UNA RIFLESSIONE DEL PREMIO "NOBEL" PER LA PACE
Il
coraggio della gente comune, la forza non violenta dei monaci,
la spiritualità contro un governo autoritario:
l’invito alla democrazia e alla pace della "leader" dell’opposizione.
Birmania: il grido per la libertà
di Aung San Suu Kyi
Aung
San Suu Kyi
("Avvenire",
30/9/’07)
Non c’è nulla che
possa paragonarsi al coraggio della gente comune il cui nome resta anonimo e il
cui sacrificio passa spesso inosservato. Il coraggio che osa senza
riconoscimento è un coraggio che rende umili e ispira a ribadire la nostra fede
nell’umanità. Tale coraggio io ho potuto vederlo settimana dopo settimana
negli incontri con i miei sostenitori infaticabili che arrivano di buon mattino
il sabato e la domenica e prendono posto davanti alla mia casa. Si siedono
appoggiati alla staccionata su fogli di giornali o teli di plastica , cercando
protezione dal sole all’ombra di un albero. Al culmine del monsone,
costruiscono tettoie di plastica sotto cui si siedono affrontando anche piogge
torrenziali con un spirito indomito e determinazione.
Sono i rappresentanti delle migliaia che partecipano alle nostre manifestazioni
perché credono nell’importanza dei basilari diritti della democrazia: quello
di associazione, di riunione e di espressione. Io sono incaricata di rispondere
ai messaggi scritti che mi vengono consegnati e di discutere delle battaglie
politiche che si sono succedute nel passato in Birmania
e anche in altre parti del mondo. Spesso parlo anche della necessità di
abituarsi a contraddire ordini arbitrari e di restare saldi e uniti davanti alle
avversità. Uno dei messaggi che più frequentemente mando a quanti mi ascoltano
è ricordare che né io, e
La forza e la volontà di proseguire viene dai birmani che ci avvicinano. Nei
periodi in cui il potere mostra il volto più minaccioso, la folla è cresciuta
di numero, come dimostrazione di solidarietà. Anche quando le autorità hanno
bloccato l’accesso alla mia casa per prevenire i raduni, la gente si è
avvicinata più che ha potuto per farci sapere che era determinata a continuar
la battaglia per il diritto di riunirsi liberamente. Le nostre vite prendono un
ritmo differente da coloro che, svegliandosi al mattino, non devono preoccuparsi
di chi sia stato arrestato durante la notte e quali atti di palese ingiustizia
potrebbero essere commessi contro la nostra gente durante la giornata.
La dimensione spirituale diventa particolarmente importante in una lotta in cui
convinzione profonda e impegno mentale sono le armi principali contro la
repressione armata. Le autorità ci accusano di fare un uso politico della
religione, forse perché è quanto esse stesse stanno facendo o, forse, perché
non possono riconoscere la natura a più dimensioni dell’uomo come essere
sociale. Il nostro diritto alla libertà religiosa è sempre più minacciato
dalla volontà delle autorità di oscurare le attività dell’opposizione.
La Birmania è un paese buddista ed è normale per i giovani buddisti birmani
passare un certo periodo di tempo come novizi nei monasteri; inoltre, molti
birmani che hanno passato i vent’anni entrano ancora nell’ordine religioso
per periodi di varia durata come monaci ordinati a tutti gli effetti.
Nel “caos” dalla repressione politica, intimidazione, interferenza nel
nostro diritto di pratica religiosa, noi birmani crediamo che coloro che
condividono atti “meritori” si incontreranno ancora, legati da meriti
comuni. È bene pensare che il futuro lo costruiremo in compagnia di coloro che
hanno dimostrato di essere i più veri tra gli amici. Molti di quanti
partecipano ai nostri incontri si erano già trovati qui otto anni fa per
impegnarsi nella causa della democrazia e dei diritti umani, restando uniti - e
io con loro nonostante le dure avversità. Molti sono oggi anche i volti
assenti: i volti di coloro che sono morti, di altri che sono in carcere. È
triste pensare a loro, ma il nostro impegno non si fermerà.
( Traduzione di Stefano Vecchia )