La dinamica Guangzhou, nel Sud industrializzato

RITAGLI   Canton: tre chiese per sei milioni   CINA

La capitale del Guangdong ci accoglie con la sua vivacità
e le contraddizioni di una metropoli in ebollizione.
Dove la Chiesa è una presenza nascosta. Ma non inerte.


Gerolamo Fazzini
("Mondo e Missione", Agosto-Settembre 2006)

A bordo di un treno comodo e veloce, provenienti da Hong Kong con destinazione Canton (Guangzhou, come dicono i cinesi), il benvenuto nella Cina continentale ce lo dà Shenzhen. Dai finestrini del treno la intuisci soltanto, la città artificiale, prototipo della «nuova Cina», costruita nell’arco di pochi anni e già ora abitata da quasi 10 milioni di persone. Eppure è sufficiente un colpo d’occhio per restare colpito dal dinamismo di un Paese sbilanciato in avanti, proiettato sul futuro. E per familiarizzare con alcuni elementi che ci accompagneranno per tutto il viaggio: la folla, i giovani, i cantieri.
Arrivati a Guangzhou, gli ingredienti sono gli stessi. La folla: la metropoli ha sei milioni di abitanti. I giovani: li vedi girare in bici, in moto, in metropolitana, molti vestiti all’occidentale. I cantieri: impossibile non notare le gru che sembrano prendere per mano i grattacieli dalle fondamenta o le impalcature fasciate da ponteggi in bambù. 
La modernità nelle sue varie forme, la globalizzazione, con il suo turbinio di novità esplosive, le contraddizioni di uno sviluppo sociale che ha allevato una classe di nuovi ricchi penalizzando un esercito di contadini, tutto questo a Guangzhou appare evidente a un occhio non distratto.
Da questo punto di vista, la prima tappa del viaggio anticipa un menù destinato a ripetersi, con infinite varianti, nelle successive: da un lato i giovani con l’I-Pod e occhiali alla moda, dall’altro mendicanti per strada (alcuni con evidenti tratti somatici tipici delle minoranze etniche). E gli anziani a presidiare - nel vestire e nelle abitudini - quel poco di tradizionale che resta.
In questa Cina in costante evoluzione, la Chiesa cattolica ci appare, fin da subito, una presenza assolutamente marginale, quasi residuale. Abituati al profilo dei campanili, è qualcosa di più di uno "shock" culturale scoprire che nella vasta Guangzhou sono registrate solo tre chiese, una delle quali è la cattedrale. Maestosa costruzione di stampo gotico, costruita a fine Ottocento, sarà restituita dai restauri in corso alla bellezza di un tempo.
Tre chiese. Poche, pochissime per la capitale del Guangdong, la regione più meridionale del Paese, che si estende sul delta del Fiume delle Perle, un’area dinamica e vivace che, pur priva del fascino cosmopolita che respireremo a Shanghai o dell’imponente solennità di Pechino, gioca tuttavia un ruolo cruciale.

La scarsità dei mezzi, la penuria di chiese e strutture ecclesiali sarà un ritornello che ci accompagnerà per tutto il viaggio ed è un tratto che contraddistingue la Chiesa cinese di oggi e ne condiziona pesantemente la missione. Le persecuzioni dell’epoca maoista e la limitazione della libertà religiosa che ancora oggi la Chiesa cattolica si trova a vivere (seppur in forme e con modalità diverse da zona a zona) hanno fatto sì che la comunità cattolica, nel suo complesso, si trovi in larga parte sguarnita a fronte delle sfide che è chiamata a vivere. Manca un’intera generazione di preti, falciata dalla repressione; la formazione culturale e teologica di clero e religiose è condotta tra mille difficoltà, spesso si rivela anacronistica o frammentaria.
Qualche numero, che fotografa la realtà di Guangzhou: prima del 1948 in diocesi c’erano 148 chiese, oggi - come detto - in città ve ne sono aperte soltanto 3. I preti erano 71 (41 cinesi, il resto stranieri); oggi sono una quindicina; le suore da 118 sono scese a 17. In tutta la regione del Guangdong, che conta oltre 86 milioni di persone, i cattolici sono 110 mila.

Chi, però, si aspettasse una comunità cattolica inerte e rassegnata si sbaglierebbe di grosso. Nel giro di poche ore, a Guangzhou incontriamo tre persone molto diverse fra loro, che rappresentano altrettanti volti di una comunità cristiana immersa in una società in profonda mutazione.
Padre Francesco Tan Tiande, classe 1916, è un patriarca della Chiesa locale. S’è fatto trent’anni di campi di lavoro per «attività controrivoluzionaria». Da quando - nel 1983 - è tornato in libertà, non si risparmia a servizio della sua gente: fa catechesi, confessa e quando può coglie l’occasione per portare la sua testimonianza di martirio.
Michael Cheung, invece, potrebbe essere, anagraficamente parlando, pronipote di padre Tan. Parla un inglese fluente, ha studiato in Australia e di professione è "marketing manager" di un grande hotel. Ci riceve in giacca e cravatta, l’auricolare del telefonino appeso al bavero. Ha meno di trent’anni, ma dimostra di sapere il fatto suo, anche in tema di fede. Da qualche tempo partecipa ad un’innovativa iniziativa di evangelizzazione, promossa da padre Gianni Giampietro del Pime. Quando gli impegni di lavoro glielo consentono, si unisce a un gruppo di coetanei di Hong Kong che portano in giro, per le comunità dei cinesi della diaspora diffuse in Estremo Oriente, uno spettacolo a sfondo religioso di musica, danze e coreografie, che punta a intercettare la sensibilità giovanile usando il linguaggio universale della bellezza.
A procurarci l’incontro con i due è Su Zhong, una signora di mezz’età, impiegata in un’azienda. Fervente cattolica, è impegnata principalmente nella catechesi, segue in particolare i catecumeni nella preparazione al battesimo. «Con lei la parrocchia ha cambiato faccia», giura un sacerdote che la conosce.
Ebbene, Su Zhong fa riferimento alla Chiesa «ufficiale», tuttavia è molto amica di padre Tan. Qui i nostri parametri cominciano a scricchiolare: ma come, cattolici clandestini e ufficiali non facevano parte di due gruppi (c’è chi pensa «fazioni») rigidamente distinti e fors’anche avversari? Le cose, in realtà, sono assai più complicate e interessanti.
Ci aveva messi sull’avviso
suor Betty Ann Maheu - anziana missionaria di origine statunitense, esperta di Cina - quando l’abbiamo incontrata, nel suo ufficio al terzo piano del Holy Spirit Centre di Hong Kong: «Per molti occidentali, l’approccio semplicistico alla questione della Chiesa cattolica in Cina è questo: la Chiesa ufficiale è patriottica, fedele al governo e non in comunione con il Santo Padre e la Chiesa universale. La Chiesa sotterranea, invece, è la Chiesa fedele e in comunione con il Santo Padre e la Chiesa universale. Tutto ciò è molto lontano dalla realtà». Avremo modo di constatare, lungo il viaggio, quanto vere siano queste parole, quanto assai sfumata e talora sfuggente sia la realtà vista da vicino.

Certo è che l’attività di evangelizzazione, in una realtà come Canton, è tutt’altro che semplice. Una visita sull’isoletta di Shamian, lo conferma. Qui, sulla riva del Fiume delle Perle dove gli inglesi posero le loro basi, sopravvive un quartiere dalle architetture coloniali. Nostra Signora di Lourdes è una piccola chiesa sul cui minuscolo sagrato un gruppetto di laici anima una catechesi biblica, non potendo uscire dal recinto perché le attività religiose possono essere esercitate solo nei luoghi registrati. Spiega una suorina che incontriamo casualmente in chiesa: «Talora, oltre ai fedeli cattolici, riusciamo a coinvolgere anche passanti casuali, che si incuriosiscono e vengono invitati all’interno».
In un contesto del genere la testimonianza della carità - tanto discreta nelle forme e nelle modalità, quanto eloquente nella sua qualità evangelica - rimane uno dei linguaggi possibili di annuncio del Vangelo nel contesto politico-religioso cinese. L’iniziativa più interessante nel campo della solidarietà si chiama Huiling. Avviata proprio qui a Guangzhou, è la prima ong nata in Cina, su iniziativa di cinesi, che operi in favore dei disabili. Dal 1990 a oggi si è sviluppata e ora assiste duecento disabili mentali in cinque centri specializzati e altrettante case-famiglia. Oltre che a Huangzhou, conta sedi a Xi’an, Pechino, Xining. 
Per vederne da vicino una, ci spingiamo in periferia, attraversando in autobus la città, che alterna grattacieli dal profilo avveniristico a quartieri degradati. In uno dei questi - dove l’asfalto slabbrato e inferriate arrugginite ci accolgono insieme a un miscuglio di odori penetranti -
padre Marazzi ci conduce a vedere l’appartamento che condivide con altri sei disabili adulti (una delle case-famiglia di Huiling) e un centro gestito dall’associazione, dove lavora un gruppo di handicappati.
Fondatrice e «anima» della ong è Meng Wei-na. Una donna tenace, cinquantenne (ora divorziata dal marito), che è stata in gioventù «guardia rossa» di Mao e si è poi convertita alla fede cristiana colpita dall’esempio di Madre Teresa. «Huiling opera nella convinzione che le persone con ritardo mentale hanno gli stessi diritti dei "normali" - spiega - e si impegna perché esse siano accettate e rispettate nella loro dignità». Un messaggio per molti aspetti rivoluzionario in Cina, dove fino a non molti anni fa le strutture dedicate alle persone con handicap erano pressoché inesistenti.

La fondatrice è cattolica, ma molte delle persone che lavorano o prestano volontariato in Huiling - non sono battezzate. Ivy Zhang è una di loro: racconta del suo impegno nell’associazione, della cura con cui le mamme seguono i ragazzi, della passione con la quale i volontari (alcuni venuti anche dall’estero) li seguono nei piccoli lavoretti.
Tutti segni concreti, per quanto piccoli, che mostrano come - accanto alla città del "business" - c’è uno spazio diverso, dove trovano casa coloro che altrimenti, nell’affannoso mondo degli uomini d’affari in completo grigio, non avrebbero cittadinanza.