II Domenica Tempo
Ordinario - Anno A
Gesù non pretende la nostra vita, offre la sua
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, 29Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui,
disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! 30Egli
è colui del quale ho detto: "Dopo di me viene un uomo che è avanti a me,
perché era prima di me". 31Io non lo conoscevo, ma sono
venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». 32Giovanni
testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal
cielo e rimanere su di lui. 33Io non lo conoscevo, ma proprio
colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: "Colui sul
quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito
Santo". 34E io ho visto e ho testimoniato che questi è
il Figlio di Dio».
Parola del Signore
Lode a Te o Cristo
Giovanni, vedendo Gesù venirgli incontro, dice: Ecco l'agnello di Dio. Parole
diventate così consuete nelle nostre liturgie che quasi non sentiamo più il loro
significato.
Un agnello non può fare paura, non ha nessun potere, è inerme, rappresenta il
Dio mite e umile (se ti incute paura, stai sicuro che non è il Dio vero).
Ecco l'agnello che toglie il peccato del mondo, che rende più vera la vita di
tutti attraverso lo scandalo della mitezza.
Gesù-agnello, identificato con l'animale dei sacrifici, introduce qualcosa che
capovolge e rivoluziona il volto di Dio: il Signore non chiede più sacrifici
all'uomo, ma sacrifica se stesso; non pretende la tua vita, offre la sua; non
spezza nessuno, spezza se stesso; non prende niente, dona tutto.
Facciamo attenzione al volto di Dio che ci portiamo nel cuore: è come uno
specchio, e guardandolo capiamo qual è il nostro volto. Questo specchio va
ripulito ogni giorno, alla luce della vita di Gesù. Perché se ci sbagliamo su
Dio, poi ci sbagliamo su tutto, sulla vita e sulla morte, sul bene e sul male,
sulla storia e su noi stessi.
Ecco l'agnello che toglie il peccato del mondo. Non «i peccati», al plurale, ma
«il peccato» al singolare; non i singoli atti sbagliati che continueranno a
ferirci, ma una condizione, una struttura profonda della cultura umana, fatta di
violenza e di accecamento, una logica distruttiva, di morte. In una parola, il
disamore.
Che ci minaccia tutti, che è assenza di amore, incapacità di amare bene,
chiusure, fratture, vite spente. Gesù, che sapeva amare come nessuno, è il
guaritore del disamore. Egli conclude la parabola del Buon Samaritano con parole
di luce: fai questo e avrai la vita. Vuoi vivere davvero? Produci amore.
Immettilo nel mondo, fallo scorrere... E diventerai anche tu un guaritore del
disamore.
Noi, i discepoli, siamo coloro che seguono l'agnello (Ap 14,4). Se questo
seguire lo intendiamo in un'ottica sacrificale, il cristianesimo diventa
immolazione, diminuzione, sofferenza. Ma se capiamo che la vera imitazione di
Gesù è amare quelli che lui amava, desiderare ciò che lui desiderava, rifiutare
ciò che lui rifiutava, toccare quelli che lui toccava e come lui li toccava, con
la sua delicatezza, concretezza, amorevolezza, e non avere paura, e non fare
paura, e liberare dalla paura, allora sì lo seguiamo davvero, impegnati con lui
a togliere via il peccato del mondo, a togliere respiro e terreno al male, ad
opporci alla logica sbagliata del mondo, a guarirlo dal disamore che lo
intristisce.
Ecco vi mando come agnelli... vi mando a togliere, con mitezza, il male: braccia
aperte donate da Dio al mondo, braccia di un Dio agnello, inerme eppure più
forte di ogni Erode.