Gesù il pastore buono che dà la vita, che contagia d'amore
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse: 11«Io sono il buon pastore. Il buon
pastore dà la propria vita per le pecore. 12Il mercenario –
che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo,
abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13perché
è un mercenario e non gli importa delle pecore. 14Io sono il
buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15così
come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore.
16E ho altre pecore che non provengono da questo recinto:
anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo
gregge, un solo pastore. 17Per questo il Padre mi ama: perché
io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18Nessuno me
la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di
riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
Parola del Signore
Lode a Te o Cristo
Pastore buono: è
il titolo più disarmato e disarmante che Gesù abbia dato a se stesso. Eppure
questa immagine non ha in sé nulla di debole o remissivo: è il pastore forte che
si erge contro i lupi, che ha il coraggio di non fuggire; il pastore bello nel
suo impeto generoso; il pastore vero che si frappone fra ciò che dà la vita e
ciò che procura morte al suo gregge.
Il pastore buono che nella visione del profeta «porta gli agnellini sul seno e
conduce pian piano le pecore madri» (Isaia 40,11), evoca anche una dimensione
tenera e materna che, unita alla fortezza, compone quella che papa Francesco
chiama con un magnifico ossimoro, una «combattiva tenerezza» (Evangelii gaudium
88).
Che cosa ha rivelato Gesù ai suoi? Non una dottrina, ma il racconto della
tenerezza ostinata e mai arresa di Dio. Nel fazzoletto di terra che abitiamo,
anche noi siamo chiamati a diventare il racconto della tenerezza di Dio. Della
sua combattiva tenerezza.
Qual è il comportamento, il gesto che caratterizza questo pastore secondo il
cuore di Dio? Il Vangelo di oggi lo sottolinea per cinque volte, racchiudendolo
in queste parole: il pastore dà la vita. Qui affiora il filo d'oro che lega
insieme tutta intera l'opera ininterrotta di Dio nei confronti di ogni creatura:
il suo lavoro è da sempre e per sempre trasmettere vita, «far vivere e
santificare l'universo» (Prece eucaristica III).
Dare la vita non è, innanzitutto o solamente, morire sulla croce, perché se il
Pastore muore le pecore sono abbandonate e il lupo rapisce, uccide, vince.
Dare la vita è l'opera generativa di Dio, un Dio inteso al modo delle madri, uno
che nel suo intimo non è autoreferenzialità, ma generazione..
Un Dio compreso nel senso della vite che dà linfa ai tralci; del seno di donna
che offre vita al piccolo; dell'acqua che dà vita alla steppa arida. Io offro la
mia vita significa: vi offro una energia di nascita dall'alto; offro germi di
divinità, per farvi simili a me (noi saremo simili a lui, 1 Gv 3,2 nella II
Lettura).
Solo con un supplemento di vita, la sua, potremo battere coloro che amano la
morte, i tanti lupi di oggi.
Perché anche noi, discepoli che vogliono, come lui, sperare ed edificare, dare
vita e liberare, siamo chiamati ad assumere il ruolo di "pastore buono", cioè
forte e bello, combattivo e tenero, del gregge che ci è consegnato: la famiglia,
gli amici, quanti contano su di noi e di noi si fidano.
"Dare vita" significa contagiare di amore, libertà e coraggio chi avvicini, di
vitalità ed energia chi incontri. Significa trasmettere le cose che ti fanno
vivere, che fanno lieta, generosa e forte la tua vita, bella la tua fede,
contagiosi i motivi della tua gioia.