La fede, un «niente» che può «tutto»
Dal Vangelo secondo
Luca
5 Gli apostoli dissero al Signore: 6«Accresci in noi la
fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape,
potreste dire a questo gelso: "Sràdicati e vai a piantarti nel mare", ed esso vi
obbedirebbe. 7Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il
gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: "Vieni subito e mettiti a tavola"?
8Non gli dirà piuttosto: "Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai
fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu"?
9Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli
ordini ricevuti? 10 Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello
che vi è stato ordinato, dite: "Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto
dovevamo fare"».
Parola del Signore
Lode a Te o Cristo
Gesù ha appena
avanzato la sua proposta "unica misura del perdono è perdonare senza misura",
che agli Apostoli appare un obiettivo inarrivabile, al di là delle loro forze, e
sgorga spontanea la richiesta: accresci in noi la fede. Da soli non ce la
faremo mai. Gesù però non esaudisce la richiesta, perché non tocca a Dio
aggiungere, accrescere, aumentare la fede, non può farlo: essa è la libera
risposta dell'uomo al corteggiamento di Dio.
Gesù cambia la prospettiva da cui guardare la fede, introducendo come unità di
misura il granello di senape, proverbialmente il più piccolo di tutti i semi:
non si tratta di quantità, ma di qualità della fede. Fede come granello, come
briciola; non quella sicura e spavalda ma quella che, nella sua fragilità, ha
ancora più bisogno di Lui, che per la propria piccolezza ha ancora più fiducia
nella sua forza.
Allora ne basta un granello, poca, anzi meno di poca, per ottenere risultati
impensabili. La fede è un niente che è tutto. Leggera e forte. Ha la forza di
sradicare alberi e la leggerezza di farli volare sul mare: se aveste fede
come un granello di senape, potrete dire a questo gelso sradicati.
Io ho visto alberi volare, ho visto il mare riempirsi di gelsi. Ho visto, fuori
metafora, discepoli del Vangelo riempire l'orizzonte di imprese al di sopra
delle forze umane.
Segue poi poi una piccola parabola sul rapporto tra padrone e servo, che inizia
come una fotografia della realtà: Chi di voi, se ha un servo ad arare, gli
dirà, quando rientra: Vieni e mettiti a tavola? E che termina con una
proposta spiazzante, nello stile tipico del Signore: Quando avete fatto tutto
dite: siamo servi inutili. Capiamo bene: servo inutile significa non
determinante, non decisivo; indica che la forza che fa crescere il seme non
appartiene al seminatore; che la forza che converte non sta nel predicatore, ma
nella Parola. «Noi siamo i flauti, ma il soffio è tuo, Signore» (Rumi).
Allora capisco che chiedere «accresci la mia fede» significa domandare che
questa forza vivificante entri come linfa nelle vene del cuore.
Servo inutile è colui che, in una società che pensa solo all'utile,
scommette sulla gratuità, senza cercare il proprio vantaggio, senza vantare
meriti. La sua gioia è servire la vita, custodendo con tenerezza coloro che gli
sono affidati. Mai nel Vangelo è detto inutile il servizio, anzi esso è il nome
nuovo, il nome segreto della civiltà. È il nome dell'opera compiuta da Gesù,
venuto per servire, non per essere servito. Come lui anch'io sarò servo, perché
questo è l'unico modo per creare una storia diversa, che umanizza, che libera,
che pianta alberi di vita nel deserto e nel mare.