Festa delle comunione, Dio dona se stesso
Dal Vangelo secondo Marco
12Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua,
i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa
mangiare la Pasqua?».
13Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate
in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo.
14Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la
mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”.
15Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già
pronta; lì preparate la cena per noi».
16I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come
aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
22Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo
spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». 23Poi
prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. 24E
disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti.
25In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della
vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio». 26Dopo
aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.
Parola del Signore
Lode a Te o Cristo
Nella cornice di una cena,
la novità di Gesù: Dio non si propone più di governare l'uomo attraverso un
codice di leggi esterne, ma di trasformare l'uomo immettendogli la sua stessa
vita. La novità di un Dio che non spezza nessuno, spezza se stesso; non chiede
sacrifici, sacrifica se stesso; non versa la sua ira, ma versa "sui molti" il
proprio sangue, santuario della vita.
In quella sera, cibo vita e festa sono uniti da un legame strettissimo. Spesso
trasformiamo l'ultima Cena in un'anticipazione triste della passione che
incombe, mentre Gesù fa esattamente il contrario: trasforma la cronaca di una
morte annunciata in una festa, una celebrazione della vita. Quella cena
prefigura la resurrezione, mostra il modo di agire di Dio: dentro la sofferenza
e la morte, Dio suscita vita. E Gesù ha simboli e parole a indicare la sua morte
ma soprattutto la sua infinita passione per la vita: questo è il mio corpo,
prendete; e intende dire: vivetene!
E mi sorprende ogni volta come una dichiarazione d'amore: "io voglio stare nelle
tue mani come dono, nella tua bocca come pane, nell'intimo tuo come sangue,
farmi cellula, respiro, pensiero di te. Tua vita".
Qui è il miracolo, il batticuore, lo stupore: Dio in me, il mio cuore lo
assorbe, lui assorbe il mio cuore, e diventiamo una cosa sola. Lo dice benissimo
Leone Magno: partecipare al corpo e al sangue di Cristo non tende ad altro che a
trasformarci in quello che riceviamo.
Con il suo corpo Gesù ci consegna la sua storia: mangiatoia, strade, lago,
volti, il duro della Croce, il sepolcro vuoto e la vita che fioriva al suo
passaggio. Con il suo sangue, ci comunica il rosso della passione, la fedeltà
fino all'estremo. Vuole che nelle nostre vene scorra il flusso caldo della sua
vita, che nel cuore metta radici il suo coraggio, perché ci incamminiamo a
vivere l'esistenza umana come l'ha vissuta lui.
Corpo e sangue, donati: ogni volta che anche noi doniamo qualcosa, si squarciano
i cieli. Corpo e sangue, presi: ogni volta che ne prendo e mangio è la mia
piccola vita che si squarcia, si trasforma e sconfina per grazia.
Festa della comunione: a riportare nel mondo questa verità, a riscoprire questo
immenso vocabolo è stato Gesù. Senso definitivo del nostro andare e lottare, del
nostro piangere e costruire, «fine supremo fissato da Cristo stesso a tutta
l'umanità è il dono della comunione» (S. Bulgakov). Che si estende ad
abbracciare tutto ciò che vive quaggiù sotto il sole, i nostri fratelli minori,
le piccole creature, il filo d'erba, l'insetto con il suo misterioso servizio
alla vita, in un rapporto non più alterato dal verbo prendere o possedere, ma
illuminato dal più generoso dei verbi: donare.