XVII Domenica Tempo
Ordinario - Anno C
Dio
esaudisce sempre le sue promesse
(Audio)
Dal vangelo secondo
Luca
Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei
discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha
insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:
Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno;
dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
e perdonaci i nostri peccati,
perché anche noi perdoniamo ad ogni nostro debitore,
e non ci indurre in tentazione».
Poi aggiunse: «Se uno di voi ha un amico e va da lui a mezzanotte a dirgli:
Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non
ho nulla da mettergli davanti; e se quegli dall'interno gli risponde: Non
m'importunare, la porta è già chiusa e i miei bambini sono a letto con me, non
posso alzarmi per darteli; vi dico che, se anche non si alzerà a darglieli per
amicizia, si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono almeno per la sua
insistenza.
Ebbene io vi dico: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi
sarà aperto. Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, e a chi bussa sarà
aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà
una pietra? O se gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? O
se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se dunque voi, che siete
cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro
celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!» .
«Signore insegnaci a pregare!» Tutte le preghiere di
Gesù riportate dai Vangeli (oltre cento) iniziano con la stessa tipica parola:
«Padre», il modo migliore per rivolgersi a Dio. Ma specifico di Gesù,
esclusivamente suo, è il termine originario «Abbà» che i Vangeli riportano
nella lingua di Gesù, l’aramaico, e il cui senso è «papà, babbo». È la
parola del bambino, il dialetto del cuore, il balbettio del figlio piccolo. È
parola di casa, non di sinagoga; sapore di pane, non di tempio. «Nella
moltitudine delle preghiere giudaiche non si trova un solo esempio di questa
parola 'Abbà' riferita a Dio» ( Jeremias). Solo in Gesù: Abbà-papà.
Nel linguaggio corrente la parola «pregare» indica l’insistere, il
convincere qualcuno, il portarlo a cambiare atteggiamento. Pregare per noi
equivale a chiedere. Per Gesù no: pregare equivale a evocare dei volti: quello
del Padre e quello di un amico. Nella preghiera di Gesù l’uomo si interessa
della causa di Dio (il nome, il regno, la volontà) e Dio si interessa della
causa dell’uomo (il pane, il perdono, il male), ognuno è per l’altro. E
imparo a pregare senza mai dire io, senza mai dire mio, ma sempre Tu e nostro:
il tuo Nome, il nostro pane, Tu dona, Tu perdona. Il Padre nostro mi vieta di
chiedere solo per me: il pane per me è un fatto materiale, il pane per mio
fratello è un fatto spirituale (Berdiaev). Pregare cambia la storia.
«Amico prestami tre pani perché è arrivato un amico». Una storia di amicizia
svela il segreto della preghiera. La parabola mette in scena tre amici:
l’amico povero, l’amico del pane e il viaggiatore inatteso, carico di fame e
di stanchezze, che rimane sullo sfondo ma è in realtà una figura di primo
piano: rappresenta tutti coloro che bussano alla mia porta, che senza essere
attesi sono venuti, che mi hanno chiesto pane e conforto. A Gesù sta a cuore la
causa dell’uomo oltre a quella di Dio: non vuole che la preghiera diventi un
dialogo chiuso, ma che faccia circolare l’amore (i tre pani) nel corpo del
mondo.
Da duemila anni ripetiamo il Padre Nostro, ma non siamo diventati fratelli e
il pane continua a mancare. Una domanda enorme corrode le nostre preghiere: Dio
esaudisce? «Dio esaudisce sempre, ma non le nostre richieste bensì le sue
promesse» (Bonhoeffer): Io sarò con te, fino alla fine del tempo. Dio si
coinvolge, intreccia il suo respiro con il mio, mescola le sue lacrime con le
mie.
Se pregando non ottengo la cosa che chiedo, ottengo però sempre un volto di
Padre e il sogno di un abbraccio.
Per pregare bene serve fame di vita
«Signore
insegnaci a pregare!». Non tanto: insegnaci delle preghiere, delle formule o
dei riti, ma: insegnaci il cuore della preghiera, mostraci come si arrivi
davanti a Dio.
Nel linguaggio corrente la parola «pregare» indica l'insistere, il
convincere qualcuno, il portarlo a cambiare atteggiamento. Per Gesù no, pregare
è riattaccarsi di nuovo a Dio, come si attacca la bocca alla fontana. È
riattaccarsi alla vita. «Pregare è aprirsi, con la gioia silenziosa e piena di
pace della zolla che si offre all'acqua che la vivifica e la rende feconda»
(Giovanni Vannucci).
Per Gesù, pregare equivale a creare legami, evocando nomi e volti, primo fra
tutti quello del Padre: «quando pregate, dite: Padre». Tutte le preghiere
di Gesù riportate dai Vangeli (oltre cento) iniziano con lo stesso termine
«Padre», la parola migliore con cui stare davanti a Dio, con cuore fanciullo
e adulto insieme, quella che contiene più vita di qualsiasi altra.
Padre, fonte sorgiva di ogni vita, di ogni bontà, di ogni bellezza, un
Dio che non si impone ma che sa di abbracci; un Dio affettuoso, vicino, caldo,
cui chiedere, da fratelli, le poche cose indispensabili per ripartire ad ogni
alba a caccia di vita.
E la prima cosa da chiedere: che il tuo nome sia santificato. Il nome
contiene, nel linguaggio biblico, tutta la persona: è come chiedere Dio a Dio,
chiedere che Dio ci doni Dio. Perché «Dio non può dare nulla di meno di se
stesso» (Meister Eckhart), «ma, dandoci se stesso, ci dà tutto!» (Caterina da
Siena).
Venga il tuo regno, nasca la terra nuova come tu la sogni, la nuova
architettura del mondo e dei rapporti umani che il Vangelo ha seminato.
Dacci il pane nostro quotidiano. Dona a noi tutti ciò che ci fa vivere,
il pane e l'amore, entrambi indispensabili per la vita piena, necessari giorno
per giorno.
E perdona i nostri peccati, togli tutto ciò che invecchia il cuore e lo
rinchiude; dona la forza per salpare di nuovo ad ogni alba verso terre intatte.
Libera il futuro. E noi, che adesso conosciamo come il perdono potenzia la vita,
lo doneremo ai nostri fratelli, e a noi stessi, per tornare leggeri a costruire
di nuovo, insieme, la pace.
Non abbandonarci alla tentazione. Non ti chiediamo di essere esentati
dalla prova, ma di non essere lasciati soli a lottare contro il male, nel giorno
del buio. E dalla sfiducia e dalla paura tiraci fuori; e da ogni ferita o caduta
rialzaci tu, Samaritano buono delle nostre vite.
Insegnaci a pregare, adesso. Il Padre Nostro non va solo recitato, va
imparato ogni giorno di nuovo, sulle ginocchia della vita: nelle carezze della
gioia, nel graffio delle spine, nella fame dei fratelli. Bisogna avere molta
fame di vita per pregare bene.