La Chiesa combatte il sottosviluppo con l’educazione
La profezia della "Populorum
Progressio"
P. Piero Gheddo*
("Mondo e
Missione", Aprile 2007)
Nella Pasqua di 40 anni fa, il
26 marzo 1967, Paolo VI
firmava l’enciclica "Populorum
progressio", «per
la promozione e lo sviluppo dei popoli», esaltata anche nel Sud del mondo come
«la carta fondamentale dei poveri» e come «documento profetico». Ma la
profezia di Paolo VI non venne recepita nemmeno nell’Occidente cristiano e
ancor oggi è spesso ignorata.
La sua originalità emerge nel nostro tempo, quando nel mondo ricco verifichiamo
molta delusione riguardo allo sviluppo di certe aree del mondo (specie l’Africa
sub-sahariana, ma non solo) e non si sa più cosa fare per aiutare almeno i 34
Paesi che un recente Rapporto dell’ "Undp" (Programma Onu per lo sviluppo)
cataloga «in via di sottosviluppo». Infatti, negli ultimi 10-15 anni l’Onu
ha scoperto lo «sviluppo umano»: non basta la ricchezza (misurata dal Pil) per
dire che un Paese è «sviluppato», ci vogliono i valori umani e umanizzanti
come l’educazione, la democrazia, la libertà, il rispetto dei diritti dell’uomo,
la giustizia sociale; in base a questi, un Paese si può dire sviluppato o meno
o, addirittura, «in via di sottosviluppo» laddove la condizione umana sta
peggiorando, mentre il Pil magari aumenta. Era il monito di Paolo VI: «Non
separare l’economico dall’umano»!
Negli anni Sessanta, il mondo occidentale stava rendendosi conto della tragedia
di miliardi di uomini «sottosviluppati» e l’Onu chiedeva ai Paesi ricchi di
dare lo 0,7 per cento del Pil annuale al Sud del mondo. Pareva che mandando
soldi e macchine, costruendo industrie e sviluppando commerci, si potesse
facilmente assicurare lo sviluppo a tutti i popoli. La storia ha dimostrato
miopi quegli studi e ha sanzionato come disastrose le esperienze di quei Paesi
poveri (una ventina in Africa) che hanno sperimentato il «socialismo reale» o
comunismo. La profezia della "Populorum progressio" non stava nell’aver
ricordato, com’è giusto, i temi già discussi per vincere «l’unica guerra
lecita», quella contro la fame: destinazione universale dei beni, giustizia
internazionale, solidarietà fra i popoli, equità nelle relazioni commerciali,
finanziamenti dei «piani di sviluppo», le distorsioni del capitalismo e dei
movimenti rivoluzionari violenti, ecc.
Il contributo originale dell’enciclica è la prima parte, intitolata «Per uno
sviluppo integrale dell’uomo», secondo quanto diceva il filosofo cattolico
Jacques Maritain e il domenicano Louis-Joseph Lebret (fondatore di "Economie et
Humanisme"), entrambi citati nel testo. La "Populorum progressio" parte
dalle «aspirazioni degli uomini», parla dell’«opera dei missionari» (n.
12) per giungere alla «visione cristiana dello sviluppo» (n. 14) e suggerire
«l’ideale da perseguire»: «Il riconoscimento da parte dell’uomo dei
valori supremi e di Dio, che ne è la sorgente e il termine» (nn. 12-21). Poi
tratta il tema «verso un umanesimo plenario» (n. 42), affermando chiaramente
che «non c’è umanesimo vero se non aperto all’Assoluto... L’uomo non
realizza se stesso che trascendendosi, secondo l’espressione di Pascal:
"L’uomo supera infinitamente l’uomo"».
Quando comparve l’enciclica, il mondo cristiano perse un’occasione
formidabile per portare alla ribalta lo specifico cristiano del documento,
preferendo ripetere quello che già dicevano tutti. Nel 1972, all’Università
Cattolica di Piacenza si svolse una tre giorni di studio sulla "Populorum
progressio", alla quale ero invitato per una breve comunicazione sull’opera
dei missionari. Ma i temi principali erano i problemi economici, sociali,
politici, tecnici e commerciali del rapporto fra Nord e Sud. Solo la prima
relazione trattava della «teologia dello sviluppo» ma, essendo molto astratta,
nessuno la riprese. Il contributo davvero profetico di Paolo VI era ignorato.
Anche oggi ripetiamo più o meno lo stesso errore. Viviamo (e ne siamo più o
meno succubi) in un mondo secolarizzato, che va avanti come se Dio non esistesse
e questo porta a mettere ai margini le cause e le soluzioni autentiche del
sottosviluppo. Infatti, giovani Chiese e missionari non hanno il compito di
assicurare le leggi giuste del commercio internazionale e i finanziamenti
adeguati dei piani di sviluppo, quanto piuttosto di influire sulle cause
culturali, educative e religiose del sottosviluppo, attraverso i valori
umanizzanti di Cristo e del Vangelo. Però, anche nella stampa e animazione
missionaria, se ne parla poco o quasi mai.
*
Giornalista e scrittore
( www.gheddopiero.it
)