REPORTAGE

La Chiesa è sottoposta quotidianamente a violenze e sopraffazioni.
Viene falsamente accusata di fare proselitismo forzato e di "comprare" le conversioni.
Mal sopportato l’impegno a favore degli esclusi.

RITAGLI    Cristiani in India: la democrazia non basta    SEGUENTE

Oggi il Paese è più unito e meno uguale, è meno povero ma più ingiusto.

Da New Delhi, Stefano Vecchia
("Avvenire", 31/7/’07)

La settimana scorsa una scuola gestita dalle suore francescane di "Nostra Signora delle Grazie", nello stato di Uttarakhand, è stata assaltata e devastata da un gruppo di militanti radicali indù. Qualche giorno prima, il 17 luglio all’alba, un sacerdote cattolico era stato aggredito in casa, rischiando di morire per le ferite di arma da taglio inflittegli da un gruppo di sconosciuti. Sono solo due degli ultimi episodi di violenza nei confronti dei cattolici che il grande continente indiano conta ormai quotidianamente.
La violenza contro padre Michael, parroco della chiesa dell’Assunzione, attorno a cui si aggrega la piccola missione di Churali, nella diocesi di Bettiha, ha provocato sconcerto e forte preoccupazione. È un fatto che lo stato centrale del Madhya Predesh è da troppo tempo terra di scorribande, connivenze e coperture per fanatici religiosi, sicari "prezzolati" e potenti disposti a tutto. Ancora una volta le autorità ecclesiastiche, in questo caso nella persona del presidente della "Conferenza episcopale", il cardinale Telesphore Toppo, si sono trovate ad esprimere "la più dura condanna" per un evento drammatico che è solo l’ultimo di una lunga lista. «Anche se l’
India è un Paese democratico, purtroppo in alcune zone i missionari e le istituzioni cristiane sono vittime di attacchi ingiustificati. Ci sono gruppi che colpiscono la Chiesa in modo sistematico e le autorità debbono aiutarci e proteggerci. La Chiesa – prosegue il messaggio del cardinale – da decenni lavora senza sosta a favore della dignità di ogni persona, senza distinzioni di fede o casta. Non abbiamo paura delle persecuzioni, che rendono più forte la testimonianza della fede e che ci danno il privilegio di partecipare alla sofferenza salvifica della Chiesa».
Un concetto difficile, questo, da applicare in India, seppure risulti un valore riconosciuto da molti, anche non cristiani. Ma, alla fine, la difesa di coloro la cui vita spesso vale meno del voto che sono chiamati ad esprimere – spesso per una manciata di rupie, in elezioni che per i più poveri (centinaia di milioni) sono solo una croce su una "scheda-lenzuolo" e vuote promesse – diventa anche pretesto per campagne d’odio religioso e "xenofobo".
«Nonostante tutta la propaganda che è stata fatta ad arte, non si è accertato un solo caso di conversione forzata. Non è nostro compito e nemmeno nel nostro interesse che questo avvenga». È chiaro, quasi categorico, l’arcivescovo di Delhi, Vincent Concessao. La sua è in un certo senso una lotta in prima linea, sui molti fronti aperti per la comunità cattolica in questo Paese di oltre un miliardo di abitanti. La capitale infatti rappresenta per la Chiesa indiana un centro del dialogo interreligioso, a confronto con fedi antiche e preponderanti per numero come induismo e islam; un luogo di incontro delle molte istanze sociali di questo Paese; un laboratorio in cui provare nuove forme di coinvolgimento, in cui concretizzare il dibattito – reso più urgente e diretto dalla vicinanza con il governo centrale – sui temi della partecipazione, della giustizia e dell’uguaglianza.
Partecipazione, giustizia e uguaglianza: su questi vocaboli da noi abusati ma inseriti naturalmente tra i capisaldi della democratizzazione e di un sentire comune, l’
India di oggi si ritrova in bilico tra progresso e "involuzione", legata a doppio filo a una "Costituzione" di oltre 500 articoli che allo stesso modo riesce ad esprimere in modo entusiasmante aspirazioni e necessità di tutti i suoi soggetti e a garantire privilegi e capacità di prevaricazione di pochi. "Pochi" ovviamente rispetto ai grandi numeri di questo Paese su scala continentale, vasto dieci volte l’Italia e vario come e più dell’intera Europa.
La legge dei grandi numeri rischia di essere una copertura di comodo a problemi che si sono evoluti, in parte attenuandosi dall’indipendenza ottenuta il 15 agosto 1947, ma che – come una "coperta" troppo corta per il colosso indiano – hanno via via messo a nudo altri problemi, non ignoti ai padri fondatori della democrazia indiana i Gandhi, i Nehru, i Patel, i Chadra Bose e gli Ambedkar – ma certo sottovalutati nel sogno di indipendenza prima e di sviluppo nell’uguaglianza poi.
Oggi l’India è più unita e meno uguale, è meno povera ma più ingiusta. E così anche la Chiesa, che ai tanti problemi delle singole comunità religiose affianca quello della frammentazione e della povertà, riscattandosi sul piano dell’impegno educativo, sanitario e sociale, si ritrova sulla difensiva, sottoposta all’accusa di proselitismo e di estraneità all’ambito indiano, sia per le sue radici mediterranee, sia per la difesa operata a favore dei gruppi meno favoriti.
Pretesti in buona parte, quelli dei fondamentalisti indù, alimentati da interessi nemmeno tanto velati: sulla terra, sui "serbatoi" di voti, sulla gestione del potere… Un gioco, quello della politica, che può essere sporco ma che però può essere anche, se partecipato, utile al futuro delle minoranze. Tra gli ultimi a cavalcare la politica, i cattolici sono ora meno disposti di un tempo a restar chiusi nelle parrocchie e, per inciso, a delegare ai soli pastori le responsabilità e le scelte della comunità.