RACCONTI  "Sei Bella!"  DIARIO

( racconto breve di Sandra Cervone )

 
Quando lui le diceva ch'era bella, Nunzia ci credeva e sorrideva. Quando la teneva teneramente per mano, sorrideva ancora, guardando il cielo, forse grata a Dio d'esser comunque viva. E se lui le accarezzava il volto, la felicitą si stampava nei grandi occhi color castagna. Balbettava una frase gentile, si lasciava sfuggire un gemito stridulo e, a modo suo, gioioso. Da quando aveva perso la ragione, Nunzia non aveva pił il senso del tempo e dello spazio. Viveva sospesa su una nuvola, lontano da ogni contaminazione. L'infelicitą ed il dolore avevano perduto la strada del suo cuore. Non contava pił le ore nelle notti insonni straziate dagli abbandoni. Era una donna-bambina, immacolata vittima degli egoismi altrui. Tutto della Nunzia di un tempo aveva ceduto il passo alla Nunzia di oggi. Quei lunghi capelli nerolucidi avevano lasciato il posto a strani boccoli distanziati e screziati di biancolatte. Il profumo di fresco a un intruglio di cipria e farina, di stantio e di frizzante, di antico e di impreciso. Le pallide mani, solcate da vene evidenti, mostravano unghie non pił curate, tagli frequenti, screpolature. La bocca s'alzava da un lato, aprendosi al passaggio di un sospiro continuo. Nunzia non aveva pił la sveltezza d'un tempo: tutto, in lei, era estremamente lento e difficoltoso: parlare, capire, camminare, mangiare, starnutire. Restava indietro, annaspava, si sforzava. Perfino a piangere, perfino a sorridere. La pelle vellutata del viso era ora un susseguirsi di rughe e sudore; il seno, un tempo florido e invidiato, era l'emblema della devastazione. Le gambe la sorreggevano a stento e non consentivano quasi pił l'autonomia. Ma gli occhi! Quelli erano ancora i suoi gioielli, due olive, due sfere di cristallo. Vi si leggeva la vita intrecciata alla paura, la morte aggrappata alla speranza. Con la sola forza di quello sguardo, interrogava e implorava, ringraziava e gioiva. E si donava. A quell'unica persona che l'accarezzava, che non si ritraeva al contatto della sua mano. Un giovane medico che frequentava la clinica, un amico sincero, consolatore, angelo custode. Quando entrava nella sua cameretta era come se arrivasse il sole. Nunzia si sentiva quel fiore che non poteva pił essere e socchiudeva gli occhi per ricordare com'era. Poi li riapriva e li fissava su di lui, aspettando la sua mano forte sulla spalla. "Come andiamo, principessa? - diceva sempre lui con voce calda - Ti sei decisa a dare ascolto alle infermiere?". Nunzia mugugnava incomprensibili parole e lui, immancabilmente le diceva: "Dai sorridi che sei bella!". E lei rideva, sguaiata e serena, liberando gioiosa tanta saliva. Poi, rovesciando leggermente la testa all'indietro, s'immergeva nel ricordo d'altri occhi, d'altre mani, d'altri abbracci. E sentiva un'altra voce, persa nel tempo, bisbigliarle all'orecchio un desiderio. "Sei solo mia - diceva - sei tanto bella!", e Nunzia, ridendo forte, ci credeva. Quanto tempo era passato, quanti dottori aveva conosciuto? I suoi occhi erano sempre gli stessi, aperti al passato, al sogno finito. "Dai, sorridi che sei bella!". E l'eco ripeteva "Sei bella! Sei Bella!".

Sandra Cervone