Sogno il mio Iraq
famiglia di pace
«Per
noi cristiani Orientali la famiglia è una benedizione e una missione.
Anche in una terra come la nostra, sfigurata dalla guerra,
la concordia inizia in casa».
Mons.
Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk (Iraq)
("Mondo
e Missione", Gennaio 2008)
«Famiglia
umana, comunità di pace». Il Santo
Padre ha
scelto questo tema per la "Giornata
mondiale della pace"
perché il contesto familiare è il più importante nelle relazioni di ognuno di
noi, in bene e in male. Un proverbio latino recita: "Si vis pacem, para
bellum" ("Se vuoi la pace, prepara la guerra"). Bisogna cambiarlo
così: se vuoi la pace, una pace giusta e duratura, prepara la famiglia. Perché
la pace e la giustizia partono dal riconoscere l’uomo come fratello! L’avvenire
dell’umanità dipende dalla famiglia. È in famiglia che i membri imparano a
dialogare, a rispettarsi reciprocamente nella diversità. Per questo il Papa la
chiama «la principale agenzia di pace». Nella teologia cristiana, specie
orientale, la famiglia rappresenta l’immagine della Trinità; lo Spirito Santo
è considerato da alcuni padri siriaci una madre. Perciò i rapporti nella
famiglia devono riflettere quelli fra le tre persone della Trinità. Nella
famiglia cristiana la Chiesa cresce e la società si rinnova.
In Occidente la famiglia affronta difficoltà relazionali. L’estate scorsa mi
trovavo in Germania: sulle strade si vedevano le donne musulmane con un bambino
nella carrozzina, mentre le tedesche passeggiavano spesso in compagnia di un
cane o un gatto! L’Occidente sta perdendo il senso della comunione familiare
con la sua insistenza sull’individualismo. Da noi in Iraq,
invece, non è concepibile vivere isolati. Mentre un occidentale accetta
facilmente una condizione di "single" e ne vede i vantaggi, un
orientale pensa alla sua famiglia e cerca i vantaggi comuni.
La famiglia è una "Chiesa domestica", ma anche la base di una
società. Per i cristiani orientali avere una famiglia è una vocazione, una
benedizione e una missione. Non voglio dire che tutto da noi sia perfetto e in
Occidente cattivo. Il fatto di amare e formare una famiglia non è una
situazione statica, ma un processo e un progetto.
La stessa cosa vale per la pace. La pace si fa cominciando dall’educazione:
Benedetto XVI parla di una «grammatica» elementare che si apprende in
famiglia. Oggi più che mai abbiamo bisogno di educare le giovani generazioni
alla coscienza del comune destino dell’uomo. In Iraq c’è tanto bisogno di
educare alla pace, al rispetto delle diversità, etniche, culturali, religiose.
Noi cristiani in Iraq abbiamo vissuto tempi molto difficili. Molti di noi sono
stati uccisi, rapiti, espulsi. Le famiglie divise e disperse in varie nazioni.
Ma l’Iraq è la nostra patria, ancora prima che arrivasse l’islam. Abbiamo
dato tanto alla cultura islamica, ne siamo divenuti parte. Oggi vogliamo ancora
continuare questa esistenza.
La situazione in Iraq è difficile, ma vi sono alcuni segni che sostengono la
nostra speranza, a cominciare dalla porpora cardinalizia a sua beatitudine Emmanuel
Delly,
patriarca caldeo di Baghdad. Un altro passo importante è stata la visita del Re
saudita Abdullah
alla Santa Sede. Io penso che la pace del mondo dipenda molto di più dal
dialogo interreligioso che dalle trattative sul nucleare. Un dialogo reale e
sincero con i cristiani permetterebbe all’islam di apprendere molto dall’esperienza
delle Chiese. Dialogare, riconoscere l’altro come un membro della stessa
famiglia umana e rispettarlo nella sua diversità: questo salverà il mondo dai
conflitti.
Qualcosa si sta muovendo anche nel mondo islamico. È giunto il tempo per i
musulmani moderati - che sono la maggioranza - di far sentire la loro voce:
devono iniziare a promuovere la tolleranza religiosa nella società, per provare
coi fatti davanti al mondo che l’islam è una religione della tolleranza e
della convivenza.
L’Iraq che sogniamo è questo: una famiglia riconciliata, una comunità di
pace, una società di fratelli e sorelle che vivono nella sicurezza e nella
gioia!