Dio, quel Pane che
si fa lievito in noi
(Audio)
Dal
Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse alla folla: 51«Io sono il pane vivo,
disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io
darò è la mia carne per la vita del mondo». 52Allora i Giudei
si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne
da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi
dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue,
non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il
mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché
la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e
io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io
vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo
è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e
morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Parola del Signore
Lode a Te o Cristo
In questo breve Vangelo di otto
versetti, Gesù per otto volte ci parla di un Dio che si dona: «Prendete la mia
carne e mangiate». Farsi pane è un bisogno incontenibile di Dio.
Qui emerge il genio del cristianesimo: non più un Dio che domanda agli uomini
offerte, doni, sacrifici, ma un Dio che offre, sacrifica, dona, perde se stesso
dentro le sue creature, come lievito dentro il pane, come pane dentro il corpo.
«Mangiate e bevete di me»: mangiare e bere Cristo significa diventare luce da
luce, Dio da Dio, della stessa sua sostanza. Per farlo occorre cogliere il
segreto vitale di Gesù, assimilarne il nocciolo vivo e appassionato.
Gesù ha scelto il pane come simbolo dell’intera sua vita. Perché per arrivare ad
essere pane c’è un lungo percorso da compiere, un lavoro tenace in cui si
tolgono cortecce e gusci perché appaia il buono nascosto di ogni cuore: spiga
dentro la paglia, chicco dentro la spiga, farina dentro il chicco. Il percorso
del pane è quello di coloro che amano senza contare le fatiche. Semini il grano
nella terra oscura, marcisce, dice il Vangelo, e nascono le foglioline. È bello
a gennaio vedere le foglioline tremare mentre si alzano sopra la neve. Ma se ti
fermi lì, hai vinto il nero della terra e il bianco della neve, ma non diventi
pane. Per diventarlo devi andare su, salire, e a giugno la spiga gonfia si piega
verso la terra, quasi a voler ritornare lì, a dire: «ho finito». Invece viene la
mietitura, e se lo stelo dice «basta, ho già patito la violenza della falce!»
non diventa pane. Poi viene la battitura, la macina, il fuoco, tutti passaggi
duri per il chicco. A cosa serve alla fine tutto questo? Serve a saggiarci il
cuore. Dio ci mette alla prova perché sa che dentro di noi c’è del buono, vuole
soffiare via la pula perché appaia il chicco, togliere la crusca perché appaia
la farina. Al buono di ciascuno Dio vuole arrivare.
Cristo si fa pane perché ognuno di noi prima di morire deve diventare pane per
qualcuno, un pezzo di pane che sappia di buono per le persone che ama. E goccia
di sangue, che è il simbolo di tutto quanto abbiamo di buono e di caldo e di
vivo, che mettiamo a disposizione di chi amiamo e, ancor più, di chi ha bisogno
di essere amato. Dio è pane incamminato verso la mia fame. Sapermi cercato,
nonostante tutte le mie distrazioni, nonostante questa mia vita superficiale e
le risposte che non do, sapere che io sono il desiderio di Dio è tutta la mia
forza, tutta la mia pace.