Un anno fa vide
uccidere il suo segretario
Accomunato
nel drammatico epilogo a padre Ragheed,
assassinato con tre "suddiaconi" nel giugno 2007.
Lorenzo
Fazzini
("Avvenire",
14/3/’08)
Ad agosto non potrà
celebrare quella "Giornata della parrocchia di San Paolo" da lui
istituita a ricordo del primo attentato contro i cristiani d’Iraq, avvenuto il
primo agosto del 2004, e che fece una dozzina di vittime, due a Mosul.
Quel giorno anche la sua città venne colpita dal terrorismo
"integralista" di matrice islamica che, dopo la caduta di Saddam
Hussein, aveva iniziato a insanguinare l’Iraq.
Monsignor
Paulos Faraj Rahho
aveva legato a quella celebrazione il ricordo dell’attentato che aveva preso
di mira la Chiesa
di San Paolo
nella sua città, dove dal 2001 era presule, come segno di una
"resistenza" cristiana di fronte alla violenza crescente.
Alla "rinascita" di quell’edificio sacro, e della sua comunità, il
vescovo, nato a Mosul nel 1942, ordinato prete nel 1965, dedicò una ricorrenza
da tenersi ogni 1 agosto.
«La Chiesa è migliore oggi rispetto a prima dell’attentato – disse un anno
dopo quei "fatti", il 1 agosto del 2005 – . Quella violenza ha messo
alla prova la nostra fede e in questo anno abbiamo imparato a mettere in pratica
valori come il perdono e l’amore, anche per quelli che ci perseguitano».
E monsignor Rahho è stato testimone di questo "assedio" violento
contro i cristiani di Mosul.
Già nel dicembre del 2004 subì un "attacco" nell’Arcivescovado: un
"commando" di uomini dal volto coperto fece irruzione nella sua
residenza, il vescovo era assente per motivi pastorali, ma vi era il suo
segretario, padre
Ragheed Ganni,
che assistette impotente alla distruzione del «più bel simbolo caldeo d’Iraq»,
come disse, con amara tristezza, il patriarca di Baghdad
Emmanuel
Delli, oggi
cardinale.
A fronte di tanti e drammatici atti di "intimidazioni", il presule
caldeo, alla guida di una diocesi con 35mila fedeli e 12 parrocchie, con una
ventina di preti diocesani e altrettante religiose, proseguiva la sua azione
pastorale fatta di "vicinanza" ai cattolici locali e di
"condivisione" delle sofferenze con tutti gli iracheni. Furono dei
musulmani a offrire a monsignor Rahho una casa ed un tetto dove stare dopo l’attentato
che aveva mandato in fiamme l’Episcopio nel 2004. In un’intervista al
settimanale "Tempi", disse di aver ricevuto 11 lettere di minacce di
morte e di essere sfuggito ad un tentativo di rapimento nel marzo del 2007.
Non era un presule "mediatico", monsignor Rahho; non si segnalava per
le analisi "sociopolitiche" sulla situazione irachena; faceva parlare
di sé più per la conduzione quotidiana e "assidua" della sua piccola
comunità cattolica.
Come quando – tramite l’agenzia "AsiaNews"
– si veniva a sapere della celebrazione dell’ordinazione sacerdotale di
padre Ephram Gallyana, 31 anni, avvenuta nella cittadina di Karamles lo scorso
luglio. Non un posto qualsiasi, Karamles, bensì la città dove Rahho dovette
seppellire il suo segretario, padre Ragheed, assassinato nel giugno del 2007
insieme a tre "suddiaconi".
Appoggiato a un bastone Rahho aveva, nel febbraio scorso, accolto la
"delegazione" di "Pax Christi", che aveva voluto manifestare
concretamente la vicinanza della "Chiesa di Francia" ai cristiani
iracheni: «Non aveva voluto che il nostro incontro si tenesse in città ma un
po’ fuori, sapeva che c’erano pericoli – ricorda monsignor Marc Stenger,
presidente di "Pax
Christi Francia"
e vescovo di Troyes, alla guida di quella "delegazione" – . Era un
uomo che amava le "battute" e addirittura scherzava sulla situazione
di pericolo che c’era».