Dio non si merita, si accoglie
(Audio)
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 1«Il
regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere
a giornata lavoratori per la sua vigna. 2Si accordò con loro
per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. 3Uscito
poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati,
4e disse loro: "Andate anche voi nella vigna; quello che
è giusto ve lo darò". Ed essi andarono. 5Uscì di nuovo
verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. 6Uscito
ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro:
"Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?". 7Gli
risposero: "Perché nessuno ci ha presi a giornata". Ed egli disse
loro: "Andate anche voi nella vigna". 8Quando fu
sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: "Chiama i lavoratori e
dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi". 9Venuti
quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. 10Quando
arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi
ricevettero ciascuno un denaro. 11Nel ritirarlo, però,
mormoravano contro il padrone dicendo: 12"Questi ultimi
hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo
sopportato il peso della giornata e il caldo".
13Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse:
"Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un
denaro? 14Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a
quest’ultimo quanto a te: 15non posso fare delle mie cose
quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?". 16Così
gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».
Parola del Signore
Lode a Te o Cristo
Il Vangelo è pieno di vigne, forse perché fra tutti i campi, la
vigna è il preferito di ogni contadino, quello che coltiva con più cura e
intelligenza, in cui si reca più volentieri. Questa parabola ci assicura che il
mondo, il mondo nuovo che deve nascere, è vigna e passione di Dio; che io sono
vigna e passione di Dio, il suo campo preferito, di cui ha cura uscendo per ben
cinque volte; da un buio all’altro, a cercare operai.
Il punto di svolta del racconto risiede nel momento della paga: comincia dagli
ultimi della fila e dà a chi ha lavorato un’ora sola lo stesso salario
concordato con quelli dell’alba. Finalmente un Dio che non è un «padrone»,
nemmeno il migliore dei padroni. Non è un contabile. Un Dio ragioniere non
converte nessuno. E un Dio buono (ti dispiace che io sia buono?).
È il Dio della bontà senza perché, che crea una vertigine nei normali
pensieri, che trasgredisce le regole del mercato. Un Dio che sa ancora saziarci
di sorprese. «E mentre l’uomo pensa secondo misura, Dio agisce secondo
eccedenza» (cardinale Carlo Maria Martini). Non segue la logica della
giustizia, ma lo fa per eccesso, per dare di più. Vuole garantire vite, salvare
dalla fame, aggiungere futuro. Mi commuove questo Dio che accresce vita, con
quel denaro immeritato, che giunge benedetto e benefico, a quattro quinti dei
lavoratori.
Gli operai che hanno lavorato fin dal mattino protestano, sono tristi, dicono
«non è giusto». Non riescono a capire e si trovano lanciati in un’avventura
sconosciuta: la bontà: «ti dispiace che io sia buono?». È
vero: non è giusto. Ma la bontà va oltre la giustizia. La giustizia non basta
per essere uomini. Tanto meno basta per essere Dio. Neanche l’amore è giusto,
è altra cosa, è di più. Perché non si accende la festa davanti a questa
bontà, perché non sono contenti tutti, i primi e gli ultimi? Perché la
felicità viene da uno sguardo buono e amabile sulla vita e sulle persone. Se l’operaio
dell’ultima ora lo sento come mio fratello o mio amico, allora sono felice con
lui, con i suoi bambini, per la paga eccedente. Se invece mi ritengo operaio
della prima ora e misuro le fatiche, se mi ritengo un cristiano esemplare, che
ha dato a Dio tanti sacrifici e tutta la fedeltà, che ora attende ricompensa
adeguata, allora posso essere urtato dalla retribuzione uguale data a chi ha
fatto molto meno di me. Drammatico: si può essere credenti e non essere buoni!
Nel cuore di Dio cerco un perché al suo agire. E capisco che le sue bilance non
sono quantitative, davanti a Lui non è il mio diritto o la mia giustizia che
pesano, ma il mio bisogno. Allora non calcolo più i miei meriti, ma conto sulla
sua bontà. Dio non si merita, si accoglie!