È la vita ordinaria la liturgia di Dio
(Audio)
Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, 1Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli
lo seguirono. 2Giunto il sabato, si mise a insegnare nella
sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli
vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi
come quelli compiuti dalle sue mani? 3Non è costui il
falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di
Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di
scandalo. 4Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato
se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». 5E
lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e
li guarì. 6E si meravigliava della loro incredulità. Gesù
percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.
Parola del Signore
Lode a Te o Cristo
A Nazaret va in
scena il conflitto perenne tra quotidiano e profezia. All'inizio parole e
prodigi di Gesù stupiscono, immettono un «di più» dentro la normalità della
vita. Poi l'ordinario instaura di nuovo la sua dittatura.
Che un profeta sia un uomo straordinario, carismatico, ce lo aspettiamo. Ma che
la profezia sia nel quotidiano, in uno che non ha cultura e titoli, le mani
segnate dalla fatica, nel profeta della porta accanto, questo ci pare
impossibile. A Nazaret pensano: «Il figlio di Dio non può venire in questo modo,
con mani da carpentiere, con i problemi di tutti, non c'è nulla di sublime,
nulla di divino. Se sceglie questi mezzi poveri non è Dio». Ma lo Spirito scende
proprio nel quotidiano, fa delle case un tempio, entra dove la vita celebra la
sua mite e solenne liturgia. Noi cerchiamo Dio, il pastore di costellazioni,
nell'infinito dei cieli, quando invece è inginocchiato a terra con le mani nel
catino per lavarci i piedi.
Ed era per loro motivo di scandalo. Che cosa li scandalizza? Scandalizza
l'umanità, la prossimità. Eppure è proprio questa la buona notizia del Vangelo:
che Dio si incarna dentro l'ordinarietà della vita. Gesù cresce nella bottega di
un artigiano, le sue mani diventano forti a forza di stringere manici, il suo
naso fiuta le colle, la resina, il sudore di chi lavora, sa riconoscere il legno
al profumo e al tatto.
Una intuizione luminosa di Heidewick di Anversa: «Ho capito che questa è la
compiuta fierezza dell'amore: non si può amare la divinità di Cristo senza amare
prima la sua umanità». Riscoprire ogni frammento, ogni fremito di umanità
nel Vangelo, cercare tutte le molecole di umanità di Gesù: il suo rapporto con i
bambini, con gli amici, con le donne, con il sole, con il vento, con gli
uccelli, con i fiori, con il pane e con il vino. Il suo modo di avere paura, il
suo modo di avere coraggio e come piangeva e come gridava, e la sua carne
bambina e poi la sua carne piagata, e poi il suo amore per il profumo di nardo a
Betania, la casa degli amici.
Amare l'umanità di Gesù, perché il Vangelo rivela proprio questo: che il
divino è rivelato dall'umano, che Dio ha il volto di un uomo.
Gesù al rifiuto dei compaesani mostra il suo candore, il suo bellissimo cuore
fanciullo: «Non vi poté operare nessun prodigio» scrive Marco, ma subito
si corregge: «Solo impose le mani a pochi malati e li guarì». Il Dio
rifiutato si fa ancora guarigione, anche di pochi, anche di uno solo. L'amante
respinto continua ad amare anche pochi, anche uno solo. L'amore non è stanco: è
solo stupito. Il nostro Dio non nutre rancori o stanchezze, ma la gioia
impenitente di inviare sempre e solo segnali di vita attorno a sé.