Dal Congo
In quel
voto un’ostinata volontà di voltare pagina.
Chiara Castellani*
("Mondo e Missione", Ottobre 2006)
Aspettavamo da giorni, con
ansia, i vaccini contro la polio. E, invece, è arrivato il materiale
elettorale. Era la sera del 20 luglio, a Kimbau si era già fatto buio.
Sbuffando fuliggine dopo tre giorni di viaggio, ecco il camion del seminario
minore di Katende, un vecchio Mann ridipinto di giallo. Alla guida papà Masisi,
e accanto a lui l’abbé Deogracias Poya, rappresentante della Chiesa cattolica
che la Commissione giustizia e pace della diocesi di Kenge ha nominato come
osservatore indipendente per le prime elezioni libere di Kimbau. Indipendente
perchè la Chiesa cattolica non ha voluto assumere uno schieramento partitico,
anzi ha preso le debite distanze anche dai sedicenti candidati
«democristiani». Una scelta assunta con coerenza fino in fondo, senza cedere a
compromessi.
Monsignor Gaspard Mudiso, il nostro vescovo, ha redatto ben tre lettere
pastorali sul tema delle elezioni. Nell’ultima, dell’11 luglio, in lingua
kikongo, dal titolo «Mono ta voter nani?» («Per chi votare?»), insiste su
una parola: luzitu, ossia l’atteggiamento di rispetto profondo per la dignità
e la libertà dell’altro che deve improntare tutti i rapporti umani, anche in
politica.
Il vescovo invita a diffidare dei discorsi retorici, ma a guardare ai fatti: non
c’è spazio, quindi, per chi si è fatto largo attraverso clientelismo,
nepotismo e la propaganda su base tribale.
Il camion giallo è passato nei villaggi sedi di seggio elettorale: Makiosi,
Mukata, Mangungu… Hanno deposto le urne e valanghe di scatoloni con quelle
schede chilometriche, parecchie pagine, difficili da comprendere per un popolo
di semi-analfabeti che non ha mai votato nella sua storia di 46 anni di
indipendenza.
La prima lista è quella dei candidati alla presidenza. Al numero 7 c’è l’attuale
presidente Joseph Kabila: i sostenitori lo chiamano l’uomo del dialogo, gli
avversari l’uomo dell’Occidente. Al numero 5 c’è l’anziano Antoine
Ginzenga, il rappresentante del Palu, il cui braccio armato, durante la rivolta
del Kwilu, fu Pierre Mulele. Rivolta sanguinaria contro un dittatore ancora più
sanguinario, rimasta però nella memoria collettiva con un alone romantico che
ha fatto convergere su di lui molti voti di protesta. C’è anche Pierre Pay
Pay, che fu già uomo di Mobutu, e lo stesso figlio di Mobutu, il dittatore che
in più di trent’anni di potere assoluto ha messo il Paese in ginocchio.
I miei amici congolesi erano in coda dalle sei del mattino. Indossavano i loro
abiti migliori; le donne avevano rifatto per l’occasione le treccine, e
avevano messo in testa i kitambala dello stesso colore vivace del pagne. Mi sono
entusiasmata nel vedere la partecipazione della povera gente a tutto il processo
elettorale e non solo al momento concreto delle elezioni. A dispetto delle
previsioni delle solite Cassandre, le operazioni di voto si sono svolte in un
ordine perfetto: dalle sei del mattino fino alle sei di sera, fra le sette file
davanti alla scuola elementare san Kizito, sede del seggio, non si è udita
volare una mosca. Il silenzio compostissimo era una lezione di dignità per noi
tutti. Mi sono riempita gli occhi di quello spettacolo che gridava al mondo la
loro ostinata volontà di pace e la maturità acquisita in anni di sofferenza.
«Io non so leggere, ma non sono stupida e so contare fino a cinque»,
dichiarava l’anziana nonna Lumengo a chi cercava di farle mettere la croce sul
nome di Kabila, quando lei aveva espresso il desiderio di votare per Ginzenga.
Questa volta i poveri si sono espressi secondo la loro volontà.
Le operazioni di scrutinio dei voti si sono svolte a Kenge dopo la mia partenza
per l’Italia, ma - mi hanno assicurato gli amici - sono state eque e
trasparenti: nonostante le limitazioni logistiche, l’organizzazione è
risultata adeguata e senza incidenti. E del resto non avevo mai avuto dubbi in
merito. Una severa lezione per gli afropessimisti! Sono in fondo le stesse
persone che non desideravano veramente elezioni libere in Congo, coloro a cui fa
comodo uno sfruttamento neocoloniale del Paese da parte delle potenze
occidentali e delle multinazionali. Coloro a cui fa comodo un Congo diviso ed
eternamente in guerra. Certo, un popolo non diventa democratico solo perchè
organizza delle elezioni: ma le elezioni restano la pietra miliare di tutto il
processo di consolidamento della pace e della democrazia in Repubblica
Democratica del Congo.
* Medico missionario in Congo