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  P. PASQUALE ZIELLO   SEGUENTE

Birmania Felice

Parte prima: Introduzione

La Birmania può sembrare, e forse è, un’entità trascurabile sullo scacchiere internazionale. Però è anche essa una nazione, coi suoi venti milioni di abitanti, ricca di risorse naturali e non priva di importanza, essendo un incrocio di frontiere. Per i Cattolici dovrebbe essere più vivo l’interesse da un punto di vista religioso. "Guardare all’Oriente", Lenin ammoniva i suoi, "L’Oriente ci aiuterà a conquistare l’Occidente". Anche noi dobbiamo guardare con profonda simpatia all’Oriente. Prima, certo, alle grandi nazioni di quell’immenso continente; ma anche alle nazioni minori, che hanno anche esse una funzione da compiere nella storia del mondo e albergano anche esse anime immortali dei nostri fratelli da conquistare a Gesù Cristo. Una questioncella filologica. Si dice Birmània, come usa in Italia, o Birmanìa come usa tra noi missionari qui? Forse la nostra pronunzia, tramandataci dai nostri primi missionari, fu influenzata dalla pronunzia del francese Birmanie. Inoltre, i Barnabiti del secolo scorso la chiamavano Barmania, che si avvicina di più al nome birmano del Paese, Myan-ma, che si pronuniza Bama. La Birmania ha avuto parecchie qualifiche. Ecco quelle che ho riscontrato io. Terra del pavone, del maestoso sgargiante uccello che i birmani hanno adottato a simbolo della bellezza della loro contrada. Terra delle pagode dorate. Difatti la prima vista che colpisce l’occhio del visitatore sono appunto le innumerevoli e non di rado fastose pagode, slanciantisi nell’azzurro dei monti e dai piani come l’intimo grido che l’anima birmana, naturalmente religiosa, lancia al cielo. La terra delle donne indipendenti: è un altro epiteto attribuito alla Birmania, a causa di una marcata, benché relativa libertà che distingue le sue donne da quelle di molte altre nazioni orientali. Aurea Chersonesus fu il nome dato dagli antichi alla penisola Malacca, comprendente allora anche la Birmania, per la sua favolosa magnificenza. Birmania pittoresca amò chiamarla il famoso Padre Paolo Manna, che vi fu missionario per dieci anni. Titolo appropriato per le bellezze dei paesaggi e specialmente delle foreste, che avevano tanto colpito la poetica immaginazione del giovane padre. Birmania felice noi preferiamo chiamarla, con titolo che non esclude ma sintetizza i precedenti. Già l’hanno chiamata Terra felice, con termine che rammenta la nostra Campania felice e per un’analoga ragione, cioè che essa è una delle poche nazioni asiatiche, che producono riso in abbondanza dei loro bisogni. Solo che bisognerebbe includere in questo attributo anche la fauna e tutta la flora e in genere la fertilità del suolo della Birmania nella produzione non solo di riso ma di molte altre dovizie di cui il Creatore le è stato liberale. Non è esagerato quel che è stato scritto della Birmania: "Si può ben dire che la creazione abbia trovato qui uno dei campi di esperimento più docili all’effusione delle sue liberalità" (P.G.B.Tragella, "Frontiere d’Asia illuminate", p.42). Felice inoltre può chiamarsi la Birmania per il temperamento dei suoi abitanti, specialmente del gruppo etnico più numeroso e che le ha dato il nome, i Birmani. Gente simpatica, benevola, accogliente. Si potrebbe dire anche di loro: "Birman sangue gentile". E natura festevole, diciamo pure festaiola. Si potrebbe ripetere della Birmania quello che Renato Fucini scrisse di Napoli: "La prima impressione che si prova entrando in Napoli è quella di una città in festa". Un napoletano in Birmania si trova a casa sua. E da notarsi che un tal carattere "felice" del Birmano è in contrasto col suo buddismo, religione essenzialmente cupa e desolata. Non è la religione che ha trasformato i suoi seguaci e propria immagine e somiglianza, ma i seguaci che, con le loro pagode e le loro rituali feste hanno dato alla loro religione un volto gaio e sorridente. E’ la reazione dell’anima Birmana a una religione innaturale. E’ l’insopprimibile bisogno di felicità della natura umana, il cui appagamento il birmano cerca, brancolando, nel buddismo, ma che solo nel cristianesimo potrà trovare.

Lo scopo di questa operetta è anche di presentare al pubblico italiano la narrazione da lui stesso scritta dietro reiterate richieste, della conversione di un birmano buddhista. Una lettura edificante e avvincente, benché si limiti quasi solo a fatti, senza tanti commenti o analisi psicologiche. Al suo apparire otto anni fa, fu salutata, anche da persone autorevoli, come una stupenda odissea spirituale, uno straordinario itinerario alla Verità. Io la chiamerei "Le confessioni di un moderno S.Agostino in miniatura". La pubblicazioncella potrà forse avere un sapore di attualità. E’ in corso il 150 esimo anniversario della nascita di Kierkegaard. Di cui è stato scritto che "affrontò tutti i massimi problemi che si pongono all’uomo di ogni tempo: problema della verità e del senso della vita umana, problema di Dio e del significato del messaggio cristiano, problema dei rapporti tra fede e ragione, tormento del finito e brama dell’infinito, insufficienza dell’uomo a salvare sé stesso e necessità che Dio venga in aiuto della creatura umana, l’affanno e l’angoscia che dominano l’esistenza umana, e soprattutto la fame di amore che angustia il nostro cuore" ("La Rocca, 1 giugno 1964, p.32).U Maung Maung non è un genio come Kierkegaard. E’ però una persona intelligente, colta e onesta, ed è un appassionato indagatore della verità. I leitmotivs della sua singolare esperienza religiosa coincidono con quelli dell’opera di Kierkegaard, gli eterni temi dello spirito umano, che è essenzialmente "teologico", a qualunque plaga e religione appartenga. Altra ragione dell’attualità della presente pubblicazione è, a quanto sembra, una ripresa di propaganda del Buddismo in Italia. Il film "Budda" ha fatto il giro dei nostri cinema, suscitando nelle coscienze di parecchi cattolici un po’ di sconcerto per "il successo di Budda". La storia della conversione di un membro dell’intellighenzia birmana, il quale dopo avere cercato sinceramente di vivere in sé stesso il suo buddismo, ha poi sentito il bisogno di rigettarlo per rifugiarsi nel cristianesimo, ammonisce che è Cristo il vero "Budda", "l’Illuminato", "L’Oriente che ci ha visitato dall’alto per illuminare coloro che giacciono nelle tenebre e nell’ombra della morte, per guidare i nostri passi sulla via della pace.

Parte seconda: Buddismo

Capitolo I: Buddhismo in genere

Le due correnti principali. Il Buddismo rappresenta uno dei maggiori fenomeni che possa vantare la storia delle religioni, per la rapidità e la vastità della sua espansione. Dopo 25 secoli dalla morte di Buddha, si calcola che i suoi seguaci siano circa 150 milioni. Il Buddhismo è suddiviso in grandi scuole, il Mahayana o Grande veicolo, scuola più recente e l’Himayana o Piccolo veicolo. La prima si avvicina di più all’Induismo e ammette l’esistenza di un essere supremo. Insegna che la meta, che i perfetti raggiungeranno, sarà una vita di eterno amore e che questa meta potrà essere raggiunta non solo dal monaco ma da ogni fedele. La setta del piccolo veicolo, la più antica e la più fedele alla dottrina del fondatore nega questa dottrina, nega Dio ed assegna come premio ai fedeli, ma solo quando rinasceranno i bonzi, il raggiungimento di un oscuro indefinibile nirvana, che poi si riduce, come vedremo, a un annichilimento. Il Buddhismo fiorisce specialmente nella Cina, Giappone, Corea, Tibet, Vietnam (paesi del grande veicolo) e nella Birmania, Ceylon (Sri Lanka), Thailandia, Laos e Cambogia (paesi del piccolo veicolo). In Cina il Buddhismo è potuto sopravvivere essendosi costituito in una grande associazione nazionale praticamente asservita alle autorità comuniste. In Giappone il Buddismo è in piena vitalità. Metà della popolazione si professa Buddista. Vi sono 72.000 templi e monasteri Buddhisti e dieci università. In Birmania vi sono circa 80.000 bonzi in 2.000 monasteri, su una popolazione di circa 24 milioni. In Cambogia, su una popolazione di 3 milioni e mezzo, vivono e prosperano circa 55.000 bonzi in quasi tremila pagode-monasteri. In Thailandia dicono che le statue del Buddha siano più numerose degli abitanti. Su tutta la popolazione vi sono 21.000 monasteri e 240.000 bonzi.

Buddismo in Birmania. La Birmania non è la più Buddhista tra queste piccole nazioni del Sud-Est asiatico. Tuttavia essa è certo una nazione prevalentemente Buddhista. Il Buddhismo non vi fu mai ostacolato durante il dominio inglese, anzi, fu favorito. Però fu solo dalla rinascita nazionale che esso ebbe un potente impulso, durato sino all’avvento al potere del presente governo. Il nazionalismo non trovò nulla di meglio che abbinare religione e politica: "La Birmania ai Birmani" e il "Buddhismo relione dei Birmani" (cuius regio, eius religio). Il Buddhismo permea tutta la vita e la mentalità Birmana, e ne condiziona la vita sociale. Conscio del della potenza del fattore religioso Buddhista, il precedente governo lo sosteneva con tutti i mezzi. Convocò nel 1955 a Rangoon il sesto concilio ecumenico Buddhista, invitandovi rappresentanti da tutte le nazioni del piccolo veicolo, per celebrare il venticinquesimo centenario della morte di Buddha. Vi parteciparono 2473 bonzi Birmani e 144 venuti dalle altre 4 nazioni. Il governo preparò per l’occasione un vasto locale dove fece costruire un’imponente pagoda, chiamandola "Pagoda della Pace Mondiale" e una "Grande caverna", una specie di collinetta di cemento armato, in cui fu come incastrato un ampio salone sorretto da enormi pilastri e fantasticamente illuminato di sera. In questo salone si tennero le celebrazioni ufficiali del congresso a cui parteciparono tutte le alte personalità birmane e le autorità governative. Dopo le celebrazioni ufficiali, durante tre giorni, proseguirono i lavori del congresso. 500 tra i bonzi che erano intervenuti restarono a Rangoon, e per 24 mesi ogni giorno si radunarono in detto salone per vagliare i vari testi sacri Buddhisti e prepararne una nuova edizione in 50 volumi da 400 a 500 pagine l’uno. Il governo mise inoltre a disposizione dei congressisti la somma di 4 milioni di dollari (due miliardi e mezzo di lire italiane). Le celebrazioni erano intese a commemorare simultaneamente tre date memorabili, la nascita di Buddha (564 a.C.), la sua illuminazione e inizio della carriera religiosa (all’età di 36 anni) e la sua morte (verso il 404 a.C.) all’età di 80 anni. Avvenimenti che si suppongono avere avuto luogo tutti e tre il 24 maggio, chiamato perciò "giorno di importanza superlativa", "il giorno dei giorni". Durante il triduo dei festeggiamenti, ondate di pellegrini da ogni parte della Birmania affluirono alla capitale, per accalcarsi attorno alla Grande caverna e alla Pagoda della Pace, divenuta allora come fu detto, "il cuore della nazione". Ebbero luogo tali scene di fervore religioso, che la stampa descrisse le celebrazioni come un avvenimento senza precedenti nella storia del paese. Tra queste scene, la più impressionante fu l’iniziazione alla vita monastica di 2668 giovanetti. Era edificante per i Birmani vedere tutte quelle giovani teste rase in attesa di ricevere la veste gialla. Anche 44 ragazze vennero iniziate come novizie, e tra esse spiccava una figlia dell’allora Primo Ministro U Nu. Il quale può dirsi essere stato il grande Pontefice del Buddhismo in Birmania. Dicono che ogni mattina, prima di cominciare i suoi lavori, passava un’ora in meditazione. Nel suo viaggio negli Stati Uniti e nel Giappone, tenne parecchie conferenze sul Buddhismo, e ci tenne a dichiarare che, più che motivi politici, l’aveva spinto a lasciare la sua patria il desiderio di lanciare al mondo il messaggio Buddhista, unico rimedio, secondo lui, per la pace e la salvezza del mondo. Fu questo medesimo zelo che l’indusse a fare costruire a Rangoon, attorno alla Grande Caverna, altri fabbricati da servire come centro di cultura buddistica, una specie di università internazionale.

Capitolo II: Un po’ di storia

Persona di Buddha

Il fondatore del Buddhismo è un personaggio che ora tutti ammettono essere veramente storico. Nacque nel 560 o 564 a.C. in un villaggio di una piccola repubblica del Nord dell’India, ai piedi dell’Himalaya. Si chiamò Sakyamuni (il saggio dei Sakya). Visse nella casa del padre tra le più raffinate mollezze. Sposò, assai giovane, una o forse tre donne, una dopo l’altra. Dall’ultima ebbe un figlio. A 29 anni, disgustato della vita, fuggì dalla casa paterna, abbandonando moglie e figlio, deciso a intraprendere vita ascetica. Sette anni dopo, una notte (secondo la tradizione) mentre era assiso sotto un albero di fico, la luce della verità brillò nella sua mente ed egli divenne il Buddha, cioè l’illuminato. Quell’albero rimase per tanti secoli ed è ancora oggetto della più profonda venerazione da parte dei Buddhisti. Nelle celebrazioni del 1955 a Rangoon, alcuni rampolli di quell’albero furono portati in Birmania ed esposti alla pubblica venerazione. Il Buddha divenne tale a 36 anni. Da allora, per lo spazio di più di 44 anni, indossata la veste gialla del penitente, egli peregrinò senza posa attraverso le contrade del Nord dell’India, predicando la sua dottrina, mendicando il suo vitto e raccogliendo discepoli intorno a sé. Le sue prediche più famose furono: la predica di Benares, che tenne ai suoi primi cinque monaci, in un bosco presso Benares, città sulle rive del Gange. Con questa predica egli "mise in moto la ruota della legge". La seconda predica la tenne dalle alture di un monte detto Bodha-Gaya, che da allora divenne il luogo sacro dei Buddhisti. Quando, molti anni fa, il primo ministro U Nu espresse ai nostri Padri la sua intenzione di organizzare a spese del governo un pellegrinaggio di alcuni nostri preti indigeni a Roma, lo giustificò con questo motivo: "Per voi cattolici deve essere un sacro desiderio e un privilegio potere visitare Roma, come lo è per me Buddhista potere visitare Bodha-Gaya". Buddha morì a circa 80 anni di età, per avere ingerito un cibo malsano (non è certo che sia stata carne di maiale).

Culto di Buddha

Questo è in succinto il Buddha della storia. La fervida fantasia popolare lo ha poi adornato di innumerevoli leggende. Secondo alcuni suoi seguaci lo avrebbero divinizzato. Ciò non è esatto. I Buddhisti, almeno quelli colti, sono unanimi nel negare l’esistenza di un Dio come lo concepiamo noi, e nel proclamare Buddha solo come maestro, guida, amico. E’ vero tuttavia che essi hanno di Buddha un’idea altissima, come del supremo tra gli esseri umani e angelici. Lo chiamano "il Santo", "il Sublime", "il Compassionevole", "l’Onnisciente", "Nostro Signore Buddha", dotato di poteri meravigliosi e di conoscenze trascendentali, quali la facoltà di leggere i più reconditi pensieri degli uomini e di percorrere tutte le sue esistenze passate. Straordinario poi, è il culto prestato a lui e solo a lui. Non si venerano immagini o statue degli altri uomini o di angeli o di dei. Solo l’immagine di Buddha è esposta al culto. In tre atteggiamenti egli è rappresentato, in piedi, come maestro che insegna, accoccolato alla maniera indiana, in profonda meditazione, giacente nel riposo del nirvana. Sempre più avvolto nella sua veste di bonzo, con i suoi occhi a mandorla nel riposo, e il volto spianato a un leggero sorriso. Le pagode sono templi eretti in onore di Buddha, e molte sono ritenute come enormi reliquiari, contenenti un dente o un capello (aureo capello) di lui, benché storicamente sia accertato che il cadavere di Buddha fu cremato e le ceneri divise in otto parti e distribuite a vari luoghi. Le pagode possono essere antichissime o recenti, enormi o piccole, sontuose o squallide, ma sono pur sempre sacre e inviolabili. Se ne vedono in ogni città e in ogni paese e su tutti i cocuzzoli di colline o alture. Ogni città ne ha parecchie e i vari quartieri della città gareggiano a chi costruisce la più bella. Sono costruzioni dalla forma conica, terminanti in una guglia coronata da un fantastico ombrellino da cui pendono campanelli tintinnanti al vento. Sono rivestite di foglie d’oro che le rendono scintillanti al sole. Le più importanti sono illuminate di notte con lampadine elettriche disposte a cerchi concentrici che hanno un effetto fantastico. La più famosa pagoda della Birmania, e forse del mondo, è la Sciue-dàgon pagoda di Rangoon che si erge superba su tutte le altre costruzioni della città e si scorge da molto lontano. Uno scrittore locale la chiamò "la Grande, l’Eccelsa Pagoda che manda raggi risplendenti d’oro alla luce del sole sopra la capitale dell’Unione Birmana e lontana fino nel mare Andanam, il monumento dei monumenti, il Sancta Sanctorum del mondo Buddhista". Vi sono poi statue e statuette di Buddha qua e là dappertutto, in ogni casa Buddhista e nelle edicole distribuite lungo le strade. Ogni casa ha il suo altarino a Buddha, davanti al quale ardono perenni due ceri o una lampadina elettrica e fiori, di solito freschi e rinnovati ogni mattina, spandono il loro profumo. Questo culto potrebbe anche dirsi una divinizzazione di Buddha in senso largo, e ciò spiegherebbe come il Buddhismo, teoricamente ateo, si ostini a chiamarsi religione e abbia ancora tanti seguaci. Con questa pratica adorazione di Buddha esso avrebbe trovato il modo di soddisfare l’insopprimibile istinto religioso del cuore umano.

Durata del Buddhismo

Si hanno svariate opinioni su questo punto. Secondo i più, il Buddhismo sarebbe allo zenit della sua gloriosa ascesa al cielo spirituale dell’umanità e sarebbe sicuro di avere davanti a sé altri 2.500 anni di vita. Dopo questo periodo, Sakyamuni terminerebbe la sua missione e sarebbe succeduto da un altro Buddha, che mostrerà al mondo una nuova via di salvezza. Secondo tale opinione, molto diffusa, il mondo sarebbe controllato da cicli di Buddha, ciascuno dei quali durerebbe 5.000 anni. Ci sarebbero stati innumerevoli Buddha nel passato, e innumerevoli ce ne saranno in futuro. Altri "teologi" moderni sono più generosi nell’assegnare la durata di questi cicli e i limiti della missione di ciascun Buddha. In occasione delle recenti celebrazioni per il venticinquesimo centenario del Buddhismo, un "teologo" Buddhista (un vecchio con barba imponente, oriundo della Lituania, un cristiano apostata, pare), che si descrisse l’Arcivescovo Alfredo Maria Tennyson, capo dei Buddhisti delle tre repubbliche Baltiche della Lettonia, Lituania ed Estonia, pubblicò in un giornale locale un lungo articolo tra cui fra l’altro scriveva: "Gli intervalli delle apparizioni di Buddha si calcolano a milioni di anni. Il Buddha più vicino a noi è Signore Gotama Buddha Sakyamuni, del quale siamo distanti 2.500 anni…" "L’Arcivescovo" non osò predire quando sarà la fine del presente Buddha. E fu prudente. Perché un altro teologo, in quello stesso giro di giorni, asseriva che non si può sapere niente di preciso a questo riguardo, essendo la durata dei cicli dei vari Buddha sotto il diretto controllo del re dei nats (spiriti)

Capitolo III: Dottrina del Buddhismo

A. Circa Dio

Strano che l’ex-Primo ministro U Nu, uomo così intelligente, colto e naturalmente onesto e buono, si professi ateo. In un discorso alla Camera ebbe a dire: "La Birmania è divisa in due campi, quello che credono in un Dio creatore dell’universo e quelli che credono nelle quattro nobili verità (Buddhismo)". Dichiarava così il Buddhismo e la credenza in Dio due sistemi diametralmente opposti. Nel discorso inaugurale sul summenzionato sesto concilio ecumenico Buddhista, 3 dicembre 1954, il dottor Malalsekera fece a questo proposito queste dichiarazioni ancora più crude e battagliere: "Il Buddhismo è una religione che cerca la perfezione in questo mondo, nella vita presente. Il Buddhismo non considera questo mondo come una prigione dalla quale dobbiamo fuggire, ma come un luogo dove possiamo costruire il nostro cielo. Il messaggio che il Buddhismo vuole recare al mondo è che l’umanità deve sbarazzarsi dell’idea di Dio, idea che favorisce il totalitarismo (sic). Tutti i buddhisti sanno che le preghiere e le suppliche rivolte a un essere trascendente sono inutili…" Né U Nu né altri Buddhisti protestarono contro questa aperta demolizione dell’idea di Dio. Essa infatti è uno dei fondamenti della dottrina di Buddha. Quando una volta un discepolo domandò al maestro cosa bisogna pensare di Dio e da chi ha avuto origine l’universo egli rispose: "Quando tu vai per una foresta e ti accorgi di avere un piede trafitto da una spina, tu certo vorrai preoccuparti non già di sapere donde viene quella spina ma semplicemente di strapparla via e liberarti da quel dolore. Così la nostra unica preoccupazione deve essere quella di liberarci dalle sofferenze di questo mondo, non di sapere donde esso viene". E in altra occasione, quando il discepolo Vasettha (un indiano) gli parlava di Brahman (il dio supremo dell’Induismo) e del come fare per cercarlo e ricongiungersi a lui, Buddha gli chiese chi mai avesse veduto Brahman, per potere ammettere l’esistenza e si domandava se l’amarlo e il cercare di ricongiungersi con lui non fosse una stoltezza pari a quella di un uomo che si vantasse di amare la più bella donna di un paese, senza poi dire quale fosse il suo nome, a quale classe appartenesse, se fosse alta o bassa di statura, di che colore e dove abitasse. Sembra di dovere affermare che anche tra il popolo la negazione di Dio o piuttosto l’ignoranza dell’idea di Dio è universale o quasi. I più colti ne deducono logicamente che il Buddhismo non è una religione, ma una filosofia o una morale. Perciò anche il concetto di preghiera è estraneo alla mentalità Buddhista. Il bonzo e ogni pio buddhista medita, ma non comunica con Dio. U Nu nel bel mezzo della sua attività politica lasciò il governo, si ritirò sul monte Popa (monte sacro ai Buddhisti Birmani) e volle essere lasciato là indisturbato per tre mesi, ma a meditare, non a pregare. E’ vero che parecchi devoti Buddhisti affermano di pregare come noi preghiamo e che sono fedeli a cominciare la loro giornata con la preghiera. Ma quando chiesi a uno di loro in che cosa consistesse la sua preghiera, mi rispose con una litania, non di invocazioni a Dio o a Buddha, ma di auguri e benedizioni dirette a parenti, amici, nemici, inclusi noi preti cattolici: "A tutti ciandabazè (a tutti prosperità e pace!).

B. Circa l’uomo

1. Samsara

Il Buddhismo si inserisce nel quadro delle numerose dottrine filosofiche che hanno tentato di risolvere il problema del dolore. Buddha intuì l’importanza di questo problema, ma purtroppo propose una soluzione al di fuori dell’idea di Dio. Secondo lui, questo mondo è (come direbbe il Pascoli) "l’atomo opaco del male", il dominio di Mara che è il genio del male. I pochi piaceri che vi sono quaggiù sono effimeri, illusori. Alla gioventù, alla sanità, alla vita si oppongono inesorabili la vecchiaia, la mamattia, la morte. A tenere viva nella mente questa verità i buddhisti usano una corona, i cui grani fanno scorrere rapidamente recitando sempre queste tre parole: sofferenza, vanità, impermanenza. Questa corona i pii Buddhisti la recitano in casa, alla pagoda, in pubblico, in viaggio, negli uffici, ecc. Molti la portano sempre con sé, in tasca o pendente al collo, come un amuleto. Conservo ancora una di queste corone, portate via a una vecchierella birmana battezzata da me. Ricordo ancora la riluttanza della povera vecchia, quando le chiesi il sacrificio di quell’oggetto, ultimo residuo della falsa religione da cui doveva staccarsi. Come se lo stringeva forte al petto, prima di cedermelo! Credo che tanti di loro, se non tutti, ritengono questa corona come una preghiera vera e propria. Nell’offrire a un vecchierello infermo nell’ospedale un nostro foglietto di Preghiere recitabili da chiunque, cioè da chiunque crede in Dio, anche se non cristiano, gli dissi: "Zio, tu preghi il Signore?" Di rimando mi additò subito la sua corona Buddhista sul tavolino a fianco a lui. Tutto dunque è dolore in questa vita. Ma ciò non sarebbe il gran male se tutto finisse con la morte. Invece, secondo Buddha, seguace in ciò dell’Induismo da cui egli proveniva, una legge fatale e ineluttabile,il Karma (destino), ci condanna a rinascere, a ricominciare un’altra vita e poi ancora un’altra e così innumerevoli volte sicchè per un periodo indefinito di tempo, magari per lunghi secoli, si rimane incatenati a questa orribile prigione che è la terra. Questa indefinita serie di rinascite si chiama Samsara. La causa delle rinascite è il male commesso in vita o anche solo la sete di vivere, l’attaccamento alla vita e ai suoi piaceri anche se leciti. Ogni atto peccaminoso avrà automaticamente la sua punizione in una futura esistenza. Punizione che non può essere rimessa col pentimento. In questo sistema non c’è luogo al perdono. Anche una colpa involontaria e leggera come l’uccisione di un insetto può condannarci a subire un lungo ciclo di rinascite. Per questo molto spesso succede che, pur essendo buoni e innocenti, si abbia a soffrire molto, in espiazione di demeriti accumulati in esistenze anteriori. E’ il Karma, la legge inesorabile. Ricordo, durante la guerra una visita che feci a un mio amico buddhista, un avvocato. Era stato torturato dai Giapponesi per false accuse mosse contro di lui. Lo trovai accasciato su una sedia a sdraio, con forti dolori al petto che gli causavano sbocchi di sangue. Dopo avermi raccontata la sua disavventura, esclamò con un sospiro ma con semplicità e convinzione: "Pazienza! Io sono innocente, ma si sa, ne avrò fatte di grosse nelle mie esistenze passate!". Si può essere condannati a rinascere uomini o bestie, secondo il cieco capriccio del Karma. Di qui il rispetto dovuto agli animali, il merito di nutrirli e la proibizione di molestarli o peggio di ucciderli anche se per necessità. "Padre, mi diceva un mio amico Buddhista tessendomi l’elogio di sua madre, vuoi sapere com’era religiosa la mia mamma?" Non prendeva mai i suoi pasti senza prima mettere fuori dalla finestra un po’ di cibo per i corvi". "Già, soggiunsi, perché pensava che così dava da mangiare ai suoi antenati!". L’amico si schermì con un sorriso di confusione al vedere capita da me la verità. Fu molto edificante ed esilarante il gesto di U Nu quando, dopo avere proclamato il buddhismo religione di Stato ed emanata la proibizione di uccidere bestiame in ossequio alla religione Buddhista, volle dare un bell’esempio di questa simpatia fraterna verso gli animali. Alla presenza di un pubblico scelto, radunato un gruppo di maiali, lui e sua moglie rivolsero loro un breve indirizzo per dichiararli ufficialmente liberi dalla universale condanna a morte a cui li sottopone il resto del genere umano…

2. Nirvana

Quando sarà terminata la propria purificazione, cioè quando dopo un ciclo più o meno lungo di rinascite, si sarà pagato il proprio debito e si sarà raggiunto il perfetto distacco dalle cose della terra, allora si raggiungerà il Nirvana. Questa parola significa "estinzione" e potrebbe indicare per sé soltanto cessazione di ogni desiderio e di ogni attività spirituale e corporale, ma senza che l’anima cessi di esistere. Non una felicità positiva con appagamento di tutti i legittimi desideri, ma una felicità negativa, cessazione di ogni pena. Potrebbe però anche significare e dovrebbe logicamente significare, annichilimento della persona umana, perché non si può concepire un’anima che continui a esistere senza compiere nessuna attività intellettuale e volitiva. E’ dunque il Nirvana morte dell’anima? Alcuni Buddhisti cercano di eludere questa domanda, asserendo che il Nirvana è un concetto molto peculiare, che non può essere afferrato dalla mentalità occidentale. Però l’opinione che si può dire correttamente è che Nirvana è sinonimo di annientamento. Una volta sul tram mi incontrai con dei bonzi ai quali offrii a leggere un nostro libretto di propaganda in cui si parlava dell’immortalità dell’anima. Uno di loro protestò più enfaticamente degli altri. Tirò fuori un accendi-sigaro, lo accese, lo spense, poi disse sorridendo: "Vedi? Così è dell’anima nostra. Resta accesa finchè si è in vita. Si spegne alla morte e non ne resta più nulla". Fu questo appunto il pensiero di Buddha: "Si può dire che io propago la mia dottrina allo scopo di giungere all’annichilimento della persona umana che è proprio questo che attrae i miei discepoli".

Capitoloo IV: Buddhismo vs Comunismo e Cristianesimo

A. Buddhismo vs Comunismo

Il Buddhismo, benché senza Dio, vuole essere di fatto, sia pure incoerentemente, una religione. Mentre il marxismo esclude dal suo sistema qualunque religione. Perciò uno dei primi atti del presente consiglio rivoluzionario fu l’abolizione del buddhismo come religione di Stato. Qual è l’atteggiamento del buddhismo verso il socialismo marxista? Evidentemente è un atteggiamento ostile. Ma è logica questa avversione? Si vuole dai Buddhisti asserire l’incompatibilità tra marxismo e Buddhismo. Ma si può essa dimostrare? Sono due ideologie affini perché ambedue negano Dio e l’immortalità dell’anima. Solo che il Buddhismo si limita alla negazione di queste due verità, insegna una morale sana, benché vaga ed elastica e proclama la fratellanza di tutti gli uomini. Mentre il comunismo con più coerenza spinge la negazione di quelle fondamentali verità alle più logiche, anche se con disastrose conseguenze. Inoltre Buddha, nel suo cupo e desolato pessimismo, avendo negato Dio e il paradiso dall’altra vita, e vedendo che è impossibile raggiungere la felicità quaggiù ed eliminare la sofferenza e la morte dal mondo, affermò che non vale la pena vivere, e che è preferibile rinunciare alle illusorie gioie del mondo, prevenendo così il dolore che nasce appunto da esse. Il marxismo, con altro ragionamento, anch’esso logico a suo modo, avendo negato il paradiso di oltretomba, si sforza di cercarlo e attuarlo in questa vita, per soddisfare almeno in parte l’insopprimibile bisogno di felicità insito nella natura umana. Contrariamente a quanto affermò il Dott. Malalsekera (falso interprete del Buddhismo) nel citato discorso del 3 dicembre 1954, il buddhismo vede in questo mondo una prigione, dalla quale dobbiamo sforzarci di uscire, mentre il marxismo vuole costruire il nostro cielo su questa terra. Perciò U Nu, con più coerenza del Dott. Malalsekera, nei suoi discorsi contro il comunismo, non si appellò mai a motivi religiosi, bensì a due motivi di ordine naturale, l’amor di patria e l’amore alla libertà, due beni preziosi e cari a tutti, che l’avvento del comunismo distruggerebbe. Emergerà il comunismo vincitore di questa lotta? O sarà travolto dalla tormenta comunista, magari con tutte le altre religioni della Birmania? Nel 1946, un comunista, ex-ministro della Pubblica Istruzione, conversando con me ed altri, così preconizzava il trionfo del comunismo: "Noi dobbiamo visualizzare il futuro. Ancora tre anni e l’Inghilterra diventerà comunista, altre nazioni lo diventeranno, e anche la Birmania. E allora i missionari cristiani dovranno rassegnarsi a curare solo i loro fedeli. I bonzi, parassiti della società, saranno forzati o ad uscire dalla loro inerzia e cooperare in attività sociali, o a scomparire". Gli feci notare che il mestiere di profeta non è così facile. Ma, che quel pronostico, per ciò che riguarda la Birmania, sia sbagliato solo di alcuni anni?

B. Buddhismo vs cristianesimo: sprazzi di luce.

In un articolo di fondo del più popolare giornale della Birmania, "La Nazione" (soppresso ora dal governo, il 17 maggio 1964), il redattore capo, un buddhista, sotto il titolo "Il luogo immortale", dichiarava: "I milioni di buddhisti che esultano oggi in tutto il mondo, professano un unico credo fondamentale: che c’è una parte dell’uomo che è immortale, che l’uomo è insieme copro e anima… Il buddhismo e il materialismo sono come due poli opposti… Non ci può essere nessun compromesso tra il buddhismo e un sistema perverso che lega la volontà dell’uomo ai dettami di questo dio terreno, che si chiama produzione…" E concludeva con queste parole attribuite a Buddha: "La vita, anche di un giorno solo, di chi vede il Luogo Immortale è migliore della vita, anche di cento anni, di uno che non vede questo luogo". L’articolo commemorava il 24 maggio 1956, data culminante delle celebrazioni per il 250 esimo anniversario del Buddhismo. Un altro Buddhista di grido, il summenzionato "arcivescovo" Tennyson, in un articolo pubblicato sullo stesso giornale, in quella stessa data, presentava il messaggio di Buddha come un "farmaco che ci fortifica in vita e in morte, e dà a noi mortali il dono dell’immortalità". E citava alcuni versi di Buddha, che cantano le lodi della fede: "La fede ci conduce alla Città della Beatitudine… La fede è il piede con il quale camminiamo alla ricerca del Grande Tesoro, la mano con la quale afferriamo la felicità…" Tutte queste parole certo non hanno per i buddhisti lo stesso significato concreto per noi. Hanno un senso vago, che essi non saprebbero precisare. Ma denotano pur sempre un’aspirazione alla felicità, a un "Grande Tesoro", e cioè a una felicità positiva, un Luogo Immortale,al di là di questa terra. Non è quest’aspirazione, tanto più vicina al nostro Paradiso che al Nirvana, distruzione di ogni desiderio nonché dell’anima stessa? C’è tanto da pregare e lavorare per questi nostri fratelli Buddhisti, specialmente per quelli che vivono all’ombra della Grande Caverna e del Sancta Sanctorum del Buddhismo. Che Gesù si riveli anche a loro e li conduca al suo Luogo Immortale, alla sua Città della vera ed eterna beatitudine.

P. Pasquale Ziello, 2.6.1964, Camp Rangoon