraggiare ieri «gli sforzi di quanti, pur nell’insicurezza e nel disagio, rimangono in Somalia per portare aiuto e sollievo agli abitanti». Lo ha fatto al termine dell’"Udienza generale", rivolgendo un appello «a quanti hanno responsabilità politiche, a livello locale e internazionale, affinché si trovino soluzioni pacifiche e si rechi sollievo a quella cara popolazione». Il richiamo forte è alla comunità politica mondiale perché contribuisca a porre fine alla violenza in un Paese nel quale gli scontri hanno costretto un milione di persone ad abbandonare le proprie case.
È una lenta, drammatica
agonia quella in cui si dibatte la città di Mogadiscio, simbolo di una Somalia
che sta attraversando una delle peggiori crisi della sua storia. Gli scontri tra
le opposte fazioni (militari etiopici filo-governativi da un lato, estremisti
islamici e "clan" ribelli dall’altro) hanno provocato nelle ultime settimane un
esodo dalla capitale senza precedenti. Gli ultimi dati forniti dall’"Alto
commissariato Onu per i rifugiati" ("Acnur") evidenziano come
ormai il numero degli sfollati interni dell’intera Somalia abbia raggiunto
quota un milione, su una popolazione totale di nove milioni di persone. In
seicentomila hanno abbandonato Mogadiscio nel solo 2007, un terzo dei quali
nelle ultime due settimane. Quella dell’"Acnur" è la radiografia di
un popolo in fuga, costretto a lasciare ogni proprio avere e ad avventurarsi con
mezzi di fortuna verso l’ignoto, pur di sottrarsi a insicurezza e violenze.
Per loro, per questa massa di disperati in cerca di un qualsiasi aiuto, si
prodigano senza sosta le poche organizzazioni umanitarie internazionali e locali
che ancora riescono, con grossi sacrifici e correndo anche rischi non
indifferenti, a portare il loro sostegno nel Corno d’Africa. Sarà perché la
speranza, la generosità, la voglia di non arrendersi di fronte allo "sfacelo" è
più forte di qualsiasi altra considerazione. Sarà perché è proprio in
Somalia, Paese attraversato da un’anarchia lunga ormai più di quindici anni,
che i miracoli possono essere più visibili che altrove. Anche la nascita di una
bambina, allora, come quella avvenuta l’altro giorno nella clinica gestita da
"Medici senza frontiere" nella zona di Lafoole, diventa un potente simbolo di vita
e di speranza per un popolo allo sbando. È Afgooye, una trentina di chilometri
da Mogadiscio, la località nella quale gli operatori umanitari stanno
maggiormente concentrando i loro sforzi. Distribuiscono acqua, cibo, medicine,
coperte. Cercano di curare i feriti e di restituire il sorriso sui volti dei
bambini. Non è raro, però, che gli sfollati siano costretti a versare parte
degli aiuti ricevuti e somme di denaro a dei "guardiani", individui
che si considerano, illegalmente, "gestori" di alcuni insediamenti. Su
questo aspetto gli operatori umanitari sono impotenti. La loro azione appare
anzi tutt’altro che favorita dalle autorità somale, che cercano di evitare
che si diffonda all’estero l’immagine della crisi, ridimensionando le
necessità della popolazione.
Un esempio per tutti: dopo aver ordinato nei giorni scorsi la chiusura delle 4
radio indipendenti attive a Mogadiscio, il sindaco della capitale ha messo al
bando ieri una delle più importanti organizzazioni somale per i diritti umani,
l’"Elman", che aveva da poco stilato un bilancio di 469 morti, in
gran parte civili, negli scontri delle ultime sei settimane. Da parte sua il
presidente Abdullahi Yusuf, chiamato a risolvere la crisi di governo iniziata
tre settimane fa con le dimissioni dell’ex "premier" Mohamed Ali
Gedi, ha fatto ieri il nome di Nuur Adde, 70enne ex colonnello di polizia, per
la carica di nuovo primo ministro. La sua nomina dovrà però essere approvata
dal Parlamento somalo, che potrebbe andare al voto già entro questa settimana.
A lui, se confermato dal "sì" dei deputati, spetterà l’arduo compito di
allentare le tensioni nel Paese e di ridare fiducia a una popolazione stremata
da anni di violenze e fallimenti politici. «Speriamo che la notizia, giunta da
fonti diplomatiche italiane a Nairobi – ha commentato il viceministro degli
Esteri con delega alla "Cooperazione", Patrizia Sentinelli – sia un
passo positivo verso la stabilizzazione e la riconciliazione somala». Il
colonnello Nuur, ha aggiunto, «sembra che sia apprezzato dalle diverse anime in
conflitto, e anche dall’opposizione». Il nuovo "premier", ha riferito il nostro
viceministro, proviene dall’esperienza umanitaria e ha ricoperto importanti
incarichi all’interno della "Mezzaluna Rossa" somala. Sentinelli ha
ribadito la sua «disponibilità, personale e come membro del governo italiano a
ulteriori approfondimenti con le autorità di transizione».