CIMI
 FORUM CIMI 2002  Forum Istituti Missionari 
31 gennaio - 4 febbraio 2005 - Ariccia (Roma)

MISSIONE SENZA CONFINI
Gli Istituti Missionari oggi in Italia: tra ascolto e profezia

EDITRICE MISSIONARIA ITALIANA

Presentazione (Angelo Besenzoni) 
Introduzione Memoria di un cammino (Gottardo Pasqualetti) 
Parte prima NELLA CHIESA, IN ITALIA
Gli Istituti missionari nella Chiesa italiana. Prospettive dopo il convegno missionario di Montesilvano
 
(mons. Giuseppe Betori) 
Il carisma degli Istituti missionari nella Chiesa italiana (Gianni Colzani) 
Centri missionari diocesani e Istituti missionari dopo Montesilvano (Gianni Cesena) 
Centri missionari diocesani e Istituti missionari nel Sud Italia (Alfonso Raimo) 

Parte seconda TRA CULTURA E COMUNICAZIONE
Quale cultura è mai questa? (Mauro Magatti) 
Conflitti e culture. A proposito di islam in Europa (Stefano Allievi) 
A servizio della solidarietà nella rete globale
(Jean-Léonard Touadi) 
Come comunichiamo oggi e come potremmo comunicare domàni (Gerolamo Fazzini) 
Vorrei parlarvi di me, giornalista... (Daniele Barbieri)...
Parte terza LA MISSIONE E I MOVIMENTI
Un mondo di "movimenti" (Ottavio Raimondo) 
Stato e prospettive del "movimento" (Alberto Castagnola)
Conclusioni
Ascolto e profezia
Propositiones 
Appendici
 
Comunicato finale 

PRESENTAZIONE

Con l'appuntamento di Ariccia, dal 31 gennaio al4 febbraio 2005, il Forum degli Istituti missionari è giunto alla sua terza edizione. Organizzato dalla CIMI (Conferenza degli Istituti Missionari in Italia), dal SUAM (Segretariato Unitario Animatori Missionari) e dall'EMI (Editrice Missionaria Italiana), è momento di incontro e di confronto tra membri di istituti che, se pur con diverse configurazioni giuridiche, si ritrovano nella passione ad gentes e ad extra come scelta totalizzante di vita.
A vari livelli Provinciali e Regionali, Animatori, Formatori e Direttori di Riviste si incontrano già regolarmente nei vari organismi di comunione che sono andati via via formandosi (CIMI, SUAM, FeSMI, Segretariato Formatori, Commissione "Giustizia e pace") per cercare un cammino e una testimonianza comuni. TI desiderio di servire insieme la missione ha già prodotto anche realtà concrete importanti, non solo per gli istituti missionari, ma per tutta la società italiana: l'EMI, l'agenzia di notizie MISNA, la rivista «Ad Gentes».
Sta diventando ormai tradizione che ogni tre anni ci sia offerta questa ulteriore occasione per un confronto, aperto a tutti i membri dei nostri istituti, che permetta una riflessione approfondita, un dibattito e la formulazione di proposte in ordine alla nostra presenza missionaria in Italia.
I nostri incontri hanno sempre cercato di collegarsi ad eventi ecclesiali importanti per l'impegno missionario. Se il primo Forum, "Come orizzonte il mondo", prendeva lo spunto dal Convegno missionario di Bellaria e il secondo, "Insieme prendere il largo", si ispirava al messaggio del Papa all'inizio del nuovo millennio (Novo Millennio Ineunte), quest'ultimo ha preso come punto di riferimento il Convegno missionario di Montesilvano (settembre 2004) sul tema "Comunione e corresponsabilità per la missione".

Ascolto della Chiesa di cui siamo parte

Il Forum è stata una grande esperienza di ascolto. Abbiamo ascoltato con interesse la relazione di mons. Giuseppe Betori, Segretario della CEI, che ci ha ricordato il ruolo che i nostri vescovi attribuiscono agli Istituti missionari: quello di essere "memoria della missione della Chiesa" e "segno e stimolo della sua animazione missionaria". Ci è venuto l'invito a non sentirci disorientati, ma a rallegrarci per una Chiesa che finalmente si sente tutta missionaria e fa della missione ad gentes il paradigma della propria pastorale. 
Animati dalla spiritualità dell'Inviato per essere di aiuto al cammino missionario delle Chiese di cui siamo espressione, siamo stati invitati a essere fedeli al nostro carisma: dell'apertura universale,
delle posizioni di frontiera, del primato di Dio e dell'annuncio della solidarietà coi poveri, della giustizia e della pace. Nel segno della Comunione e Corresponsabilità voluta da Montesilvano ci è stato chiesto di accompagnare la conversione pastorale della Chiesa italiana, possibile solo attraverso una conversione nostra.
Don Gianni Cesena e don Alfonso Raimo, direttori missionari
regionali che idealmente rappresentavano il nord e il sud Italia, richiamando la coscienza emersa a Montesilvano di un "movimento missionario" che sia  "portatore non solo di una serie di iniziative, ma anche di una maniera di interpretare la fede... di leggere la storia... di intenderne la vita...", ci hanno invitato ad una partecipazione sempre più attiva al cammino delle Chiese locali, nelle loro varie articolazioni, perché la missionarietà della Chiesa, tanto presente nei documenti, diventi anche prassi concreta di scelte e di vita. 
Il contributo teologico di don Colzani ci ha chiesto di tradurre il
carisma ad gentes in "regola di vita e comportamenti che illuminino il valore cattolico di ogni impegno locale". In una Chiesa comunione, articolata in ministeri e carismi diversi, gli istituti saranno chiamati concretamente a diverse forme di impegno, ma sempre in una vita tutta donata a Cristo e alla Chiesa nel servizio al Vangelo e nella testimonianza del primato del Regno. Graditissime sono state la presenza e l'omelia di mons. Giuseppe Adreozzi, Direttore dell'Ufficio per la Cooperazione Missionaria tra le Chiese, di p. Teresino Serra, Superiore Generale dei Comboniani e la celebrazione conclusiva del convegno da parte di S.E. mons. Robert Sarah, Segretario della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli. 

Ascolto della società in cui viviamo e operiamo

"Quale cultura è mai questa?" ci siamo chiesti il secondo giorno. A detta di molti questa giornata dedicata all'ascolto della cultura contemporanea avrebbe dovuto precedere quella sul nostro inserimento ecclesiale. Due sociologi, Mauro Magatti, dell'Università Cattolica di Milano, e Stefano Allievi, dell'Università di Padova, ci hanno aiutato a leggere i cambiamenti del tempo presente.
Le loro analisi ci hanno fatto capire anzitutto quanto siamo impreparati a capire le dinamiche della cultura presente. Noi che partendo per un paese diverso dal nostro siamo disponibili almeno a tentare il salto culturale che ci pone in ascolto e in dialogo con il mondo che ci accoglie, siamo poi pigri e impreparati nel reinserimento in una cultura "nostra", ma ormai "altra" rispetto a quella che avevamo lasciato. Capire i "segni dei tempi", le attese e i problemi della gente senza rifiuti, pregiudizi o rimpianti; interpretare il nostro nuovo ruolo in una società globalizzata e "rispazializzata", divenuta multietnica e multiculturale, guardare in faccia all'individualismo e al relativismo imperanti e scoprire nuovi modi per testimoniare la bellezza dell'incontro con Cristo e la fortuna dell'incontro con gli altri è una sfida per la nostra missione di oggi.
Nel pomeriggio dello stesso giorno ci siamo confrontati sul modo in cui comunichiamo: se è notevole l'influsso di MISNA, le nostre riviste, pur apprezzate, dovranno prevedere sinergie e alleanze più strette per il futuro. Siamo voce di chi non ha voce, a volte l'unico strumento attraverso il quale le situazioni e le esperienze del Sud del mondo vengono divulgate nel nostro paese. È importante però che non siamo solo portavoce, ma strumenti che permettono ai protagonisti stessi di parlare.

Ascolto dei movimenti della società civile che come noi si impegnano per la giustizia e la pace

Il terzo giorno, dopo un'appassionata introduzione sulla realtà dei movimenti di p. Ottavio Raimondo, abbiamo incontrato rappresentanti di reti e movimenti, che pur essendo aconfessionali, trovano una sintonia profonda con la nostra battaglia per stili di vita alternativi, per un mondo più giusto e solidale. Tutti ci hanno ricordato l'immenso capitale di stima e di simpatia che anche il mondo laico nutre per i missionari, il valore delle testimonianze dirette su conseguenze sperimentate in loco di certe politiche o scelte economiche. D'altra parte a noi è chiesto di riflettere su radici e cause di ingiustizie e violenze che incontriamo nel nostro ministero missionario, per non ridurci ad essere soltanto "ambulanze del sistema".

Ascolto gli uni degli altri

Nella diversità di approcci dei singoli Istituti emerge il desiderio di una comunione sempre più profonda e di una testimonianza comune più forte. I laboratori, la condivisione della preghiera e di tutta la giornata ci hanno permesso di conoscerci meglio e di apprezzare approcci e stili diversi. Abbiamo capito come la prima profezia che siamo chiamati a vivere è quella della comunione tra di noi. La fedeltà al carisma dei nostri Fondatori e alle tradizioni venerande dei singoli Istituti non è scusa per rinchiudersi nel proprio orto; l'apertura all'universalità, che sentiamo come vocazione nostra, ci chiama ad abbattere anzitutto i muri e le rivalità che dividono noi stessi.
A un cammino sempre più integrato tra gli Istituti missionari tendono molte delle propositiones che sono state alla fine formulate e che già cominciano ad essere valutate dagli organi competenti. Tocca a ciascuno, però, vivere e far crescere questa mentalità nel quotidiano di tante scelte.

Una profezia da vivere insieme

Suor Elisa Kidané, nella sua conclusione, ci ha ricordato che la profezia non sta tanto "in posizioni eclatanti o denunce planetarie", ma nella fedeltà alle piccole cose e in un cammino quotidiano fatto di una ricerca di comunione e di corresponsabilità che non escluda nessuno. Questa raccolta degli Atti che capita nelle vostre mani vuol essere un contributo nella ricerca e un invito a scoprirla e a viverla mSleme.
Il desiderio di immergerci sempre più in una Chiesa che sentiamo nostra, ma che vogliamo davvero aperta a tutti - convertendo noi stessi per aiutare la sua conversone alla missione - la volontà di incarnazione in questo mondo cui dobbiamo offrire l'annuncio e la testimonianza di un mondo sempre "altro", la collaborazione con tutte le persone di buona volontà per costruire la giustizia e la pace e tutto questo rimanendo fedeli a noi stessi e alla nostra vocazione sono strade già aperte di fronte a noi per accogliere un dono dello Spirito fatto a noi ma non solo a noi, né solo per noi: "Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore dare loro il suo spirito!» (Nm 11,29).

P. ANGELO BESENZONI
Presidente CIMI

 

Introduzione
MEMORIA DI UN CAMMINO
di Gottardo Pasqualetti*

La "Memoria", nel suo significato biblico-liturgico, è presenza, attualità di un evento. E in tale senso vedo questo intervento sul cammino compiuto nei Forum degli Istituti Missionari in Italia, voluti e realizzati da CIMI, SUAM, EMI: il primo (3-6 febbraio 1999), nella Casa "Divin Maestro" di Ariccia sul tema "Come orizzonte il mondo. Gli Istituti Missionari oggi in Italia: tra sfide e comunione" (1); il secondo (4-8 febbraio 2002), nello stesso luogo, su "Insieme prendere il largo. Gli Istituti Missionari oggi in Italia: tra memoria e realtà" (2). Istanze e obiettivi dei precedenti ispirano e orientano anche il terzo Forum: Missione senza confini. Gli Istituti Missionari in Italia: tra ascolto e profezia (Ariccia, 31 gennaio - 4 febbraio 2005).

Motivazioni

Fin dall'origine, il Forum non è stato pensato come un convegno aperto a tutti, ma come un incontro degli appartenenti a quelle istituzioni che si considerano esclusivamente missionarie. Por nella diversa configurazione giuridica (clericale, laicale, religiosa o associativa), esse si riconoscono nella missione ad gentes come scelta di vita che coinvolge tutto e sempre, nella apertura all'universalità, nel privilegiare l'andare "oltre" in senso geografico e antropologico. Si è pensato al Forum come momento di confronto di questo "frammento" della variegata galassia del mondo missionario, o "movimento missionario" come oggi si preferisce dire. Analisi e verifiche, riflessioni e proposte hanno questo fondamentale riferimento carismatico.
L'avvio è venuto dalla percezione sperimentata e anche sofferta di essere inseriti in un contesto ecclesiale e sociale, e in una situazione interna agli Istituti stessi rapidamente e profondamente cambiati. Con la conseguente esigenza di riconsiderare il nostro modo di essere in Italia come missionari.
Più radicalmente ancora, è emersa la domanda se c'è ancora posto per noi in Italia. Interrogativo sollecitato anche da studi e riflessioni di teologi e pastoralisti. Infatti, gli Istituti nati per andare ad gentes hanno considerato come principale giustificazione della loro presenza in Chiese costituite, di antica tradizione e autosufficienti, l'impegno di suscitare o sostenere la coscienza missionaria del popolo di Dio, favorire l'impegno vocazionale, sollecitare la solidarietà con i più bisognosi, promuovere la conoscenza dei popoli, delle loro culture e religioni, informare sulle giovani Chiese nate dall'attività missionaria. Con la crescita del senso missionario dei battezzati e di ogni comunità cristiana e con l'organizzazione dei Centri Missionari Diocesani e degli organismi missionari a carattere nazionale, è maturata una riflessione sulla validità della presenza di Istituti missionari: "Se gli Istituti missionari avevano avuto il grande merito di portare il peso dell' attività missionaria, ora - a parere di alcuni - avrebbero dovuto sciogliersi per lasciare la responsabilità dell'impegno missionario alle Chiese particolari; il permanere della prassi precedente avrebbe voluto dire mantenere una concezione ecclesiologica universalistica e centralistica a scapito delle Chiese particolari. Di più, dato che ormai in tutti i territori del mondo erano stabilite Chiese particolari, non si vedeva come la responsabilità dell'annuncio ad gentes si
dovesse ancora lasciare a missionari provenienti dall'estero, per quanto questi si mettessero a servizio della Chiesa particolare" (3). Di qui lo spostamento di accento sulla missione come "cooperazione tra le Chiese". Ma dove queste ancora non esistono?
Nonostante questi interrogativi, più o meno radicali, viene affermata la validità, almeno pratica, delle istituzioni missionarie di cui si sta parlando, Infatti, anche chi ha difficoltà a "trovare una ragione plausibile alla... presenza" degli Istituti missionari, ammette che di fatto essi "svolgono una funzione fondamentale nell'attività missionaria della Chiesa. Per questo risulta difficile sostenere che il loro compito è esaurito" (4).
La validità della loro presenza è riaffermata da vari documenti ecclesiali, in particolare dalla RMi (59-60) e per l'Italia da interventi della CEI, che raccomandano agli Istituti missionari "di saper assolutamente rimanere se stessi, fedeli all'azione missionaria ad gentes e ad vitam; ben lungi dall' aver esaurito il proprio compito, devono piuttosto avere ancor più ampia incidenza nella vita della Chiesa intera" (5). Essi sono: "memoria della missione della Chiesa", "segno e stimolo della sua animazione missionaria" (6), richiamo alla Chiesa della sua responsabilità per ''l'evangelizzazione universale" (7).
Tuttavia, la considerazione del cammino teologico e missiologico compiuto dal Vaticano II porta a concludere che essi "devono ricomprendere il loro posto nella Chiesa" (8).
È precisamente questa istanza che ha fatto pensare al Forum, per riflettere sul ruolo degli Istituti missionari nella Chiesa italiana oggi; riesaminare e rivedere non tanto le ragioni della loro presenza, quanto piuttosto i criteri di scelta delle attività, i metodi di azione in modo che corrispondano alloro carisma; approfondire che cosa si intende per animazione missionaria e come attuarla, cambiando o abbandonando metodi validi in passato che risentono dell'usura del tempo e non si adattano alla composizione e alla sensibilità attuale delle
comunità cristiane. In sintesi: come essere missionari nella Chiesa italiana oggi; come essere "epifania" della missione anche in Italia (9).
L'intento era, e rimane, di arrivare a delineare un "progetto degli Istituti missionari in Italia" (10).

Attenzioni

Vari aspetti di questo "progetto" sono stati toccati nei precedenti Forum, alcuni sfiorati, altri discussi più ampiamente.
Il primo si è soffermato soprattutto sulla collocazione dei missionari nella Chiesa italiana, considerando in particolare:
- la moltiplicazione di forze che si interessano alla missione, sia pure solo a qualche suo aspetto (magari ritenuto come il "tutto" della Missione); si deve fare i conti con questa realtà, che pone fine al regime di delega che rendeva gli Istituti esclusivamente missionari "gli unici fiduciari della missione ad extra" (11);
- l'evangelizzazione nella società post-moderna;
- le strutture e gli strumenti dell' animazione missionaria;
- la corrispondenza degli impegni, anche pastorali, al carisma; -la relazione con la Chiesa, gli altri Istituti e le associazioni missionarie.
Il secondo Forum è ritornato piuttosto sugli aspetti carismatici e ha fortemente ribadito l'esigenza di "non svenderci", di rimanere fedeli "a noi stessi", vivendo in pienezza "il nostro essere missionari, secondo il nostro carisma, per essere memoria e profezia della missione, il criterio e il modello di quel rinnovamento missionario della pastorale" proposto dai vescovi italiani come programma per questo decennio
(12).
Ha messo quindi in risalto la necessità della qualificazione, di presenze significative, di persone che vivano o lavorino anche qui, in Italia, con nel cuore la missione ad gentes, nella vita la consacrazione all'annuncio del Vangelo, nell'attività la passione per la sorte dell'umanità, soprattutto dei poveri e degli oppressi; di persone che si impegnino chiaramente e decisamente per la giustizia e la pace, diano testimonianza di apertura all'universalità, di stima, amore e attenzione ai popoli, alle loro attese, sofferenze, speranze.

Proposte

Missione e comunione, con relative specificazioni, sembrano essere le proposte emergenti, su cui si è particolarmente insistito.

LA MISSIONE. Riaffermata come costituitivo qualificante del nostro carisma, viene considerata in tutta la sua realtà "ricca, complessa e dinamica", senza riduzioni (cfr. EN 17). Ne sono state evidenziate alcune caratteristiche corrispondenti alla nostra specificità carismatica:

- Anzitutto il primato dell'annuncio da portare in tutto il mondo, negli areopaghi impenetrabili, estranei o restii al Vangelo, difficilmente raggiungibili. Per quanto riguarda l'Italia è stato sottolineato che è nostro compito tenerne viva o risvegliarne l'urgenza. Il Papa continua a ripetere con una certa insistenza la necessità, in questo inizio di millennio, di "nuovo dinamismo", "nuovo slancio", "rinnovato impulso" per l'evangelizzazione del mondo. I Vescovi italiani lo hanno calato nel programma decennale "Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia", ribadendo anch'essi che compito "primario della Chiesa è testimoniare la gioia e la speranza originate dalla fede nel Signore Gesù Cristo, vivendo la compagnia degli uomini, in piena solidarietà con loro, soprattutto con i più deboli" (13).

- "Ad gentes" in Europa-Italia. Questa urgenza pone a noi interrogativi sull' ad gentes in Europa e più direttamente in Italia. Sono affiorati nel primo e nel secondo Forum. L'Europa può considerarsi "terra di missione" in cui impegnarsi con il nostro carisma ad gentes e ad extra? "Nel 'vecchio' Continente - dice il Papa - vi sono estese aree sociali e culturali in cui si rende necessaria una vera e propria missio ad gentes" (EE 46). Questo vale anche per l'Italia e si fa sempre più frequente la richiesta agli Istituti missionari di impegnarsi in alcuni compiti "caldi" della evangelizzazione. La riflessione è aperta, le risposte sono differenti, più o meno radicali. Alcuni ritengono possibile assumere impegni "in parte assimilabili a quelli della missione ad gentes". Su questa linea è il primo Forum: "Le circostanze attuali suggeriscono di estendere, in modo compatibile con il carisma degli Istituti stessi, questa presenza anche ad alcune esperienze di prima evangelizzazione in quelle aree che espressamente richiamano il carisma ad gentes. Queste esperienze saranno di ispirazione anche per l'animazione e la pastorale vocazionale. Consapevoli della complessità di questa scelta, si chiede agli Istituti di collocarla dentro una strategia missionaria globale" (14). Altri si mostrano decisamente contrari, ritenendo che "l'ad extra fa parte integrante della vocazione missionaria specifica", mentre "gli spazi di prima evangelizzazione sono immensamente più ampi in altri paesi e continenti che in Italia" (15). Vi sono anche dei "distinguo": sì, con personale che viene da altri continenti, o a sostegno dell'animazione vocazionale.
Indipendentemente dalle risposte, anche ufficiali, la preferenza è di fatto per impegni ad extra, piuttosto che in Italia. In ogni caso, rimane l'urgenza di collaborare alla proposta dei Vescovi di imprimere alle comunità e alla loro pastorale una fisionomia con i tratti caratteristici della missione ad gentes. Più che ricette, occorrono scelte concrete: situarsi in luoghi di frontiera e di marginalità, rinnovare i modi di annunciare Cristo, ricorrere a nuovi "pulpiti", scegliere lo stile di missione più che di "conservazione" per rivolgersi a chi in numero sempre crescente "sta alla soglia", non crede o non si riconosce più nella Chiesa.

- Andare" oltre". È un altro apporto che possono dare gli Istituti Missionari. Anche se nati e operanti in Chiese locali, non sono legati a nessuna di esse in modo stabile, e per la loro stessa vocazione sono chiamati a "guardare lontano". I vescovi chiedono loro di aiutare la Chiesa italiana "a mantenere sul mondo lo sguardo giusto" (16), a respirare aria mondiale, a "pensare globalmente", a dimensione planetaria, uscendo da una pastorale introversa, rannicchiata su se stessa, ferma al "qui e ora". La cattolicità della Chiesa comporta che si guardi oltre i confini della propria parrocchia, diocesi, nazione, per "andare incontro alle necessità della Chiesa intera, pronti a predicare ovunque il vangelo" (17) Infatti "la nuova evangelizzazione sul territorio riceverà slancio e ispirazione da una sincera ed effettiva apertura alla missione universale. Un'autentica pastorale non può mancare di questa dimensione, perché la carità è vasta come il mondo" (18).
Un'apertura che assieme ad altre componenti va promossa soprattutto nei giovani, più sensibili alla città multi culturale e multietnica. Sotto varie forme, e con diverse iniziative, l'animazione degli Istituti missionari si rivolge a loro, trovando spesso una rispondenza sorprendente. E nel mondo missionario essi trovano quella sintonia che non riescono a cogliere in altri ambienti ecclesiali. In questa prospettiva si ha oggi una possibilità più ampia di alcuni anni fa nelle scuole, anche per la carente preparazione degli insegnanti in questo campo. Il secondo Forum ha proposto di potenziare questo inserimento in scuole e università. Molti animatori hanno sviluppato queste attività anche in ambito scolastico e, in ogni caso, richiamando l"'attenzione all'altro, al diverso, visto non come minaccia, ma come dono nella sua ricchezza umana e culturale" (19).

- Profezia. Dal mondo missionario è oggi attesa una voce forte, anche critica, di fronte a provvedimenti legislativi, sistemi economici, comportamenti di vita, che non sono in linea con il vangelo. Per una conversione in senso missionario è necessaria un'alternativa, "uscendo dagli schemi un po' sc1erotici della 'cristianità organizzata' e riprendendo lo stile dei primi cristiani" (20) e della missione. Pare che la Chiesa italiana non riesca a imboccare questa strada. Molti dicono di attenderla da noi. Richiesta risuonata anche nell'aula assembleare di Montesilvano.

- Qualificazione. Per fare questo è necessario che quella dei missionari sia una presenza e un'animazione qualificata. Lo sottolinea molto il secondo Forum: Prendere il largo, nel significato dato dal Papa stesso: allargare gli spazi di attenzione e azione (Chiesa, cultura, società, economia, politica...) e insieme andare in profondità nella preparazione "professionale", nella spiritualità, nella formazione, nel dinamismo apostolico. Lo stesso Forum ha fortemente ribadito "la necessità di essere persone e soprattutto comunità di forte proposta evangelica, che vivono e testimoniano la radicalità della missione, nella comunione, nello stile di vita, nell' essere eco delle realtà del mondo in modo positivo, e critico quando non corrispondono ai valori del Regno" (21). Positivi nel presentare i valori, le qualità, le situazioni e i cammini di popoli, culture, Chiese; critici nell'individuare le cause e le radici dei mali che affliggono l'umanità.

- Testimonianza. Oltre alle componenti già ricordate, come annuncio, dinamismo, attenzione alle situazioni mondiali, è emersa in modo forte l'istanza, poi rinnovata negli incontri con gli animatori, per uno stile di vita alternativo a quello consumistico. Ormai è chiaramente dichiarata da più parti l'''insostenibilità'' dello sviluppo finora perseguito, che porta necessariamente alla distruzione delle risorse di vita della terra (22). Molti non si rendono conto del progressivo deterioramento della qualità della vita e dei limiti di sostenibilità del nostro sistema economico.
Il tenore di vita dell'Occidente va messo in discussione, contro i tentativi di perpetuare i privilegi di cui finora ha goduto, spesso a scapito dei paesi poveri del Sud del mondo.
Iniziative e "strumenti" concreti per educare e agire in questo senso sono numerosi. Anche questo fa parte della missione e gli Istituti missionari ne devono portare avanti la sensibilizzazione, e la testimonianza nelle loro comunità.

- Comunione. Questa è senza dubbio la proposta fatta con maggiore insistenza e forza. Lo suggerivano gli stessi tre organismi proponenti, espressione di cammini comuni nell' animazione missionaria (SUAM), nella direzione e programmazione da parte dei Superiori e delle Superiore (CIMI), nell'editoria di libri e audiovisivi (EMI). Cammino che ha avuto anche altri significativi sviluppi di comunione: la FeSMI, la rivista «Ad Gentes», l'agenzia MISNA, le commissioni della CIMI per la Formazione e per Giustizia e Pace.
La volontà di proseguire con lo stesso metodo anche in altri settori è stata proposta come un'esigenza inderogabile e un'urgenza. Del primo Forum si è detto: "le parole che più sono risuonate sono: 'insieme', 'dialogo', 'collaborazione', 'concertazione"'. Tra le sue proposte operative la quinta suona così: "Si avverte l'esigenza di una maggiore comunione e di un maggiore coordinamento tra gli Istituti nel loro servizio missionario in Italia", nelle loro attività di animazione, in "un migliore accordo con le strutture della Chiesa locale... ai vari livelli", con "un'attenzione particolare al laicato".
Questa forte istanza si è calata nella parola "Insieme", divenuta quasi programmatica di una scelta da sviluppare in cerchi concentrici: all'interno delle proprie Istituzioni, fra le espressioni missionarie maschili. e femminili, con i laici, le persone e i gruppi impegnati, la Chiesa italiana, e pure "con il mondo dell'indifferenza, dell'insicurezza, del frammento" (23). Una comunione che comprende pure le attività, la riflessione, la spiritualità, la formazione, le prese di posizione. Si giunge a ipotizzare "la crescita del ruolo della CIMI, in modo che sia quasi una 'direzione collegiale' degli Istituti missionari in Italia, almeno per alcune scelte essenziali, alcune iniziative coordinate e alcune strutture comuni" (24).
Nel successivo Forum, la parola "Insieme" campeggia nel tema da
trattare e si giunge a proporre di valutare "la possibilità di creare una comunità che possa diventare un 'laboratorio' di pastorale e di animazione missionaria", "formata da membri di diversi Istituti e da laici; situata in un luogo di 'frontiera', che sia segno e testimonianza per la Chiesa locale; aperta ad accogliere giovani desiderosi di fare un'esperienza di vira missionaria in Italia" (25). Proposta che, su richiesta degli animatori, è stata poi riportata più volte sul tavolo della CIMI, la quale ha avanzato qualche ipotesi di attuazione, ma non si è sentita e non ha avuto concretamente la possibilità di fado, anche per la difficoltà di mettere insieme le caratteristiche indicate.
La necessità di "unire le forze", di agire in sintonia, nella comunione:
- anzitutto si fonda sulla missione stessa, che scaturisce dalla comunione della Trinità: la missione è, in primo luogo, opera di Dio e porta alla comunione. Non può, quindi, essere "atto individuale e isolato, ma profondamente ecclesiale" (EN 60). E questo vale anche per le attività di animazione. Se la mancanza di comunione è ritenuta uno dei malesseri della missione (n. 77), lo è pure per un' animazione missionaria svolta con "criteri e prospettive individualistiche" o corporativistiche (cfr. EN 60);
- è richiesta dalla situazione attuale: "in un mondo sempre più unificato, o comunque massificato; solo insieme si può fare qualcosa... Nel vivere la missione qui, cerchiamo di costruire una societàmulticulturale e multireligiosa, basata sulla giustizia e sul dialogo: non possiamo farlo divisi. La nuova creatività culturale è nel progettare insieme, con obiettivi comuni, per combattere la debolezza della frammentazione e della divisione, e ritrovare la nostra forza nell'essere insieme" (26);
- è sentita come necessaria per la debolezza delle istituzioni missionarie, evidenziata dalla radiografia fatta in preparazione del secondo Forum (27), anche per la forte diminuzione e l'invecchiamento del
personale. Una debolezza che pure fa parte dello stile della missione, che è spogli azione del proprio bagaglio linguistico, culturale, economico per confidare anzitutto sulla forza della Parola e dello Spirito, e non temere la precarietà della "frontiera" e delle "periferie" (28). Pure la presenza e le attività in Italia sono sottoposte a questa "spogliazione": ogni Istituto ha avuto origini diverse, caratteristiche, spiritualità, collegamenti, metodi di azione propri, spazi di animazione quasi riservati e talvolta gelosamente difesi. La comunione comporta di mettersi in discussione e rinunciare a qualcosa, per ancorarsi all'identità che tutti unisce.

Attuazioni

All'interno del mondo missionario

A parte i "sogni", sempre auspicabili ma rimasti tali, come quello della "casa comune", si deve dire che un certo cammino di comunione è stato fatto. Lo attestano alcune iniziative:
- L'impegno iniziale per la cancellazione del debito dei Paesi impoveriti, promosso insieme in occasione del Congresso eucaristico di Bologna; il seminario di studio sulla campagna promossa poi dalla Chiesa italiana sullo stesso argomento in vista del Giubileo.
- L'intervento della CIMI presso il Governo italiano sulla cooperazione internazionale, anche se non ha sortito l'effetto sperato.
- I corsi per rientrati che negli ultimi due anni sono stati compiuti al CUM e hanno riunito insieme membri degli Istituti missionari,
fidei donum, laici missionari, appartenenti a Istituti religiosi aventi missioni. Dalla valutazione fatta nell'ultimo corso di novembre 2004, si ricava la convinzione che esso "va riproposto insieme, CUM e SUAM, con tutte le modifiche che si riterranno opportune, ma insieme. Oggi le forze missionarie si assottigliano e i diversi soggetti missionari devono convergere sulle attività comuni, nel rispetto dei diversi carismi. In questo, la debolezza dell'essere pochi è una benedizione perché ci obbliga a fare insieme...  I fidei donum sono tra quelli che più colgono l'opportunità di un corso comune con i missionari 'ad vitam', ma anche non pochi missionari ne sono convinti". Nonostante qualche perplessità da parte nostra, penso che si possa migliorare, ma non convenga tornare indietro. Rimane piuttosto da studiare, ed è quello che si sta facendo, come allargare la partecipazione di appartenenti a Ordini e Congregazioni religiose con personale ancora abbondante, e di laici (29).
- La collaborazione offerta a iniziative, convegni o campagne avviate da singoli Istituti (come "Chiama l'Africa", "Carovana della pace"). n Forum del 2001, sia pure velatamente, ~uspicava tale collaborazione, chiedendo di dare "comunicazione in tempo utile" (30) delle iniziative in calendario, anche per arrivare a una programmazione concordata fin dall'inizio.
- Iniziative comuni da parte di SUAM regionali, specialmente in Lombardia, per la sensibilizzazione missionaria nei seminari diocesani; il convegno giovanile di Treviglio in preparazione a Montesilvano.
- Sono allo studio progetti comuni di formazione su nonviolenza, giustizia e pace, da tenere prossimamente al sud e in futuro anche al nord.
- Più evidente ed efficace collaborazione si è avuta nel campo della comunicazione:
. L'Agenzia MISNA, che si fa voce di chi non ha voce, informa sulle situazioni del mondo spesso dimenticate dai media. Alcune situazioni. di grande gravità sarebbero passate del tutto inosservate senza il richiamo e la denuncia di MISNA.
. L'EMI si è imposta e qualificata in ambito nazionale come editrice che rappresenta il mondo missionario; è apprezzata per le sue pubblicazioni di carattere sociale e culturale. Trova spazio nelle librerie e nelle manifestazioni del mondo "laico" più che in quello religioso, coinvolgendo comuni, ONG e organismi vari, anche di estrazione laica, su temi attinenti la solidarietà, la finanza, l'ecologia, i nuovi stili di vita, la solidarietà, il dialogo interculturale e interreligioso.
. In questo campo, insieme alla FeSMI si sono tenuti degli incontri al CUM per esaminare quale tipo di missione presentiamo, e corsi su giornalismo missionario, fotografia, missione e internet.

Concludendo questo breve ritratto della situazione, si può dire che una certa crescita vi è stata; anche se la necessità di migliorare rimane. A volte emergono ancora interessi "corporativi", collaborazioni preferenziali e quindi parziali, mentre la meta è di procedere il più possibile insieme, e non soltanto per maggiore efficienza, ma ancor più - come è stato detto al precedente Forum - per "essere insieme più che fare insieme": la Chiesa e il mondo hanno bisogno che ci comportiamo così (31).

Con la Chiesa

La comunione allargata ha come riferimento prioritario i Centri missionari diocesani. Non mancano difficoltà, qualche malinteso e risentimento, emersi specialmente nel primo Forum, che consigliava di analizzarli nelle loro "radici storiche e teologiche per un deciso superamento", ma annotava pure che: "è in crescita la volontà di cooperazione". Nel secondo, qualche annotazione critica è venuta dalla controparte. n superamento richiede di chiarire "teologicamente il rapporto tra Chiesa locale e missione ad gentes, come tra la vocazione missionaria di tutti i credenti e la vocazione di coloro che hanno ricevuto dal Signore un particolare carisma per la missione" (32). Qualcosa è stato fatto con la pubblicazione della rivista «Ad Gentes», fondata proprio per stimolare la riflessione e il confronto sulla missione e sugli aspetti a essa collegati da parte di missionari e di insegnanti nei seminari e negli Istituti superiori. Anche se limitata nella sua diffusione, colma una lacuna e stimola l'approfondimento. Positivi i tre seminari di studio della rivista su: "Sinodi continentali in preparazione al Giubileo del Duemila" (33), la "Spiritualità" (34), la "Missionarietà della Chiesa italiana» (35), come apporto al Convegno di Montesilvano.
La volontà di comunione e collaborazione con la Chiesa locale è manifestata nell'impostazione stessa dei Forum che, pur trattando argomenti specifici, si sono sempre collegati a eventi e urgenze della Chiesa italiana.
Il primo ha puntato al primato dell'evangelizzazione in riferimento al Convegno missionario di Bellaria, che, secondo le indicazioni date da mons. Renato Corti, focalizzò la missione ad gentes come "l'unico vero tema del Convegno affinché divenga il vero paradigma della pastorale... il principio di tutto il nostro agire educativo e pastorale e criterio di giudizio evangelico sulle nostre attività quotidiane".
Il secondo ha puntato sulla "qualità" del servizio alla missione, anche in patria, ispirandosi al motto programmatico proposto dal Papa all'inizio del nuovo millennio: "prendere il largo" e, in relazione all'Italia, al programma dei vescovi che punta alla "conversione pastorale", di cui la missione ad gentes deve essere "il costante orizzonte e il paradigma per eccellenza".
Il terzo Forum, quello attuale, si confronterà con vari aspetti della realtà italiana, guardando al Convegno missionario di Montesilvano con l'intento di ravvivare quella corresponsabilità che non è emersa e provocare quella voce profetica che molti si aspettano dal mondo missionario.

Conclusione

Questo Forum, con le due parole chiave, ascolto e profezia, si pone in continuità con i precedenti. Esse esprimono l'atteggiamento missionario che invita in primo luogo a mettersi in ascolto per cogliere i semi del Verbo, la presenza di Dio, la via attraverso cui farla percepire in pienezza.
Oltre a quanto più direttamente ci interessa per il nostro carisma, si vorrebbe individuare il modo di contribuire con la nostra specificità a realizzare in Italia una pastorale orientata all'evangelizzazione di chi sta "alla soglia" o lontano da essa, e che sia aperta al mondo e contribuisca a creare o accrescere una convivenza più giusta e fraterna.
Un auspicio fatto dopo il secondo Forum fu di orientare i successivi "nell' ottica di una riforma della Chiesa italiana per la quale gli istituti missionari facciano, con il coraggio del Vangelo, tutta la loro parte", per contribuire a chiarire cosa fare e come animare perché l'impegno pastorale abbia nell' ad gentes "il suo costante orizzonte e il suo paradigma per eccellenza" (36).
Teniamolo presente, perché l'ascolto diventi veramente profezia.

 

NOTE

* Missionario della Consolata
[1] AA.Vv., Come orizzonte il mondo. Gli Istituti missionari oggi in Italia: tra sfide e comunione, EMI, Bologna 1999; G. PASQUALETIl, Come orizzonte il mondo. Forum degli Istituti missionari in Italia, in «Ad Gentes», 3 (1999), pp. 111-120.
[2] AA.Vv., Insieme prendere il largo. Gli Istituti missionari oggi in Italia: tra memoria e realtà, EMI, Bologna 2002; F. GRASSELLI, Fra realtà, profezia e progetto. Gli Istituti missionari oggi in Italia, in «Ad Gentes», 6 (2002), pp. 301-305; M. FuIu.ANETro, Quale profezia per gli Istituti missionari? A proposito del Forum degli Istituti missionari presenti in Italia, in «Omnis temi», n. 71, aprile-giugno (2002), pp. 112-117.
[3] G. CANOBBIO, La teologia della missione dal Vaticano II a oggi, in «Ad Gentes», 1 (1997), pp. 133-173, qui 166; cfr. anche R.C. ROSSIGNOL, Qual è il ruolo degli Istituti missionari?, in AA.Vv., La missione negli anni 2000. Seminario di ricerca del SEDOS sul futuro della missione (Roma 8-19 marzo 1981), EM1, Bologna 1983, pp. 255-275.
[4] G. CANOBBIO, op. cit., p. 168.
[5] CEI - Consiglio Episcopaie Pennanente, L'amore di Cristo ci sospinge. Lettera alle comunità cristiane per un rinnovato impegno missionario, 4 aprile 1999. n. 2c.
[6] CEI - Consiglio Episcopaie per la cooperazione tra le Chiese, Gli Istituti missionari nel dinamismo della Chiesa italiana, 10 febbraio 1987, n. 27.
[7] ID., L'impegno missionario della Chiesa italiana, 25 marzo 1982, n. 28; cfr. anche Gli Istituti missionari nel dinamismo della Chiesa italiana, n. 15.
[8] G. CANOBBIO, op. cit.
[9] Cfr. F. GRASSELLI, Fra realtà, profezia e progetto, cit., pp. 304-305.
[10] Cfr. G. FERRARI, Per un progetto degli Istituti missionari in Italia, in AA.Vv., Insieme prendere il largo, cit, pp. 102-116.
[11] AA.VV., Come orizzonte il mondo, cit, p. 29.
[12] AA.VV., Insieme prendere il largo, cit, p. 13; G. FERRARI, ibidem, pp. 104-105.
[13] CEI, Comunicare il vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali dell'episcopato italiano per il primo decennio del 2000, 29 giugno 2001, n. 1.
[14] AA.VV., Come orizzonte il mondo, Proposte operative, n. 4, cit., pp. 135-136.
[15] Cfr. F. GRASSELLI, Gli Istituti missionari oggi in Italia: radiografia di una presenza, in AA.Vv., Insieme prendere il largo, Gli Istituti missionari oggi in Italia: tra memoria e realtà, EMI, Bologna 2002, pp. 29-48, in particolare pp. 40-41.
[16] CEI, L'anwre di Cristo ci sospinge, cit., n. 2c; Comunicare il Vangelo, cit., n. 46.
[17] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Pastores dabo vobis, n. 8.
[18] CEI, Con il dono della carità dentro la storia. La Chiesa in Italia dopo il convegno di Palermo, 26 maggio 1996, n. 24.
[19] Cfr. AA.Vv., Insieme prendere il largo, cit., pp. 125, 152-153, n. 5.
[20] F. GRASSELLI, Fra realtà, profezia e progetto, cit., p. 304.
[21] AA.VV., Insieme prendere il largo, cit., p. 151.
[22] Cfr. AA.Vv., Termometro terra, EMI, Bologna 2004; F. SALVIATO, Ultima generazione, EMI, Bologna 2004, p. 12.
[23] AA.VV., Come orizzonte il mondo, cit., pp. 132 e 136.
[24] Ibidem, p. 132.
[25] AA.VV., Insieme prendere il largo, cit., p. 152.
[26] G. BARSELLA, Tra le righe del convegno missionario nazionale. Lettura critica, in AA.Vv., Come orizzonte il mondo, cit., p. 21.
[27] Cfr. F. GRASSELLI, Gli Istituti missionari in Italia; radiografia di una presenza, in AA.Vv., Insieme prendere il largo, cit., pp. 29-42.
[28]
Cfr. AA.Vv., Come orizzonte il mondo, cit., p. 130.
[29] Osservazioni tratte dalla valutazione dei partecipanti e riassunte da don Flavio Saleri.
[30] AA.Vv., Insieme prendere il largo, proposizione lb, cit., p. 152.
[31] M. STORGATO, Dal precedente Forum ad oggi: sviluppi e interrogativi, in AA.Vv., Insieme prendere il largo, cit., pp. 11-28, qui 27.
[32] AA.Vv., Come orizzonte il mondo. Sintesi complessiva, cit., p. 133.
[33] Ad Gentes n. 1,4 (2000): L'evangelizzazione interpella le Chiese. Analisi e prospettive dei sinodi continentali.
[34] Ad Gentes n. 1,6 (2002): Lasciarsi condurre dallo Spirito. La spiritualità missionaria.
[35] Ad Gentes n. 2, 8 (2004): L'Ad gentes nella vita della Chiesa italiana oggi.
[36] Cfr. F. GRASSELU, Fra realtà, profezia e progetto, cito p. 305; CEI, Comunicare il vangelo in un mondo che cambia, cito n. 32.

 

PARTE PRIMA
NELLA CHIESA, IN ITALIA

Gli Istituti missionari nella Chiesa italiana. 
Prospettive dopo il convegno missionario di Montesilvano

Il carisma degli Istituti missionari nella Chiesa italiana

Centri missionari diocesani e Istituti missionari dopo Montesilvano

Centri missionari diocesani e Istituti missionari nel Sud Italia

 

GLI ISTITUTI MISSIONARI NELLA CHIESA ITALIANA 
Prospettive dopo il convegno missionario di Montesilvano
di mons. Giuseppe Betori*

Carissimi fratelli e sorelle, desidero anzitutto esprimere gratitudine per essere stato chiamato a offrire un contributo di riflessione per i lavori di questo terzo Forum, promosso unitariamente dalla Conferenza degli Istituti Missionari Italiani (CIMI), dal Segretariato Unitario di Animazione Missionaria (SUAM) e dall'Editrice Missionaria Italiana (EMI). Questo invito mi dà anche l'occasione per esprimere, come Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana, la riconoscenza dei vescovi italiani per la presenza e la generosità del servizio offerto dai vostri Istituti che, grazie anche all'apporto di numerosi missionari e missionarie italiani, sono impegnati nel mondo sulle molteplici e difficili frontiere dell' evangelizzazione.
Se è vero che la Chiesa ha oggi maturato più esplicita coscienza di quanto tutti i battezzati siano chiamati ad attuare la sua missione e che dedicarsi completamente ad essa è essenziale per ogni esperienza di vita religiosa e apostolica, non per questo è venuto meno il riconoscimento della realtà carismatica degli Istituti che hanno come fine specifico la missio ad gentes. Essi, infatti, sono considerati "memoria della missione della Chiesa" e "segno e stimolo della sua animazione missionaria" (CEI - Commissione episcopale per la cooperazione missionaria tra le Chiese, Gli Istituti missionari nel dinamismo della Chiesa italiana, 27).
Portatori di un carisma che per natura sospinge ad extra, gli Istituti missionari mai sono venuti meno all'impegno di favorire la crescita missionaria di tutto il popolo di Dio, richiamandolo in particolare alla responsabilità di risposte ad vitam e ad gentes: ''uomini e
donne consacrati a vita all'opera del Vangelo, disposti ad andare in tutto il mondo a portare la salvezza" (Redemptoris missio, 79).
Grazie dunque di quanto da sempre e con perseveranza siete e promuovete nelle nostre comunità.
Il tema che mi è stato chiesto di svolgere riveste un significato particolare in una Chiesa di diffusa e strutturata esperienza missionaria come quella italiana. Nello spirito di dialogo proprio del Forum vengo dunque ad esprimere alcune considerazioni che aiutino a riflettere sulle attese missionarie della Chiesa in Italia e sul prezioso contributo che gli Istituti missionari offrono al suo cammino pastorale.

Le indicazioni pastorali della Chiesa italiana per il decennio 2000-2010

Anche al più distratto degli operatori non sarà sfuggito quanto la missionarietà sia divenuta una delle dimensioni più comunemente richiamate in campo pastorale in Italia.
Di fronte a questa progressiva crescita del rimando alla missione qualcuno ha lamentato l'impressione di una vera e propria inflazione del termine a svantaggio della specificità dell' ad gentes, la cui urgenza risulterebbe attenuata a causa delle esigenze più immediate della nuova evangelizzazione.
Eppure non si può che rallegrarsi se in questi ultimi anni, tanto a livello nazionale quanto diocesano, i vescovi italiani hanno formulato orientamenti e programmi conformi alla natura missionaria della Chiesa. Le occasioni di questo riconoscimento sono risultate a volte occasionali, ma più spesso hanno fatto riferimento a un dinamismo pastorale e spirituale che interessa tutte le dimensioni di una comunità cristiana. Si tratta di cogliere tali orientamenti come un orizzonte più favorevole per lo stesso invito alla missio ad gentes e non come una scelta ad essa sostitutiva. D'altra parte, questa è una preoccupazione degli stessi vescovi, che non poche volte esplicitamente ricordano che la missio ad gentes è il paradigma e l'anima della più ampia missionarietà che le nostre comunità devono assumere come connotazione complessiva del loro modo di porsi di fronte alla storia e ai cambiamenti culturali e sociali.
Resta vero che i processi che investono cambiamenti di mentalità non sono brevi e, nella particolare configurazione della Chiesa italiana, non presentano sviluppi e risultati omogenei. Se dunque l'elenco delle ombre è inevitabilmente lungo e sempre incompleto, non si può però non riconoscere che l'urgenza emersa nel Convegno ecclesiale di Palermo (1995) in ordine alla conversione in senso missionario della pastorale, abbia trovato corrispondenze sempre più frequenti e coerenti.
La necessità di "passare ad una pastorale di missione permanente" (CEI, Con il dono della carità dentro la storia, 13) ha trovato spazio non solo in campo specificatamente missionario - penso in particolare alla consapevolezza suscitata dal Convegno missionario nazionale di Bellaria e dalla Lettera L'amore di Cristo ci sospinge, con cui il Consiglio episcopale permanente consegnò i risultati di quel convegno alle nostre comunità - ma in maniera più diretta ed esplicita nel più vasto campo pastorale. Più si è riflettuto sul proprio dell'essere Chiesa oggi, con richiamo alle radici di sempre e alle urgenze poste da questo tempo di cambiamento, più - ad ogni livello - ci si è scoperti Chiesa missionaria. Gli Istituti missionari non possono che rallegrarsi del cammino fatto fino ad oggi per maturare questa presa di coscienza, per la quale hanno essi stessi intensamente lavorato.
Vale la pena richiamare brevemente le specificità missionarie delle indicazioni pastorali che stanno caratterizzando in Italia la vita delle comunità cristiane.

a) Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia (2001)

Gli orientamenti pastorali dell' episcopato italiano per il primo decennio del terzo millennio, sono riconosciuti da tutti come portatori di una chiara connotazione missionaria.
Prima di richiamare i passi che esplicitamente fanno riferimento alla missio ad gentes, mi piace annotare che tutta l'atmosfera che si respira nel documento ha una chiara connotazione universali sta. La considerazione che viene riservata ai fenomeni della globalizzazione, delle migrazioni, della multireligiosità crescente nelle nostre società, costituisce lo sfondo su cui si collocano sia il richiamo generale alla missionarietà che quello più specifico alla missione ad gentes.
Due, in particolare, i testi che la interessano: il n. 32, all'inizio del secondo capitolo dedicato a "La Chiesa a servizio della missione di Cristo" - dalla cui prima didascalia prende emblematicamente spunto anche il titolo di questo Forum - e il n. 46. Nel primo di questi paragrafi si invita la comunità ecclesiale a riscoprire come "la missione ad gentes non è soltanto il punto conclusivo dell'impegno pastorale, ma il suo costante orizzonte e il suo paradigma per eccellenza". Nel secondo si ricorda che l'impegno dell' evangelizzazione del mondo non deve essere riservato agli "specialisti", ma "lo si sentirà come proprio di tutta la comunità".
Per cogliere l'ampiezza di queste espressioni, dedicate a rimodellare l'ordinario lavoro di una comunità, è però necessario non sorvolare l'ottica missionaria con cui il capitolo primo degli orientamenti pastorali invita a contemplare il Verbo della vita e a riflettere sulla sua missione di "inviato del Padre". È con questa ottica infatti che i vescovi italiani hanno inteso accogliere l'eredità del grande Giubileo dell'anno 2000, riassunta dal Santo Padre nell'invito a fedeli e comunità per uno sguardo "più che mai fisso sul volto del Signore" (Novo Millennio Ineunte, 16).
Nel capitolo primo degli orientamenti pastorali per il decennio in corso viene dunque tracciata un' essenziale cristologia missionaria, dall'indiscusso merito di poter suscitare, se valorizzata, una coerente spiritualità che attinge da Cristo "inviato ad evangelizzare" (Redemptoris Missio, 88). Alla luce del suo essere "Inviato" (termine che in questa forma sostantivata ritorna nel capitolo ben quattordici volte), se ne rilegge la preesistenza, l'incarnazione, la risurrezione e la sua venuta nella gloria: "quattro momenti di un'unica e indissociabile missione che dev'essere contemplata quale fonte ispiratrice della nostra pastorale" (n. lO). La contemplazione del mistero è dunque il primo passo della missione. Ne scaturisce un chiaro invito a riconsiderare la dimensione contemplativa come un fattore non collaterale all'agire cristiano e all'azione pastorale, ma come il suo indispensabile fondamento.
Come pure essenziale è approfondire l'intelligenza del mistero nelle forme della catechesi e della teologia. Si comprende quindi come, ispirata dalle premesse teologico-spirituali del primo capitolo e dalle indicazioni pastorali del secondo, l'appendice del documento
dei vescovi fissi il calendario essenziale del decennio dando costante risalto alla necessità della formazione, che dovrà risultare di qualità tale da assicurare non solo nell' attività pastorale, ma negli stessi operatori pastorali, una più coerente conversione missionaria di tutto l'essere ed operare ecclesiali.

b) Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia (2004)

La nota pastorale, con cui i vescovi hanno inteso ribadire per la pastorale in Italia la scelta fondamentale della parrocchia, tiene conto di alcune coordinate che, radicate nella coscienza che la Chiesa esiste per continuare l'opera salvifica di Gesù, chiamano tutti a mettersi a servizio dell'unica missione, quella di comunicare il Vangelo fino agli ultimi confini della terra. La missio ad gentes viene così nuovamente riconosciuta come l'orizzonte e il paradigma adeguato del servizio dèlla Chiesa a Cristo e di tutto il suo lavoro educativo e pastorale, con un richiamo esplicito al passo degli orientamenti pastorali che abbiamo appena ricordato, a cui segue questa conclusione: "Nella vita delle nostre comunità deve esserci un solo desiderio: che tutti conoscano Cristo, che lo scoprano per la prima volta o lo riscoprano se ne hanno perduto memoria; per fare esperienza del suo amore nella fraternità dei suoi discepoli" (n. 1).
Si comprende allora perché anche la parrocchia, in quanto articolazione e struttura pastorale di base, debba essere essenzialmente missionaria. O la parrocchia è missionaria, e perciò è al servizio della missione di Cristo nella Chiesa, o non è Chiesa. E se non è Chiesa, non è neppure parrocchia.
Nei confronti della parrocchia la missione ad gentes, prima ancora che connotazione geografica, risalta come dimensione fondamentale dell'azione pastorale: uno stile, un modo di essere Chiesa.
La parrocchia è missionaria quando si rifà alla missione di Gesù e degli apostoli. Nasce da una pastorale aperta verso tutti, oltre le frontiere della comunità, attenta alle relazioni e al dialogo, disponibile alla conversione continua, disposta a servire altre Chiese e ad accogliere da loro; prende a cuore il mondo e la complessità delle sue
vicende, la causa dei poveri, il cammino faticosissimo verso scelte di pace, la salvaguardia del creato e di ogni forma di vita (cfr. CEI, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, 5; 10; 13).
È tutto questo che rende ancora più preziosa l'esperienza di comunione e di servizio che lega le nostre Chiese locali e le nostre parrocchie con le giovani Chiese del Sud del mondo, attraverso lo scambio di doni, di aiuti e di persone. L'esemplarità e la vivacità paradigmatica dell' ad gentes aiuta così nella "conversione pastorale" in senso missionario delle nostre comunità. Lo scambio con queste Chiese ci fa bene. Per questo la Nota riconosce che "la missione ad gentes è una risorsa per la pastorale, un sostegno alle comunità nella conversione di obiettivi, metodi, organizzazioni, e nel rispondere con la fiducia al disagio che spesso esse avvertono" (CEI, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, 6).
Come tutto questo non debba lasciar spazio alla tentazione di ricondurre la missionari età a dimensioni "interne" alla Chiesa si è parlato a Montesilvano, nel Convegno missionario nazionale, e ne parlerete voi stessi in questi giorni, volendo approfondire quel convegno "per" e "con" lo specifico carisma dei vostri Istituti.

c) Le attese del Convegno ecclesiale di Verona (2006)

Il prossimo Convegno ecclesiale nazionale, che si celebrerà a Verona dal 16 al 20 ottobre 2006, fin dal titolo "Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo" richiama quattro elementi essenzialmente missionari: la persona di Gesù, il Risorto, vivente in mezzo a noi; il mondo, nella concreta globalità di cui ne siamo protagonisti; le attese di questo mondo che il Vangelo apre alla speranza che viene da Dio; l'impegno dei fedeli cristiani, in particolare dei laici, a essere testimoni credibili del Risorto mediante una vita rinnovata e capace di rinnovare il mondo.
Quattro sono anche gli specifici obiettivi attesi dal Convegno: aiutare la pastorale a stabilire un rapporto missionario autentico e fecondo con il nostro tempo; aiutare a capire la missionarietà non come semplice azione della Chiesa, ma come sua intima disposizione;
mostrare la sostanza autentica della fede e il vero volto della Chiesa in rapporto alla soluzione delle questioni e dei bisogni dell'uomo del nostro tempo; aiutare le comunità cristiane a riacquistare la capacità reale di riflettere sulle tematiche del vissuto umano e delle istituzioni in modo costruttivo, così da superare atteggiamenti di rimozione o di contrapposizione.
Considerando la specificità missionaria, tanto degli elementi intrinseci che degli obiettivi attesi, si può comprendere in quale modo il mondo missionario possa utilmente concorrere alla sua preparazione, in linea, peraltro, con quanto già emerso nel Convegno missionario nazionale di Montesilvano.
La missionarietà richiesta dalla condizione ecclesiale presente è stata, infatti, ampiamente individuata in termini di vera e propria "conversione pastorale", capace di conferire un anelito nuovo all'annuncio del Vangelo. Ma occorre ora misurarsi seriamente con un mutato quadro culturale e antropologico. Senza questa fatica, anche il più generoso ed autorevole invito missionario potrebbe risolversi in appello marginale e poco incisivo.

Gli Istituti missionari nella Chiesa italiana

L'insistenza con cui, soprattutto da parte degli stessi Istituti missionari, è stata riproposta questa riflessione negli ultimi decenni è più che sufficiente indizio di quanto, in un mondo che cambia, si evolve anche la comunità cristiana e in essa il modo di concepire la missione, le sue strategie e i suoi protagonisti più diretti.
L'invito ad gentes ha sempre incontrato forme e modalità nuove, ma il protagonismo missionario delle Chiese particolari e la comune responsabilità missionaria di tutti i fedeli hanno fatto crescere e sviluppare nuovi soggetti e modalità. Il fatto, però, che non sempre siano stati ben individuati gli elementi che concorrono alla loro definizione e distinzione ha comportato che, a volte, questi soggetti siano apparsi quasi sovrapposti, se non addirittura contrapposti.
Oggi è però più viva in ogni comunità, e negli stessi soggetti missionari, la convinzione che nessuno possa esaurire da solo il servizio all'universalità missionaria della Chiesa. Proprio questa universalità,
invece, acquista carattere più completo quando può avvalersi della sinergia complementare di quanti concorrono a renderla visibile e a realizzarla. Si potrebbe applicare anche a questo ambito quell' appello alla "pastorale integrata", che è posta dalla recente nota pastorale come condizione ineludibile per il rinnovamento missionario della parrocchia (cfr. CEI, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, 11).
A livello di Conferenza Episcopale Italiana è certo di grande valore anche la recente costituzione della fondazione Missio, destinata a dare unitarietà ai tre organismi nazionali per la missione. Ma il comune servizio all'universalità della dimensione missionaria della Chiesa locale chiede un lavoro di comunione anche fra tutti i soggetti interessati, e in particolare tra gli Istituti missionari, le Pontificie opere missionarie e i Centri missionari diocesani.
In questo senso è stato ancora il Convegno missionario nazionale di Montesilvano, focalizzato su "Comunione e corresponsabilità per la missione", a costituire un concreto punto di svolta per una nuova mentalità e l'avvio di dinamiche inedite.
Nel messaggio finale inviato alle comunità cristiane si legge infatti: "Abbiamo ben presente che molte volte la mancanza di comunione, le contrapposizioni e la competitività tra le forze missionarie hanno ritardato, se non del tutto ostacolato, la diffusione del regno di Dio. La missione non è proprietà di nessuno, nemmeno della Chiesa. È di Dio, ed è Lui che la consegna a noi... Solo se riusciremo ad evangelizzare in comunione, la missio ad gentes non resterà più un' attività per addetti ai lavori, ma diverrà il cuore stesso dell' agire della Chiesa. [...] Il buon clima di comunione che abbiamo vissuto durante il Convegno dà fiducia nel ritenere che possa essere giunto il tempo, anche per la Chiesa italiana, di delineare una comune progettualità missionaria, nella quale ogni soggetto assumerà la sua parte secondo il dono conferitogli dallo Spirito. Le interdipendenze tra cura pastorale, nuova evangelizzazione e ad gentes stanno lì a dirci ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, che la Chiesa vive e si muove come corpo unico di Cristo".
D'altra parte nei soggetti missionari mai è mancato, anzi è stato sempre più richiesto, l'indispensabile collegamento con la propria Chiesa. Sia perché da essa hanno ricevuto il mandato per una missione che è primariamente compito suo, sia perché ogni comunità ecclesiale ha maturato coscienza che l'apertura all'universalità comporta la necessità di apprezzare e valorizzare ogni componente missionaria che l'arricchisce nella comunione delle sue vocazioni.
La Chiesa in Italia non si è sottratta a sostenere in modo specifico la presenza e il carisma degli Istituti missionari. Si potrebbe facilmente individuare tutto un percorso che, attraverso una molteplicitàdi riferimenti, va dall' articolato e tuttora valido documento del 1987 su "Gli Istituti missionari nel dinamismo della Chiesa italiana" alla più semplice ed essenziale annotazione della lettera "L'amore di Cristo ci sospinge", al numero 2/c.
Fra tante indicazioni, alcune possono giovare al confronto di questo Forum e volentieri le richiamo come necessarie "fedeltà" utili a custodire una tensione vitale, non certo a cristallizzare uno schema.

a) Fedeltà al proprio carisma, dono di conversione alla Chiesa per la missione

La scelta vocazionale a vita dell' ad gentes comporta di saper tenere visibilmente desto l'impulso che lo Spirito dona alla Chiesa verso un'apertura universale. Per questo la fedeltà al proprio carisma rende gli Istituti missionari strumento della cattolicità della Chiesa e li qualifica come segno per rendere noto a tutti i popoli che in Cristo Dio si è impegnato a costituire un'umanità riconciliata nell'amore.
Di Istituti missionari che sanno rimanere se stessi ha dunque bisogno la Chiesa e la missione. Collocati in posizione di frontiera, sono immersi in realtà complesse, in mezzo a religioni, valori, culture e bisogni diversi. Essi leggono la storia della Chiesa e quella del mondo, cercando di innestare ovunque il messaggio di liberazione di Cristo.
La loro azione sviluppa quella che viene comunemente denominata "metodologia missionaria", capace di aprire nuovi orizzonti e nuove creatività grazie allo scambio di doni, di personale e di mezzi. I missionari diventano anche per questo segno e strumento concreto di comunione e conversione tra le Chiese.

b) Fedeltà alla ricerca di Dio e a una profonda esperienza di fede

Lascia perplessi che la reazione più spontanea e immediata della gente di fronte alla testimonianza missionaria sia quella dell' aiuto economico, a sostegno delle opere intraprese a vantaggio della promozione umana e dello sviluppo. Nella vocazione del missionario deve invece essenzialmente risaltare la sua donazione a Dio e la sua ricerca di Dio e della comunicazione di Dio.
Aprire dunque il libro della missione, come già richiedeva il Convegno Missionario di Bellaria, non significa dare evidenza alle opere, ma evitare alla Chiesa di configurarsi come una delle tante agenzie sociali, fosse pure la più apprezzata, aiutando il mondo in cui viviamo a recuperare il cammino di fede e non solo a suscitare solidarietà.
Non si tratta di una svolta spirituali sta, ma di mostrare come solo il dono della fede è capace di gettare nel cuore degli uomini un durevole germe di piena umanizzazione, che da una parte apre la vita della persona al suo naturale compimento nella comunione con il Creatore e dall'altra la rende capace di interpretare il bene degli altri e farsene attivamente promotrice. Il Vangelo non è un di più rispetto al dono di beni, di giustizia, di pace, di edificazione sociale, di attenzione ai deboli, ma il più compiuto fondamento di ciascuna di queste umane progettualità. Far emergere questa consapevolezza è oggi decisivo per la stessa identità della missione.

c) Fedeltà ad gentes e ad extra

Anche se queste espressioni hanno oggi assunto un nuovo contorno antropologico, culturale e religioso, restano pur sempre decisive per invitare a collocarsi in luoghi di frontiera e di marginalità.
Se un campo inedito è quello dell' ad gentes nelle nostre terre (CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 58), resta urgente anche incontrarsi con i cristiani della soglia, o saper parlare con il gran numero di persone prive di cultura religiosa, o con chi non crede, o con quanti non si riconoscono più nella Chiesa. Tutti compiti che comportano il ricorso a nuovi metodi e strumenti per annunciare Cristo.
Ad gentes e ad extra sono però espressioni che mantengono ancora oggi i contorni anche della loro concretezza geografica. Di fronte ai circa 4 miliardi di persone che non conoscono Cristo, non ha certo perso attualità l"'andate in tutto il mondo" (Mc 16,15) che Gesùrisorto consegnò ai discepoli. E anche se la cooperazione missionaria tra le Chiese è divenuta una delle dimensioni della missione, nondimeno permane la necessità dell' evangelizzazione dei popoli e della plantatio ecclesiae, quali servizi espliciti all'universalità della Chiesa e della missione.

d) Fedeltà all'annuncio

Il fuoco della missione si riaccende sempre quando, per l'ispirazione dello Spirito Santo, possiamo dire: "Gesù è il Signore!" (l Cor 12,3). Questo fuoco brucia, e insegna a farsi carico della fede degli altri: "Guai a me se non evangelizzo!" (l Cor 9,16). Nessuno, più dei missionari, può rendere visibile questo fuoco che arde nel cuore dell'apostolo, convinti come sono che ogni uomo, ogni popolo e ogni cultura hanno bisogno di salvezza, perché segnati dal peccato.
La "Buona Novella" della persona di Gesù sana l'uomo e lo edifica nella sua autenticità, come inizio di piena e autentica umanità. È questo che i missionari hanno sperimentato e sperimentano sempre, evitando anche a prezzo della propria di vita di ridurre l'annuncio solo a presenza nascosta nella coscienza.
Questo legame tra evangelizzazione e cultura appartiene alle origini stesse dell' evento cristiano e si ripropone con forza in ogni svolta storica e in ogni incontro del Vangelo con i nuovi popoli. L'esperienza missionaria sa quanto sia delicato connettere i due elementi, perché il Vangelo non si dissolva nelle culture né però resti ad esse estraneo. È un'esperienza che non solo va rinnovata in un mondo che ovunque vive il fenomeno ambivalente della globalizzazione, ma può essere di grande giovamento allo sforzo che la Chiesa italiana sta facendo per ridire il Vangelo tra la nostra gente in modo che esso sia di nuovo culturalmente significante per la vita delle persone e il bene comune della società.

e) Fedeltà all'irrinunciabile primato dell'evangelizzazione

Se è vero che siamo chiamati dal Vangelo a una piena umanizzazione del mondo, possiamo svolgere tale compito perché abbiamo ricevuto, e con tutti vogliamo condividere, Colui che ha generato in noi questa carità.
Il messaggio finale del Convegno missionario nazionale di Montesilvano ha ridato forza a tante autorevoli indicazioni in questo senso: "Solo in Gesù Cristo tutta l'umanità può trovare piena realizzazione e diventare un'unica famiglia. Non sono le nostre programmazioni né le nostre dottrine che hanno la forza di salvare l'umanità, ma la persona di Cristo. L'incontro con Lui dona pienezza di vita a tutti gli uomini: per questo desideriamo continuare ad annunciarlo e testimoniarlo docili all'azione dello Spirito".
È questa, peraltro, una delle linee portanti della Chiesa in Italia in questo decennio: la via dell'evangelizzazione, o come abbiamo preferito chiamarla, la via della comunicazione del Vangelo. La via cioè della riscoperta della centralità cristologica, perché è solo dalla fede in Cristo, è dalla riscoperta della persona e dell'opera di lui, che possiamo trarre il fondamento per il nostro agire nella storia.

f) Fedeltà ai poveri

Quanto evangelizzazione e servizio al pieno e autentico compimento dell'uomo e della convivenza umana siano intimamente connesse è una delle acquisizioni più radicate nella coscienza della Chiesa. Se non è sempre vero il contrario, è però incontestabile che l'evangelizzazione è all'origine della testimonianza della carità, come abbiamo lungamente riflettuto negli anni '90 nelle nostre comunità cristiane in Italia (cfr. CEI, Evangelizzazione e testimonianza delta carità). Proprio quella riflessione ci ha permesso di comprendere che la prima carità del cristiano è il dono del Vangelo, che è il bene più prezioso che egli possiede, e al contempo il Vangelo racchiude in sé, nella sua stessa natura, un dono e una rivelazione di carità che è per tutti, a cominciare dai poveri. Carità del Vangelo e Vangelo della carità sono strettamente connessi.
Mentre in un mondo globalizzato diventano più grandi povertà e ingiustizie che alimentano sentimenti di inimicizia e ostilità tra popoli e culture, evitando di consegnarsi alla storia, il missionario ripone fiducia nel suo Signore, pronto a evangelizzare con coraggio, senza paura di nulla e di nessuno. Lungi dal divenire spregiudicato e temerario, la sua certezza si fonderà sulla fede. Per questo nella sventura e nella difficoltà saprà mantenersi umile e forte, audace e leale con tutti.
La presenza dei missionari e degli Istituti missionari nei tanti Sud del mondo, a servizio dei poveri e degli impoveriti, li attiva come "voce di chi non ha voce", e permette alle nostre comunità la più diretta conoscenza ed esperienza di quelle esigenze di giustizia e di pace proprie di singole persone, non meno che di intere famiglie e popolazioni.

Nuove opportunità e responsabilità

Nella sintesi teologica con cui rilesse i tre giorni del Convegno, don Gianni Colzani affermava che oggi il mondo missionario italiano: "È portatore non solo di una serie di iniziative di appoggio alla missione ad gentes, ma anche di una maniera di interpretare la fede e, quindi, di comprendere la persona di Gesù e l'esperienza della Chiesa, di una maniera di leggere la storia e, quindi, di valutarne le dinamiche e le prospettive, di una maniera di intendere la vita e, quindi, di coglierne i valori e il significato. TI movimento missionario italiano non è più solo il volto della Chiesa italiana verso l'estero, non è più solo un settore dell'attività di questa Chiesa ma è un soggetto ecclesiale con una sua nitida identità".
Quando al mondo missionario arrivano riconoscimenti come questo c'è sempre un rischio: che qualcuno si accontenti di veder ribadita in modo autoreferenziale la propria necessità. Se invece quel riconoscimento viene indirizzato a nuova responsabilità, il dinamismo avviato a Montesilvano è anche per voi un'occasione da non perdere.
Come Istituti missionari sarà importante se la "missione senza confini" evocata per questo Forum diventerà anzitutto per voi stessi occasione per capire quanto l'ad gentes comprenda anche l'Italia, sia
come spazio di azione per far crescere la coscienza missionaria delle nostre comunità sia come spazio in cui la non conoscenza di Cristo chiede un esplicito annuncio di Lui. Dalla risposta che saprete dare dipenderà in gran parte anche la vostra rinnovata presenza nella Chiesa italiana.
Se è vero che la missione è sorgente perenne di atteggiamenti apostolici, non possono esistere territori considerati evangelizzati. L'Italia non può continuare ad essere considerata solo una sorta di retroterra di un impegno destinato altrove, dove attingere vocazioni e mezzi - sempre meno consistenti, peraltro - o dove tornare ogni tanto per il giusto periodo di riposo.
Nella società italiana non sono pochi coloro che considerano il cristianesimo come una "minoranza culturale", utile per compiti di supplenza caritativa ma ininfluente nella impostazione della vita sociale e nella formazione delle persone. Il giudizio ovviamente è da rigettare, in tutte le sue componenti, rivendicando la persistenza di una diffusa presenza di segni cristiani nella vita della gente e ancor più il diritto-dovere di essere un soggetto sociale pubblicamente significativo. Ma è anche vero che nonostante questa rivendicazione, gli stili di vita degli italiani diventano sempre meno determinati dal Vangelo.
Non è un caso che i missionari che rientrano o svolgono animazione missionaria in questa terra segnalano spesso i disagi e le fatiche del cambiamento. L'Italia che ritrovano è diversa da quella che hanno lasciato. Né attenuano le difficoltà il sogno di una ripartenza o un adattamento rinunciatario.
Il compito dell' ad gentes in Italia dovrà invece continuare ad essere quello di far risuonare il Vangelo in tutta la sua bellezza e la sua profondità, non disinteressandosi della pastorale della Chiesa ma accompagnandola nella conversione che le è richiesta. Senza ridursi a coltivare il proprio orto, intreccerà il proprio cammino con quello della liturgia e della catechesi, della carità e della pastorale giovanile e familiare, delle scelte dei vescovi e della sensibilità del popolo di Dio. .
C'è sicuramente spazio perché non manchino proposte missionarie forti per le mete più decisive richiamate dai vescovi in questo decennio: costruire eucaristicamente la Chiesa (cfr. CEI, Comunica
re il vangelo in un mondo che cambia, 46), favorire esperienze di vita fortemente ancorate al Vangelo (CEI, Comunicare il vangelo in un mondo che cambia, 45), ridare spessore culturale alla fede perché sia capace di intercettare linguaggi e domande della società contemporanea, servire il Regno rianimando la speranza (cfr. CEI, Comunicare il vangelo in un mondo che cambia, 35.50).
Di questo rinnovato impegno si potranno avvantaggiare anche le questioni più dibattute da sempre, come il carattere di cattolicità proprio della Chiesa particolare, la dimensione missionaria della spiritualità, l'incontro tra la fede e la vita.
Carissimi fratelli e sorelle: essere missionari è sempre difficile e costoso! Occorre avere dentro di sé una passione, uno zelo bruciante per la causa del Vangelo, che non scaturisce da semplici decisioni programmatiche.
Si può riuscire ad essere missionari solo con un lavoro sui fondamenti della propria fede; con un ritrovato rapporto personale con Dio, nella preghiera e nei sacramenti; con un contatto vivo, non solo d'ufficio, con la parola; con un'esperienza diretta della carità. Solo portandola dentro, come fuoco che illumina, si è capaci di rendere testimonianza della fede al mondo. Solo avendo dentro un fuoco che arde e riscalda, si potrà acquisire quella perseveranza e quella fortezza che sono requisiti imprescindibili perché l'apostolato risulti fedele ed efficace nel suo servizio.
Il cammino, ancora una volta, è appena iniziato e attende, senza retorica, il valido contributo di tutti.

NOTE

* Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana

 

IL CARISMA DEGLI ISTITUTI MISSIONARI 
NELLA CHIESA ITALIANA
di Gianni Colzani*

Il tema che mi è stato affidato mi lascia alquanto perplesso sia perché io non appartengo a un Istituto missionario e non ho un particolare titolo per parlare a nome della Chiesa italiana sia per la somma delle questioni qui coinvolte, che vanno dalla missione agli Istituti missionari, dai diversi carismi missionari ai carismi degli Istituti, ai rapporti tra Chiese locali e Chiesa universale.
La maniera più semplice di avviare il discorso è chiedersi perché poniamo questo problema e perché lo poniamo proprio oggi.
La risposta più immediata e più diretta farebbe riferimento alle recenti scelte della Chiesa italiana che, nel suo documento Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali dell'episcopato italiano per il primo decennio del 2000, ha preso un chiaro impegno missionario e si è spinta ad affermare che "la missione ad gentes non è soltanto il punto conclusivo dell'impegno pastorale, ma il suo costante orizzonte e il suo paradigma per eccellenza" (n. 32). Nella stessa linea, si potrebbe citare il Convegno di Montesilvano che da una parte ha testimoniato la ricchezza multiforme del movimento missionario italiano e, dall' altra, ha visto emergere la consapevolezza con cui il mondo della missione vuol contribuire al cammino di questa Chiesa. Queste ragioni sono sicuramente vere ma non credo siano sufficienti.
Bisogna prendere atto del fatto che forse giunge oggi a uno sbocco positivo una crisi che viene da lontano e che intende mettere a frutto i profondi cambiamenti che hanno investito tanto il mondo della
missione quanto la vita pastorale della Chiesa; forse, stiamo camminando verso una nuova alleanza tra Chiesa e mondo missionario: posto su basi teologiche diverse dal passato, questo nuovo rapporto chiede un atto di fiducia e uno sforzo deciso tanto alla Chiesa quanto al mondo missionario (1).
Naturalmente questo non risolve tutti i problemi; molte questioni restano aperte: questioni teologiche, frizioni tra diocesanità e universalità, nodi interni all'organizzazione degli Istituti. L'affermazione ripetuta della natura missionaria della Chiesa non trasforma automaticamente dinamiche e scelte, ma chiede di essere pazientemente mantenuta alla base di un cammino condiviso con tutte le realtà ecclesiali.
Per verificare la giustezza o meno di questa sensazione, vorrei provare a suggerire tre piste, tre generi di riflessione: una riflessione intensiva sulla storia degli Istituti missionari in vista di un suo discernimento critico-profetico, un ripensamento dei cambiamenti in atto in quella tematica ad gentes che, tradizionale per gli Istituti, è oggi rivendicata come propria anche dalla Chiesa italiana, e alcune indicazioni per un futuro di vicendevole collaborazione.

Per una comprensione critico-profetica della storia degli Istituti missionari

Quando sorgono, nella seconda metà dell'Ottocento o nei primi decenni del Novecento, gli Istituti missionari sono delle associazioni nazionali - a volte soltanto regionali - che esprimono l'impegno missionario delle Chiese in cui hanno avuto origine: i loro fondatori, i loro primi membri e i loro primi passi "avvengono" nel contesto di queste Chiese. Purtroppo questa felice sintesi tra diocesanità e universalità, per molte ragioni, si scioglierà ben presto e gli Istituti si troveranno a dover pensare la loro realtà da soli. Il loro legame con le Chiese di origine si scioglie non perché gli Istituti siano figli ormai diventati adulti, ma perché la simbiosi tra Chiese locali e questi Istituti finirà per svuotarsi; e questo avverrà sulla base del principio giuridico dell'esenzione (2) che porrà in primo piano il legame con il Papa più che con le Chiese di origine.
In un simile contesto gli Istituti missionari si appropriano della comprensione della missione così come, abitualmente, era pensata in quel tempo. Era il tempo del colonialismo e, per quanto l'Italia non abbia avuto un vero e proprio impero coloniale (3), anche il mondo missionario italiano si muoverà in quel clima di idee. Si tratta di un clima che da una parte rifiuta l'impostazione coloniale (4), ma dall'altra pensa e organizza la missione entro categorie e schemi di pensiero che ne dipendono chiaramente. La missione, di conseguenza, sarà pensata in termini territoriali e giuridici come espansione, anche se il
suo contenuto sarà descritto in termini cristologici. La nozione di volkchristianisierung (cristianizzazione di un popolo) sarà espressione di un simile atteggiamento. In una missione che si propone di portare la Chiesa dove non è ancora giunta, la territorialità e l'espansione assumono un ruolo centrale: non solo prende piede lo ius commissionis ma lo stesso ad gentes - termine che di per sé indicava i popoli nella loro tradizione culturale e nella loro organizzazione sociale e politica - si trasforma in un ad extra che finisce, per naturale contrasto, per rimandare a delle missioni ad intra.
Il motivo religioso della "cristianizzazione" di un popolo, in termini individuali e sociali, rimanda a una previa organizzazione teologica dell'esperienza cristiana da vivere e da comunicare che, almeno nell'Ottocento italiano, vedrà la centralità del mistero della Passione (5) e, quasi per connessione, del tema della carità (6). La contemplazione del crocifisso è la contemplazione dell'amore di Dio per noi, è la contemplazione della carità: questa scientia crucis si completa veramente in quell' adesione alla kénosis del crocifisso che diventa la radice di tutti gli aspetti missionari, dalla spoliazione ascetica di se stessi alla totale dedicazione al servizio apostolico. Il Cristo crocifisso diventa così l'icona di una vita per la gloria di Dio e la salvezza delle anime, diventa una sorta di itinerario spirituale che invita all'abbandono della vita borghese e alla scelta di un servizio più alto e più vero, quello per Dio. Nella croce, sacramentalizzata dall'eucaristia, la vita apostolica vede la presenza efficace della carità di Dio: l'amore di Dio ci rende testimoni del suo amore, chiamati a mostrarne i frutti con la vita.
Radicata nella comunione di culto e di vita con i propri pastori (7), l'esperienza cristiana italiana dell'Ottocento si raccoglierà attorno alla saldezza ecclesiale, spirituale e disciplinare, assunta come base di vita apostolica.
Questo rifiuto di una religiosità puramente interiore si sposa benissimo con una rinnovata spinta missionaria e pone il problema di come interpretare una forte carica profetica senza cedere a qualche forma di subalternità a modelli esistenziali diversi. Non è in gioco una filantropia, ma un modo diverso, cristiano e apostolico, di vivere i problemi del tempo. La sfida più alta sarà quella che ricadrà sulla donna: alla figura di una donna cristiana e religiosa al sicuro entro le mura domestiche o di clausura, subentrerà la donna che rivendica il diritto e l'onere di vivere per Dio servendo il Vangelo: i voti e la vita comune andranno ripensati in modo da non intralciare, anzi da favorire, la vita apostolica e missionaria. In questo contesto ecclesiale e spirituale, qui accennato per sommi capi, ha preso vita l'avventura degli Istituti missionari italiani.
Se, su questa avventura, provo ad arrischiare un'interpretazione critico-profetica, non è certo perché ne misconosco i meriti, ma semplicemente perché ritengo che questa linea aiuti di più a individuare i cammini futuri.

Il primato delle opere e l'eccesso del fare

Se l'essere afferrati dalla carità di Cristo è la base della vita apostolica - una base che ha prodotto forme di sincero servizio protratto fino all'eroismo - resta comunque da chiedersi se l'interpretazione prevalente di questa carità apostolica non abbia finito per privilegiare eccessivamente le opere di educazione scolastica e di assistenza sociale: centri educati vi, scuole e università, dispensari e ospedali, orfanotrofi e ricoveri hanno costituito un tessuto che si ritiene possa rendere credibile e favorire l'annuncio del Vangelo. Ma è davvero così? Davvero questo complesso di opere ha alimentato il bisogno di Dio e ha reso più evidente, agli occhi religiosi del mondo africano e soprattutto asiatico, il senso dell'agape divina che ne è l'origine? Questa attenzione al fare, che per altro anche i vangeli rimarcano (Lc 10,37), ha evidenziato il suo valore di testimonianza del Regno o ha semplicemente finito per cancellare il primato dell'annuncio? Non si è finito per lasciare in eredità alle giovani Chiese quel potenziale conflitto tra assistenza statale e carità cristiana che le Chiese europee hanno vissuto e vivono come delegittimazione di tante opere del passato? E, per contro, quanto questa esasperazione delle opere ha davvero reso trasparente il carisma. apostolico di una vita per il Regno?
I limiti di una simile prospettiva sono evidenti, sotto più di un profilo. Innanzitutto sotto quello della metodologia dell'evangelizzazione; basterebbe rileggere le riflessioni di Paolo Manna, raccolte nelle sue Osservazioni sul metodo moderno di evangelizzazione (8), per trovare una dura denuncia di un simile comportamento. Manna mette sotto accusa quella che chiama l"'organizzazione materialistica delle missioni"; con questo linguaggio indica lo stravolgimento della fisionomia delle missioni e l'imporsi, al suo interno, di una logica efficientistica lontana dal Vangelo (9). Va aggiunto che una simile prospettiva è incapace di coinvolgere più di tanto la Chiesa italiana: se per un verso esprime la sua corresponsabilità verso una missione mondiale, per un altro è espressione di una missione ad extra che considera l'Italia come una sorta di retrovia dove recuperare vocazioni e mezzi economici e dove riportare gli anziani o i malati. Una simile visione dell' ad gentes - va riconosciuto - non rappresenta più né il modo di interpretare la missione degli Istituti missionari né la base per un dialogo con la Chiesa italiana. Purtroppo rappresenta ancora molto del modo con cui l'immaginario italiano comune pensa la missione e, a volte, è a queste forme di "intervento" che si affida la credibilità globale di una proposta che va ben oltre.
Per affrontare questo equivoco è necessario che la Chiesa italiana e gli Istituti missionari presentino concordemente una concezione alternativa di missione. Non è però facile e immediato. L'interesse della Chiesa italiana va nel senso di una metodologia di comunicazione della fede in un contesto di nuova evangelizzazione e di un ripensamento della vita cristiana e del volto della Chiesa quale ogni autentico annuncio missionario trascina con sé; l'interesse degli Istituti missionari, impegnati in una scelta di internazionalizzazione, è quello di un recupero vocazionale e di una qualificazione del personale all'altezza delle sfide odierne. La non immediata coincidenza dei rispettivi interessi comporta il rischio che la Chiesa italiana si trovi a dover cercare la propria bussola missionaria senza l'aiuto delle sue forze missionarie migliori. Se però si guardasse a obiettivi di medio e lungo periodo, le cose cambierebbero e tornerebbe a essere chiaro che solo in una Chiesa missionaria si può avere una rinascita di carismi missionari e che solo un simile tessuto rende legittimo il guardare con fiducia la svolta dichiarata dalla Chiesa italiana.

Senso e difficoltà ecclesiale del carisma missionario

Una seconda osservazione riguarda il fatto che l'unico ministero apostolico che, come tale, caratterizza tutta la Chiesa (10) era incarnato dal missionario - per lo più presbitero - nella forma specifica di un'apertura ad gentes. Per quanto sia difficile precisarlo a fondo, si può dire che comprendeva la partenza e 1'itineranza, l'annuncio del Vangelo e la testimonianza della carità, 1'edificazione della Chiesa e la promozione-liberazione della persona, il coraggio profetico e una certa elasticità di impegni. L'attuale crescita di nuovi soggetti missionari - laici, famiglie, organizzazioni non governative (11) - ha riproposto con forza il nodo del carisma missionario: in cosa si radica? nella presbiterialità così come la presenta Presbyterorum Ordinis 10? nell'apostolato dei laici, partecipi della missione di Cristo? nell'appartenenza a un Istituto missionario? nella consacrazione tramite i voti?
La questione non è irrilevante, soprattutto dove forme di pastorale integrata cercano di precisarne i rapporti e il significato.
La mancanza di chiarezza spiega la possibilità di una certa tensione tra servizio al carisma degli Istituti e attenzione ai bisogni della Chiesa locale. Al riguardo, il Codice di diritto canonico difende l'autonomia degli Istituti, ma nemmeno il Codice può negare la loro profonda ecclesialità. A mio parere, più che dal principio dell'esenzione, dobbiamo partire da una concezione della comunione ecclesiale in grado di ricondurre a un quadro unitario anche figure diverse. Al di là di una cooperazione e di un'integrazione nell'agire, è un globale contesto ecclesiologico in grado di rendere ragione ad entrambe le figure - quella diocesana e quella ad gentes - che bisogna recuperare.
Muovendosi in questa direzione, si deve riconoscere con Lumen
Gentium 23 che l'unica Chiesa cattolica esiste nelle Chiese locali e a partire da esse e che, di conseguenza, la cattolicità risiede nelle Chiese locali ed è operante alloro interno. Un'attenta riflessione su questo numero dovrebbe portare, a mio parere, a indicare nella Chiesa locale l'ambito di ancoramento ecclesiale dei carismi ad gentes. "Con tutte le loro forze, essi [i vescovi] devono fornire alle missioni non solo gli operai della messe, ma anche aiuti spirituali e materiali, sia da sé direttamente, sia suscitando la fervida cooperazione dei fedeli" (12). Secondo queste indicazioni, la distanza, storicamente creatasi e giuridicamente ribadita, tra diocesanità e ad gentes non avrebbe molto senso: come ogni altra diversità, anchediocesanità e ad gentes andrebbero riportati a quell'alveo ecclesiale che è affermato nella celebrazione eucaristica e che è servito nella comunione dei differenti carismi. Non si dovrebbe poter appartenere a una Chiesa che celebra l'Eucaristia e che serve il Vangelo solo nel quadro giurisdizionale di una Chiesa universale.
Ovviamente siamo qui in un ambito de iure condendo ma non per questo siamo in un ambito privo di indicazioni ecclesiali. Da una parte la Chiesa locale non può ripiegarsi sulla sua vita catechistico-cultuale senza tradire la sua missione di segno e strumento per la salvezza del mondo intero; dall'altra il movimento ad gentes non può recidere il suo legame ecclesiale senza svuotare profondamente la sua stessa testimonianza. Forse da una parte dovremmo riprendere il documento Mutuae Relationes e la sua valorizzazione dello Spirito e dall'altra dovremmo ricordare che la partecipazione all'unica Eucaristia implica la partecipazione a un'unica vita, quella di Cristo, e impegna perciò totalmente la persona e la sua testimonianza. Sta qui la legittimazione del nostro tema: quale senso e quale apporto può dare l'ad gentes al cammino della Chiesa italiana? Questa domanda è doverosa per il movimento missionario e per la Chiesa italiana.

Compiti diversi per l'unico cammino ministeriale della Chiesa italiana

Nella comune interpretazione della pastorale esiste un unico modello di ministero: quello residenziale, che si prende cura in modo stabile di una comunità stabile. È un modello che ha padri nobili come le lettere pastorali di Paolo o quelle di Ignazio di Antiochia e che troverà a Trento la sua piena consacrazione: ha il suo perno nella diocesi servita da un pastore legittimamente ordinato e nella parrocchia servita da un parroco. Confermata dal Vaticano II in Sacrosanctum Concilium 42, la parrocchia è presentata come una cellula apostolica e missionaria (13); questa linea è stata confermata, anche recentemente, dalle scelte della Conferenza episcopale italiana. In realtà, la storia della Chiesa conosce anche modelli diversi di ministero: nel secolo XIII, gli ordini mendicanti portarono avanti una prospettiva diversa, legata alla predicazione del Vangelo; e, nel secolo XIX, gli Istituti missionari riproporranno la sollecitudine per il mondo intero e la cooperazione tra le Chiese.
Bisogna riconoscere che esistono ministeri diversi, compiti diversi, e non solo spiritualità diverse. Il dettato di 1 Cor 12,4-11 non dovrebbe lasciar dubbi al riguardo. Vi è, insomma, una sorta di suddivisione del lavoro: la pastorale stabile alla parrocchia e quella specializzata ad altri. Ora se la parrocchia insiste su culto e sacramenti, catechesi e càrità; se la vita consacrata si dedica alla predicazione e alla direzione spirituale, al progresso della santità e alla testimonianza del regno, a cosa si dedica l'apostolato ad gentes? Il carisma ad gentes deve richiamare gli orizzonti universali e cattolici di ogni vita cristiana e ministeriale. È questo il suo compito. In Italia il suo compito non è quello di sequestrare la missio ad gentes a proprio esclusivo vantaggio, ma è quello di animare gli orizzonti cattolici di ogni vocazione così da portarla a vivere in modo universale la propria vocazione locale. L'attuale diminuzione di vocazioni può allora diventare una chance, là dove viene utilizzata non per rincorrere la pastorale comune ma per vivere fino in fondo il proprio carisma. Il carisma ad gentes va quindi tradotto in una regola di vita e di comportamenti che illuminino il valore cattolico di ogni impegno locale. È probabile che questo comporti una certa tensione tra fedeltà al proprio carisma e bisogni della Chiesa locale ma, in un' ecc1esiologia di
comunione, le tensioni legate alla diversità dei carismi sono da considerarsi come espressioni di salute.
Ritrovare questo carisma apostolico e missionario è quindi il primo compito che il movimento ad gentes può svolgere per la Chiesa. Gli episodi di Filippo, Paolo e Barnaba dicono come il carisma ad gentes sia sorto come impegno di ogni cristiano; solo successivamente, e in maniera progressiva, questo carisma apostolico ha subito una c1ericalizzazione e una trasformazione nella linea della vita consacrata con voti. Presumibilmente il suo cuore è la capacità di proclamare e di servire il Vangelo del Regno, è la capacità di una profezia in grado di rinnovare la storia con il lievito di questo annuncio e di guardarla alla luce dell'amore salvifico di Dio (14). Tornare a distinguere compiti carismatici, compiti direttivi e compiti liturgico-sacramentali aiuterebbe certo a stabilire rapporti migliori tra le diverse vocazioni; oltretutto, anche la castità celibataria troverebbe allora una sua migliore collocazione.

Il rinnovamento della missione ad gentes e la teologia missionaria

Oggi è fin troppo comune parlare di cambio di paradigma nell'ambito della teologia della missione: vi è un uso e un abuso di questa nozione di paradigma (15). Credo, in ogni caso, che il referente degli Istituti missionari non sia tanto la teologia quanto l'atteggiamento ad gentes della Chiesa e, in particolare, delle forze che sostengono questo impegno. Al riguardo si deve riconoscere l'indubbio apporto che Giovanni Paolo il ha impresso all'attività missionaria: ne sono prova quei viaggi - più di un centinaio - che lo hanno portato in ogni parte del mondo.
Forse, ci può aiutare a comprendere la mentalità di questo pontefice un confronto tra il documento conciliare Ad Gentes, in particolare il n. 6, e i passi corrispondenti di Redemptoris Missio 33-37. In entrambi questi testi troviamo l'affermazione di "un'unica missione della Chiesa", precisata però dalle diverse circostanze in cui questa si svolge. A questo scopo Ad Gentes 6 richiama il suo legame con "le condizioni in cui questa missione si esplica" e indica come "missioni" le iniziative speciali che mirano a predicare il Vangelo e a impiantare la Chiesa. Anche se Redemptoris Missio 33 distingue tre situazioni -la missione ad gentes, la cura pastorale e la nuova evangelizzazione -l'impianto rimane il medesimo.
Ma l'inizio di Redemptoris Missio 34, descrivendo lo specifico della missione ad gentes, richiama sì tre passi conciliari (16) ma aggiunge anche qualcosa di suo e di originale: aggiunge cioè che la missione ad gentes deve prendersi cura anche di quei gruppi "la cui cultura non è stata ancora influenzata dal Vangelo". Non si tratta di una novità assoluta dato che, di per sé, osservazioni simili - esplicite o implicite - si ritrovano già nel concilio, ma è forse la prima volta che questo è messo esplicitamente in rapporto con la missione ad gentes. In questo modo Giovanni Paolo il mette l'attività missionaria in rapporto non solo con la mancanza di fede o con la lontananza da Cristo, ma anche con l'identità e la vitalità culturale di questi popoli. Parlare di "pagani" o "non credenti" non sarà più sufficiente; bisogna parlare sia delle culture tradizionali sia delle nuove situazioni socio-culturali.
È in questa linea che Redemptoris Missio 37 ha introdotto una metodologia che analizza la realtà intrecciando ambiti geograficoterritoriali, fenomeni sociali e aree culturali. Tra gli ambiti geografici papa Wojtyla ricorda tutti quelli in cui mancano Chiese ben formate e ricorda, in particolare, i territori asiatici; tra i fenomeni sociali mette l'accento sull' incremento delle città, sui fenomeni migratori e sulle pesanti condizioni di povertà; quanto alle aree culturali o areopaghi richiama il mondo della comunicazione, quello della cultura e
della ricerca scientifica, quello della pace e dei rapporti internazionali, quello dei diritti umani e dello sviluppo e liberazione dei popoli, la promozione della donna e dei bambini e la salvaguardia del creato.
Se mettiamo tutto questo in rapporto con la missione ad gentes, dobbiamo dire che ne viene una visione ampia come non mai; è l'intera vita ed è l'intera storia dei popoli che vanno fatte incontrare con quel "patrimonio spirituale" che la Chiesa offre all'umanità. Qui la missione ad gentes non è più limitata al partire o al primo annuncio; la missione "non ha confini [...]; non può accettare che confini geografici e impedimenti politici ostacolino la sua presenza missionaria" (17). Proprio perché non ha confini, questo impegno per ridare senso alla vita non può tollerare nessuna forma di emarginazione, nessuna barriera: la missione deve arrivare dappertutto (18).
L'importanza di queste indicazioni non dovrebbe sfuggire a nessuno. Abbiamo qui una presentazione dello specifico dell' ad gentes che non può saltare il mondo italiano; molte di queste indicazioni sono vere anche per il nostro teritorio nazionale. Se poi dovessimo sostenere che la "nuova evangelizzazione" appartiene allo specifico dell' ad gentes o almeno che, per quanto da esso distinta, è difficilmente da esso separabile e che, comunque, ha più attinenza con l'ad gentes che con la cura pastorale, allora il rapporto tra Chiesa italiana e Istituti missionari dovrebbe farsi molto più stretto. Anche insistendo su quello che deve rimanere lo specifico degli Istituti missionari, resta il fatto che questi devono sentirsi parte, a pieno titolo, di quell"'unica missione della Chiesa" di cui parla Redemptoris Missio 33 e che esige "una missione universale, che non ha confini e riguarda la salvezza nella sua integrità, secondo quella pienezza di vita che Cristo è venuto a portare" (19).
Una simile visione, volta a sviluppare l'eredità storico-salvifica del concilio nella linea di una sempre maggiore attenzione alla cultura e alla storia, è sicuramente rinforzata nell'attuale teologia della missione. L'impostazione storico-salvifica ha portato oltre una visione puramente ecclesiologica della activitas missionalis: ne è venuta una visione trinitaria che vede la missione ecclesiale sul prolungamento dell'azione salvifica di Dio. La missione è missio Dei. Questa tesi, affermata per la prima volta a Willingen (20) ad opera di una teologia di impostazione barthiana, non manca di una certa tradizionalità nella teologia cattolica. Era relativamente comune risalire dalla missione della Chiesa alla missione del Verbo e dello Spirito e non mancavano nemmeno autori che risalivano fino alla classica teologia trinitaria delle relazioni-missioni. Resta il fatto che questa impostazione storico-salvifica e trinitaria appartiene sia a Lumen Gentium 2-4 sia ad Ad Gentes 2-4.
Da questa impostazione la teologia ha ricavato due conclusioni fondamentali. La prima è che è questa missione trinitaria e storico-salvifica a determinare il volto e la vita della Chiesa: poiché la Chiesa è autentica solo in base alla sua corrispondenza all'azione di Dio, essa è vera solo quando vive ed esprime questa dimensione missionaria che la connota nella sua essenza. Già nel 1964, in pieno concilio, il protestante H. Berkhof aveva insistito sulla priorità dell'agire divino rispetto ai diversi soggetti cristiani: i credenti e la stessa Chiesa (21). Intesa come risultato dell'opera creatrice dello Spirito del Dio di Gesù, la Chiesa è mandata nel mondo a continuarne l'opera. Emerge così il carattere non strumentale della missione. La missione non è per qualcosa d'altro, per la salvezza delle anime o per la plantatio, ma è essa stessa sacramento del regno, è il suo farsi visibile nella storia umana; invece di intenderla strumentalmente, secondo le forme di un consumismo sacralizzato, va vista come orientata alla testimonianza dell'agire di Dio.
Vi è poi una seconda conclusione. Intesa come missio Dei, la missione va considerata in rapporto ad un agire divino che va oltre la Chiesa stessa; già gli scolastici medioevali insegnavano che Deus non
alligatur sacramentis. Questa universale azione salvifica è ben espressa in Gaudium et Spes 22 e in Ad Gentes 7 dove il mistero pasquale è messo in rapporto "nel modo che Dio conosce" con l'intera umanità. Ne è venuto il riconoscimento della possibilità della salvezza delle persone anche al di fuori della Chiesa e la teologia, in linea con la tradizione, ne ha indicato le condizioni nell' ignoranza incolpevole, nell' onesta ricerca di Dio e nella rettitudine della vita. Il nostro tempo, poi, sta interrogandosi sulla possibilità di una comprensione positiva e salvifica delle stesse religioni non cristiane. Partendo dall'affermazione di Redemptoris Missio 5 sulla possibilità di mediazioni salvifiche subordinate, che siano partecipazione alla mediazione di Cristo e non siano autonome e indipendenti da lui, la teologia va dibattendo lo statuto salvifico delle altre religioni mentre il magistero - con Redemptoris Missio 20 e Dialogo e Annuncio 35 ha riconosciuto, al di fuori dei confini visibili della Chiesa e in queste religioni, l'esistenza di un' incipiente azione salvifica da raccordare con quella in atto nella Chiesa stessa. Qui siamo ben oltre quel rispetto e quella attenzione richiamata in Nostra Aetate 2.
In un momento in cui la Chiesa italiana sta ripensando il proprio assetto e va prendendo atto della crescente presenza di credenti di altre fedi, simili tesi non possono non influire sul dialogo che gli Istituti missionari stanno aprendo con il cammino di ricerca di una Chiesa che, tradizionalmente, monopolizzava il senso religioso della popolazione. A questo tema se ne può aggiungere un secondo ed è la consapevolezza del legame della missione con un preciso contesto storico. Se già la Populorum Progressio (1967) aveva introdotto il tema di uno sviluppo integrale e solidale, sarà il documento finale del sinodo episcopale del 1971 su "La giustizia nel mondo" a formulare nel modo più chiaro l'esigenza insegnando che "l'agire per la giustizia e il partecipare alla trasformazione del mondo ci appaiono chiaramente come dimensione costitutiva (ratio constitutiva) della predicazione del Vangelo, cioè della missione della Chiesa per la redenzione del genere umano e la liberazione da ogni stato di cose oppressivo" (22). Riprendendo questo tema in ambito protestante, il convegno di
Bangkok (1972-1973) riconoscerà la necessità della contestualità e parlerà di una salvezza olistica (23).
Queste semplici indicazioni bastano per concludere che la comunicazione del Vangelo è una attività complessa che esige preparazione e competenze particolari; la pura ripetizione del carattere missionario della Chiesa e della necessità di una trasformazione della pastorale ordinaria in pastorale missionaria non risulta automaticamente feconda. Per questo è auspicabile che gli Istituti missionari portino alla Chiesa italiana tutto il loro ricco contributo di riflessioni, esperienze e iniziative e che partecipino direttamente al cammino di una Chiesa che vuol fare della missione ad gentes "non soltanto il punto conclusivo dell'impegno pastorale ma il suo costante orizzonte e il suo paradigma per eccellenza" (24). È tempo di interrogarsi teologicamente sul significato della presenza degli Istituti missionari all'interno di una svolta ecclesiologica che la Chiesa italiana ha fatto propria.

Chiesa italiana e Istituti missionari: insieme per la missione

A partire dal post-concilio, la Chiesa italiana ha fatto propria in misura sempre maggiore la svolta verso una nuova immagine di comunità centrata sulla Parola e sulla conseguente priorità dell'evangelizzazione; articolandosi in carismi e ministeri diversi, coordinati dal vescovo per il bene di tutta la comunità, ha cercato di vivere una reale apertura al regno (25) e alla missione.
L'importanza di questo fatto è indiscutibile. Tuttavia i rapporti tra Chiesa italiana e Istituti missionari vanno pensati concretamente: lo sfondo concettuale non può saltare la realtà storica di un'evoluzione
che ha coinvolto entrambi i soggetti (26). In una Chiesa che guarda a Sud, le statistiche mostrano una crescita di presbiteri e di religiosi/e provenienti dal Sud del mondo e che prestano la loro azione pastorale nella Chiesa italiana; del pari, la scelta dell'internazionalizzazione è conseguente al massiccio spostamento del personale missionario dai paesi del Nord a quelli del Sud. Il senso immediato di questo cambiamento è l'esperienza di un crescente intreccio di rapporti tra Chiese, ma il senso ultimo sembra delineare un futuro dove il volto della Chiesa dovrà rispecchiare di più il protagonismo delle Chiese locali. Una semplice internazionalizzazione della Curia vaticana non sembra in grado di reggere le sfide insite in queste trasformazioni.
È pensabile che gli Istituti missionari dovranno attrezzarsi in modo da saper rendere ragione di una concreta condivisione del cammino delle singole Chiese, non necessariamente identico; l'unità di un carisma e di un'appartenenza e la pluralità dei diversi cammini ecclesiali rappresenteranno lo sfondo di una complessa ricerca di equilibrio che, presumibilmente, gli Istituti saranno chiamati a vivere nel futuro. Pensare che gli Istituti nati in Italia ma pienamente coinvolti in queste trasformazioni riservino all'Italia le loro energie migliori non è realistico, ma si può ritenere che l'attuale situazione manterrà - ancora per qualche tempo - una sufficiente presenza di padri e di case da poter permettere un dialogo in qualche modo privilegiato proprio con la Chiesa italiana (27).
In questa fluida situazione, non vorrei tracciare un elenco di cose che si possono o si dovrebbero fare; più semplicemente vorrei provare a mettere a tema quel ministero dell'evangelizzazione che, in forme diverse, rappresenta il dato comune a tutti i carismi e che attraversa trasversalmente tutte le autentiche esperienze ecclesiali. È sempre più evidente che il recupero di un'autentica prospettiva missionaria esige un profondo rinnovamento della vita cristiana e dell' autocoscienza della Chiesa e trascina con sé l'emergenza di nuove coordinate dogmatiche e, anche, di nuovi percorsi di spiritualità. Se questo può avvicinare servizio diocesano e servizio universale, per altri versi chiede di ridefinire meglio la loro originalità e i loro profili (28).
Senza trascurare quanto abbiamo indicato come proprio dell'insegnamento di Giovanni Paolo II, si può cominciare con il ricordare che se la carità pastorale è al centro della figura del presbitero, il servizio al Vangelo e la dedicazione all'evangelizzazione sono invece al centro della figura del missionario. Sulla base di quanto indicato sopra, si può forse ritenere che la dedicazione alla evangelizzazione sia una forma particolare e specifica della carità pastorale. Correttamente intesa, infatti, la carità pastorale nella sua obiettività altro non è che il cuore di un ministero radicato nella missione dei dodici: va quindi intesa come servizio all'annuncio del regno e alla costituzione della comunità di quei discepoli che si rifanno alla autorità e all'esempio di Gesù vivente per sempre.
Il servizio apostolico del missionario diventa uno stato di vita proprio là dove "il dono di sé, il totale dono di sé alla Chiesa, ad immagine e in condivisione con il dono di Cristo" diventa "il principio interiore e dinamico capace di unificare le molteplici e diverse attività del sacerdote" (29). Qualificata da questa radicale scelta di vita evangelica (30), la dedicazione alla missione salda in profondità il ministero dell' evangelizzazione con quella testimonianza del primato del regno che regge tutta la sua vita.
Questo comporta la testimonianza di una concezione religiosa ed etica della vita, comporta la testimonianza di uno stile di vita che,
nelle sue priorità e nelle sue relazioni, non teme di andare controcorrente. Più che il consenso delle masse persegue la formazione di piccoli gruppi che, animati da un'intensa vita spirituale, sappiano presentare il vero senso del Vangelo. L'impegno apostolico della missione comporta anche una concezione dell'appartenenza ecclesiale che non si incentri in dogmi o riti, pur necessari, ma che riscopra in ogni istante di essere appartenenza all'amore vivente e operante di Cristo. L'appartenenza all'amore di Cristo e, per questo, alla Chiesa va intesa come un ponte lanciato verso l'umanità e non come una porta che si chiude per la propria pace. Infine l'impegno missionario comporta una chiara testimonianza sociale che miri a radicare il Vangelo non solo nei cuori ma nei modi di pensare e nei comportamenti, nelle relazioni con i poveri e in quelle con gli immigrati, nei centri decisionali e nella mediazione interculturale. Il Vangelo deve aprirsi alla totalità della vita e alla totalità delle persone. Su queste basi si potrà cominciare un cammino che veda le Chiese locali e gli Istituti missionari convergere insieme verso la missione.

 

NOTE

* Docente di Teologia della missione alla Pontificia Università Urbaniana.
[1] Su questo tema si vedano i contributi raccolti in Les lnstitutes Missionnaires, quel avenir?, «Spiritus» 167 (2002), pp. 141-268 con particolare attenzione per gli articoli di R. Schreiter, E. Manhaeghe, M. Amaladoss, M. Cheza. L'articolo di Amaladoss sarà ripreso e ampliato in M. AMALADOSS, The Mission lnstitutes in the New Millennium, «Sedos Bulletin» 36 (2004), pp. 205-211. Sempre di questo autore si veda anche M. AMALADOSS, Foreign Missions Today, «East Asian Pastoral Review» 25 (1988), pp. l 04-118. La sua tesi, che prevede il declino degli Istituti missionari e il passaggio della loro responsabilità missionaria alle Chiese locali, non mi trova d'accordo e trova una risposta dura e polemica in P. GHEDDO, The Mission "ad Gentes" and Missionary Institutes, «Sedos Bulletin» 36 (2004), pp. 260-262.
Per questo articolo mi sono liberamente ispirato anche a rassegne dedicate alla evoluzione del carisma religioso come R. ZAS FRlZ DE COL, La condizione attuale del presbitero religioso nella Chiesa, «Rassegna di Teologia» 45 (2004), pp. 35-71; R. ZAS FRlZ DE COL, L'identità ecclesiale del presbitero religioso. Il caso dei gesuiti, «Rassegna di Teologia» 45 (2004), pp. 325-360; P.G. CABRA, Il rinnovamento della vita consacrata. I: Preconcilio e concilio. II: Il primo postconcilio. III: Anni settanta, «Vita consacrata» 40 (2004), n. 2, pp. 141-159; n. 4, pp. 360-387; n. 5, pp. 496-516. Si veda ancora R. SCHREITER, Défis actuels à la mission "ad gentes". Réunion des Superieurs généraux des Sociétés de Vie apostolique à Maryknoll, le 1er mai 2000, «Missions étrangères de Paris» n. 358, Avril 2001.
[2] È del tutto pacifico che i religiosi siano esenti dalla giurisdizione episcopale nelle loro case come lo sono anche i laici nella loro vita domestica; risulta però difficile parlare di esenzione da legami con la Chiesa locale per presbiteri che hanno ricevuto l'imposizione delle mani.
[3] Le due avventure coloniali, in Libia e in Eritrea-Etiopia, sono tardive e avvengono nei primi decenni del Novecento.
[4] Risulta emblematica, al riguardo, la stessa impostazione delle cattedre di missiologia, tanto quella protestante di Halle quanto quella cattolica di Münster. Volute dal ministero tedesco delle colonie, che sperava così di trovare spunto per un supplemento d'anima all'avventura coloniale, avranno invece un percorso diverso; il protestante G. Warneck e il cattolico J. Schmidlin, che ne seguirà le orme, rifiuteranno di presentare le missioni attorno alla nozione di "europeizzazione", in omaggio alla civiltà europea, e ne indicheranno lo scopo nella "cristianizzazione" di un popolo.
[5] T. GOFFI, Storia della spiritualità. VII: La spiritualità dell'Ottocento, Dehoniane, Bologna 1989, pp. 105-156; pp. 301-353. Forse la ragione di questa centralità si lega al giudizio negativo che la Chiesa dava della società del tempo: la miseria di un' epoca che si staccava dalla fede e che vedeva il nascere delle prime ideologie immanentistiche trascinava con sé tanto una ripresa del nucleo redentore della fede quanto una sottolineatura del carattere riparatore di questa ripresa; lo si nota anche dalla frequenza con cui i temi del S. Cuore e del Preziosissimo Sangue sono presenti nelle congregazioni religiose di quest' epoca.
[6] A conferma si può ricordare che già Muratori aveva fondato una Compagnia della Carità, per la quale aveva scritto il Trattato della Carità cristiana (L.A. MURATORI, Trattato della Carità cristiana e altri saggi sulla Carità, Roma 1961) e che, a sua volta, Rosmini aveva fondato un Istituto della Carità; del resto, molte Congregazioni femminili del tempo si ispireranno a questo termine.
[7] Nel 1848 uscirà il lavoro di Rosmini (A. ROSMINI, Delle cinque piaghe della Santa Chiesa, a cura di C. Riva, Brescia 1967), che fonderà il suo riformismo non su un'astratta religione interiore ma sulla dignità di una vita plasmata dai sacramenti. Nella stessa direzione andrà quella scuola romana a cui dobbiamo, al di là dei lavori dei singoli autori, soprattutto la Costitutio De Ecclesia Christi secunda: Tametsi Deus, presentata come base di discussione ai padri del concilio Vaticano I: l'immagine del Corpo mistico, che ne è il cuore, insisterà sulla connessione organica tra i membri della Chiesa e indicherà la logica ultima della vita ecclesiale in una prospettiva di vicendevole servizio.
[8] P. MANNA, Osservazioni sul metodo moderno di evangelizzazione. Testo confidenziale e lungamente inedito, il manoscritto - che risale agli anni '20 - fu pubblicato per la prima volta nel 1977: P. MANNA, Osservazioni sul metodo moderno di evangelizzazione, introduzione e note di A. Buono G., EMI, Bologna 1977. Studiato e approfondito da G. Butturini (La "Fine delle Missioni" in Cina nell'analisi di P. Paolo Manna, EMI, Bologna 1978), vedrà quest'ultimo completare i suoi studi con l'opera: G. BUTTURINI, Le missioni cattoliche in Cina tra le due guerre mondiali. Osservazioni sul metodo moderno di evangelizzazione di p. Paolo Manna, EMI, Bologna 1998. In quest'ultimo lavoro, il testo integrale del manoscritto è riportato alle pp. 81-179. Su questo lavoro e su Paolo Manna in genere, si veda anche G. COLZANI, La missione centro della Chiesa. L'apporto teologico di p. Paolo Manna, in G. BUTTURINI- G. COUANI, Illuminata passione. Il beato Paolo Manna nella storia della missione contemporanea, EMI, Bologna 2001, pp. 49-184.
[9] "Vogliamo convertire il mondo mediante un' organizzazione che è il risultato della nostra mentalità, della nostra vita occidentale più o meno materialistica" (G. BUTTURINI, Le missioni cattoliche, cit., p. 87). Si tratta di una mentalità che si è a tal punto infiltrata da dover ammettere che anche là ove "volenti o nolenti i missionari esteri, si cerca di stabilire alcune chiese veramente indigene, si resta ancora schiavi dell'organizzazione materialistica che abbiamo introdotto noi" (Ibidem, p. 89).
[10] Gv 20,21.
[11] Soggetti missionari non presbiterali sono sempre esistiti: per sottolineare la centralità della gerarchia nella ecclesialità missionaria, J. Schmidlin li chiamava "ausiliari". Tuttavia il loro numero e, più ancora, il loro significato teologico è cresciuto nel post-concilio.
[12] Lumen Gentium 23.
[13] Christus Dominus 30/1b; Apostolicam Actuositatem 10; Ad Gentes 37; Presbyterorum Ordinis 10.
[14] "La storia del mondo di oggi, che s'incarna nella esistenza concreta di ogni uomo, diviene un libro aperto alla meditazione appassionata della Chiesa e di tutti i cristiani. Essa si traduce in una sfida che raggiunge tutte le vocazioni nella Chiesa, provocandole a un'esigente revisione di vita e di impegno" (Religiosi e promozione umana 15).
[15] Il testo che più di ogni altro ha contribuito alla diffusione di questo tema è il fortunato lavoro di D. Bosch, La trasformazione della missione. Mutamenti di paradigma in missiologia, Queriniana, Brescia 2000.
[16] I passi richiamati sono i seguenti: Ad Gentes 6, là dove il testo ricorda che la missione ad gentes riguarda "popoli e gruppi che ancora non credono in Cristo", Ad Gentes 23 là dove il testo parla di "coloro che sono lontani da Cristo" e Ad Gentes 27 là dove parla di "categorie o popoli che non hanno ancora ricevuto il messaggio evangelico o ad esso hanno fano finora resistenza".
[17] Redemptoris Missio 37.
[18] A. GITTINS, Ministry at the margins. Strategy and spirituality for Missions, Orbis Books, New York - Maryknoll 2002.
[19] Redemptoris Missio 31.
[20] Al riguardo si può ricordare il numero unico che, nell'ottobre 2003, la «Intemational Review of Mission» ha dedicato a questo tema: Willingen 1952Willingen 2002 con molti interventi tra cui quelli di Th. Sundermeier, P. Suess e J. Matthey.
[21] H. BERKHOF, Lo Spirito Santo e la Chiesa. La dottrina dello Spirito Santo [1964], Jaca Book, Milano 1971. n testo pubblica le lezioni delle «Annie Kinkead Warfield Lectures» tenute al seminario di Princeton dal 3 al 7 febbraio 1964.
[22] Enchiridion Vaticanum. IV: Documenti ufficiali della Santa Sede 1971-1973, Dehoniane, Bologna 1978, p. 803.
[23] Resta da dire che il tema affrontato a Bangkok sarà ripreso dal Quinto Congresso Internazionale di Missionologia, organizzato dalla Pontificia Università Urbaniana nel 1988: La salvezza oggi, Pontificia Università Urbaniana, Roma 1989.
[24] Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 32.
[25] Questo dato è decisivo per la teologia della missione. Infatti la tradizionale identificazione della Chiesa con il regno portava alla conclusione pacifica dell'essenza salvifica della Chiesa di modo che sia la plantatio sia l'appartenenza alla Chiesa erano di per sé salvifiche.
[26] Appartiene a questa riflessione concreta il prendere atto che la vocazione missionaria, di per sé fenomeno laico comprensivo dei fratelli e delle donne, ha subito un processo di clericalizzazione: riportare al centro quel radicalismo che la caratterizza, e cioè povertà e fraternità, servizio e preghiera, vorrebbe dire riportare al centro la testimonianza del regno.
[27] Se poi mi sbagliassi e la situazione dovesse darmi torto, nel senso di un'ulteriore e prolungata presenza degli Istituti nel tessuto ecclesiale italiano, sarei il primo a rallegrarmene.
[28] Entrambe le figure appartengono alla comunione presbiterale ma l'unicità dello scopo evangelizzatore deve precisare la diversità delle modalità percorribili per chiarire le due diverse figure di presbiteri; questo comporterà una certa autonomia, propria della specificità missionaria, ma nell'ambito di una comunione presbiterale condivisa nella sua profondità. Il ministero parrocchiale non è l'analogatum princeps del mini stero sacerdotale.
[29] Pastores dabo vobis 23.
[30] Se, in qualche modo, questa radicale scelta evangelica può correttamente esprimersi nei "voti", andrà ricordato che i "consigli evangelici" esprimono un' esigenza che appartiene a tutti i cristiani; per questo la vita apostolica e missionaria, per quanto sia ben amalgamata con i voti, non li esige necessariamente.

 

CENTRI MISSIONARI DIOCESANI E ISTITUTI 
DOPO MONTESILVANO
di Gianni Cesena*

Il "Movimento Missionario Italiano"

A Montesilvano don Gianni Colzani, nella sua relazione conclusiva, ci ha parlato di un movimento missionario italiano, rappresentato dai molti partecipanti e indicato come capace di "formulare una sua proposta di vita cristiana, una sua proposta globale" e di essere "portatore non solo di una serie di iniziative di appoggio alla missione ad gentes ma anche di una maniera di interpretare la fede e, quindi, di comprendere la persona di Gesù e l'esperienza della Chiesa, di una maniera di leggere la storia e, quindi, di valutarne le dinamiche e le prospettive, di una maniera di intendere la vita e, quindi, di coglierne i valori e il significato".
Poiché di tale movimento ci sentiamo parte, pensiamo che la relazione tra Istituti missionari e Centri missionari diocesani (CMD), che ci tocca da vicino, possa essere decisiva sia per i soggetti in questione sia per il movimento nel suo insieme.
Il desiderio di un cammino comune non può limitarsi però a questi due soggetti, ma si apre a tutti; e a fondamento di tale desiderio poniamo più che la necessità di compattezza e unità in tempi di crisi, la virtù della comunione che del convegno di Montesilvano è stata tema, esperienza e dono.
La comunione, percepita più come dono di Dio che come frutto di sforzi umani, chiede infatti di manifestarsi in comportamenti e scelte, in atteggiamenti e abitudini, in applicazioni ed esercizio. Non bastano generiche esortazioni, né possiamo accettare di far derivare
la comunione da indebite forzature (dall' alto o dal basso) o di rassegnarci quando essa risulti assente.

Servizio quotidiano dei CMD e interlocutori

La relaziona tra Chiese locali e missione, che è la ragione della esistenza dei CMD (o delle loro denominazioni equivalenti nelle varie diocesi), non si può risolvere né in pura sovrapposizione dei due termini, né in semplice acquisizione di competenze. I CMD si sentono piuttosto impegnati a ricercare, edificare, condividere e custodire l'anima missionaria delle comunità locali: quell'anima senza la quale la Chiesa non è Chiesa.
In funzione della comunione, più che un compito di coordinamento (termine non univoco), il CMD assume un ministero a nome del vescovo. La sua priorità, perciò, non consiste tanto nel cercare strategie ed efficacia, ma nel fare comunione, condividendo un progetto con le forze missionarie e in sintonia con il piano pastorale diocesano.
Sulla base di queste considerazioni, emerse anche dal convegno nazionale, e per uscire dal campo dei propositi, tentiamo di identificare i principali interlocutori della pastorale missionaria e di discernere prospettive e problematiche del loro agire.

a) Primo interlocutore è certamente il vescovo con le sue proposte, condensate nei programmi e nelle strutture pastorali di cui si è dotato:

Oggi molti vescovi parlano di missione, sull'onda delle indicazioni nazionali; i missionari, ammirati per la scelta, non sempre vi si trovano a loro agio, perché colgono oscillazioni, ambiguità o riduzioni sul significato stesso di missione.

Le vie della pastorale d'insieme, da tutti richiesta e da pochi realmente compresa e praticata, esigono come indispensabile qualche sperimentazione coraggiosa.

b) Interlocutori privilegiati sul territorio sono le comunità parrocchiali, con le loro articolazioni e i loro ministeri in ordine alla Parola, alla liturgia e alla carità.

Appare arduo (lo si è detto anche a Montesilvano) presentare proposte a comunità già affaticate da impegni ordinari e da un'eccedenza di richieste, anche se molte sono effettivamente distratte di fronte alle sollecitazioni della missio ad gentes.

Non va dimenticato che l'anima missionaria di una comunità cristiana passa comunque attraverso la sua vita quotidiana, che è stata ed è spesso grembo di vocazioni missionarie e luogo di sostegno e gratuita dedizione alla missione.

c) Con gli istituti religiosi e missionari non basta condividere un'efficiente animazione missionaria, ma va costruito un volto di Chiesa.

Essi sono costituiti da uomini e donne che stanno vivendo di fatto la vocazione missionaria: verso di loro deve esercitarsi l'attenzione fraterna della diocesi e la vicinanza della Chiesa di origine.

La Chiesa italiana, le regioni e le diocesi, stanno camminando nella direzione di un comune sentire su temi quali la visione della missione, la formazione, l'inculturazione, la cooperazione con le Chiese locali, ecc.; ma non sempre questo cammino sembra condiviso da singoli missionari o riesce a creare comunione con tutti gli Istituti.

Positiva è la capacità degli Istituti di mobilitare giovani, e non solo, che spesso non frequentano le normali attività parrocchiali; tale capacità permette a molti di affrontare seri itinerari di fede e di impegnarsi per la missione, la pace e la giustizia; non raramente tale ricchezza torna a vantaggio delle stesse parrocchie.

d) La sensibilità missionaria, infine, esce dal recinto ecclesiale e dà spontaneamente vita a un vasto numero di iniziative: dal sostegno ai missionari al rinnovamento degli stili di vita (commercio equo, finanza etica, ecc.), dalla riflessione culturale alla progettazione di interventi. Spesso in queste aggregazioni si incrociano, con diverse motivazioni, credenti e non credenti. Accanto a cammini comuni accade che diocesi e parrocchie e gli stessi animatori missionari non siano pronti a un incontro fraterno con tali realtà, più per ignoranza reciproca che per volontà di esclusione.

Per condividere il dono

La comunione e la corresponsabilità si nutrono di questioni pratiche, che vanno approfondite, ma sono anche e soprattutto doni dall'alto, per vivere i quali siamo invitati (specialmente da parte dei missionari) a condividere stili più evangelici.

a) Guardare insieme alla Chiesa come popolo di Dio

La discussione, dopo il Concilio, sulle identità e sui ruoli all'interno del popolo di Dio non è stata vana, poiché occorreva recuperare certezza sulle diverse vocazioni. Tuttavia anche nella Chiesa troppe volte si utilizzano in modo conflittuale le categorie "noi e voi" (preti/laici, uomini/donne, carisma/istituzione, comunione/missione, ecc.), indice certo di un disagio. Possiamo aiutarci a deporre le nostre fantasie e a cercare con più semplicità il volto del Signore, senza appropri azioni indebite e senza contrabbandi.

b) Proporre una fraternità effettiva

La fraternità ha bisogno di tempi e modi per esprimersi, ridimensionando eccessi emotivi o superficiali. Nelle nostre comunità sembra però vigere un' altra regola: valgono i risultati e l'efficienza delle molte iniziative, ma la fraternità non diventa criterio di giudizio e la carità rischia di essere selettiva. La relazione interpersonale resta sempre la via povera, ma straordinariamente efficace, per evangelizzare.

c) Condividere la fatica delle nostre Chiese oggi

La diminuzione di praticanti e vocazioni, la perdita di controllo sulla società, il confronto culturale con la modernità, con i non cristiani e i non credenti ancora sorprendono e inquietano. Anche il missionario che torna non si ritrova, e non solo per la stridente differenza tra le povertà che ha lasciato e lo spreco che vede, ma anche per la cultura stessa delle persone e la struttura della società. Condividere questa fatica con le nostre comunità significa non solo saperne leggere fenomeni e carenze, ma anche comprendere le ragioni storiche, riconoscerne i ritardi come pure apprezzare il lucido desiderio di molti operatori pastorali e di semplici credenti di rispondere alle sfide presenti, continuando ad amare la "nostra gente" con tutte le sue contraddizioni.

d) Annunciare con essenzialità il Vangelo di Gesù

Capita che anche i più sensibili tra i cristiani temano momenti di silenzio rigoroso, scelte un po' fuori dall' ordinario, cammini che giungono a compimento. D'altra parte ci sono esempi straordinari e inaspettati di solide vite cristiane, nascoste in famiglie del tutto normali o in serie scelte professionali, missionarie, caritative. Non spetta a noi giudicare. Spetta però annunciare e condurre a Gesù, discernendo gli idoli che impediscono la relazione personale con lui.

e) Ritrovare il gusto di una Chiesa al servizio del mondo

L'esperienza missionaria parte generalmente da un confronto vivo con il mondo: mondo fatto di diversità culturali, di povertà, di ingiustizie. Mondo dove si va sempre come "ospiti" e dove criteri e valori non sono quelli imparati a casa.
Non si vede ancora una metodologia diffusa affinché questo "mondo" entri nelle parrocchie: spesso accade che esso rimanga fuori, oppure che le questioni vengano affrontate in chiave moralistica (la famiglia, il lavoro, gli stranieri), quando non di scontro e di conquista. Le modalità di abitare e di lavorare della gente, la qualità della scuola, l'utilizzo del tempo libero, le forme di violenza presenti nella società, gli interessi culturali, la comunicazione tra le persone, l'organizzazione della città, la difesa dell' ambiente: queste realtà entrano con difficoltà nella predicazione della Chiesa, nelle trattazioni dei Consigli pastorali, nei progetti parrocchiali.
Perché ciò avvenga occorrono una conversione di mentalità e la creazione di qualche laboratorio che, senza pretese, aiuti a orientare meglio razione delle comunità non per se stesse, ma per il Regno. E insieme la capacità di leggere questo tempo come un "oggi di Dio", un kairòs, tempo favorevole per la fedeltà evangelica dei singoli e delle comunità.

NOTE

* Direttore CMD di Milano.

 

 

CENTRI MISSIONARI DIOCESANI 
E ISTITUTI MISSIONARI 
NEL SUD ITALIA
di Alfonso Raimo*

Una riflessione sul rapporto tra CMD e Istituti missionari nel Sud Italia non può che partire da una duplice constatazione:
- Nel Sud Italia sono rare le diocesi che possono vantare la presenza di un Centro missionario capace, nello spirito della corresponsabilità, di dare forma a una pastorale missionaria che coinvolga e valorizzi le risorse umane, la sensibilità e il patrimonio culturale delle nostre Chiese. L'ufficio missionario è spesso un'isola all'interno della curia e il direttore un isolato. La Conferenza episcopale italiana auspica la costituzione in ogni diocesi del CMD, invitando le piccole diocesi a dotarsi di un Centro missionario interdiocesano (Cfr. L'amore di Cristo ci sospinge, appendice I, n. 2), nel quale convergano tutte le forze missionarie operanti in diocesi. Nel Centro non possono non trovar posto gli Istituti missionari presenti nelle Chiese locali, in quanto "espressione e sostegno dell'impegno per la missione universale della Chiesa locale" (Cfr. Gli Istituti missionari nel dinamismo della Chiesa italiana, 10 febbraio 1987 ).
Nel caso degli Istituti non si dica che sono a servizio della Chiesa locale, ma che sono parte di questa Chiesa. Ogni Istituto si senta responsabile della crescita di questa Chiesa come della propria, perché essa si senta a sua volta responsabile dell'evangelizzazione universale. Non penso di peccare di eresia se ricordo che il principale soggetto della missione non è il singolo missionario, che pure sfida le avversità climatiche e l'ostracismo delle autorità, e neanche un Istituto a cui è affidata la cura di un territorio, ma lo è la Chiesa locale.
In termini pratici questo vuoI dire che gli Istituti sono chiamati a pieno titolo a far parte degli organi di pastorale diocesana per dare un contributo già nella fase programmatica (di elaborazione di un progetto pastorale).
- Bisogna altresì riconoscere la presenza numericamente poco rilevante degli Istituti missionari nel Sud Italia. Da più parti viene fatto notare che il baricentro delle forze missionarie è spostato nel Centro-Nord, dove una lunga e consolidata tradizione registra anche l'esistenza di efficienti Centri missionari, la benefica presenza di tanti fidei donum e di altri organismi con finalità missionaria, nonché il servizio reso dal CUM (che, pur essendo organismo di tutta la CEI, per collocazione geografica della sede offre maggiori opportunità di formazione alle Chiese del Nord).
Si auspica un maggior investimento di persone (per quanto ciò sia possibile) in un territorio che, investito dal fenomeno dell'immigrazione, è diventato l'anticamera dell'Europa, e in una Chiesa che èdiventata Chiesa della prima accoglienza. Le comunità.del Sud più di altre sono sollecitate nello sforzo dell'accoglienza, e pertanto più interessate ad acquisire uno stile dialogante. Rimanendo fedeli al tema del Forum potremmo ritenerle le comunità a cui giunge il primo grido di aiuto di un popolo in fuga. Queste Chiese oggi come non mai chiedono il sostegno e lo stimolo della vostra coraggiosa apertura, soprattutto sui temi della giustizia e della pace. Forse oltrepasso i confini della mia competenza se sogno proprio in questa situazione, segnata anche da tanta violenza, la presenza profetica di comunità miste, composte da membri di vari istituti e da preti diocesani. Le regioni del Sud sono la terra della delinquenza organizzata, dei cartelli malavitosi. Possibile che i delinquenti riescano a organizzarsi e noi no?
Se non è facile questo inserimento nelle diocesi per la mancanza di Istituti o per la "chiusura" dei direttori dei Centri, necessaria e doverosa diventa la presenza all'interno della Commissione missionaria regionale. Come ricorda la nota pastorale L'amore di Cristo ci sospinge (1999), essa è composta dai rappresentanti delle diocesi, degli Istituti e degli organismi missionari operanti in regione. Gli Istituti possono proporsi come principali soggetti di formazione dei quadri dei Centri missionari diocesani, attraverso l'offerta di esercizi spirituali e di corsi mirati all'acquisizione di una spiritualità ad gentes.
È essenziale che questa formazione sia impartita dai missionari.
Non può esserci vera formazione missionaria senza missionari. Ho letto qualche giorno fa un illuminante testo di cui vi offro uno scorcio:

Una delle cose importanti che non mi insegnò il seminario, mentre ero studente e che più tardi ho dovuto imparare da me stesso, fu il semplice fatto che trovare e conoscere un indù è più interessante e importante che conoscere l'induismo, un buddhista più che il buddhismo, un marxista più che il marxismo, un rivoluzionario più che la rivoluzione, un missionario più che la missionologia... L'incontro con il missionario è pieno di possibilità imprevedibili... Adesso penso al missionario e penso che il missionario è molto più "misterioso" che la missionologia. lo posso addomesticare la missionologia, non il missionario... La missionologia non suda, non ha sete, non si lamenta, non grida, non ride. Ma il missionario sì.

Sento la necessità, a tal proposito, di condividere una sensazione di disagio che ho provato qualche mattina fa entrando di buon'ora in una insolitamente vuota e silenziosa basilica di san Pietro; un silenzio interrotto dal bisbiglio proveniente dai tanti altari collocati nella basilica, con altrettanti preti che celebravano in piena solitudine la S. Messa. Voce sommessa e parole sussurrate per non disturbare l'altro celebrante. Quanta tristezza nel pensare alle tante comunità che non possono permettersi il lusso di un celebrante! Ma maggiore tristezza nel pensare che tanti preti non erano riusciti a mettersi insieme per celebrare attorno a un unico altare! Aiutateci a superare l'idea che ognuno ha il suo altare c la sua Messa da celebrare...
Ma a volte anche voi Istituti missionari vi comportate come se aveste un vostro altare e una vostra Messa da celebrare. Se lo stile missionario deve essere lo stile che la pastorale ordinaria dovrà assumere, i vari Istituti non potranno e non dovranno lavorare in spirito di competizione.
Sono coinvolto nella felice esperienza di collaborazione tra il SUAM campano e la Commissione missionaria regionale che io dirigo e posso felicemente testimoniare i benefici che ne sta traendo tutta la realtà missionaria regionale.
La Chiesa italiana parla molto di missione - negli stessi documenti si nota una certa inflazione di questo termine - ma di fatto questa
è sempre meno missionaria. Tante iniziative e alcuni gemellaggi non la rendono automaticamente missionaria. Condivido con don Gianni Colzani (vedi Il carisma degli istituti missionari nella Chiesa italiana, pp. 44-62) l'impressione che il Movimento missionario italiano sia giunto a piena maturità, capace così di "formulare una sua proposta di vita cristiana, una sua proposta globale". Siamo però ancora inseriti in una realtà troppo preoccupata a contare i danni prodotti dal secolarismo e a lamentare le continue defezioni, troppo preoccupata davanti all'avanzata dell'Islam e delle tante offerte pseudo religiose. Se non è possibile avanzare che almeno si conservino le posizioni! lo stesso come prete diocesano sono molto più pronto a realizzare quella che definisco la "pastorale del lucignolo fumigante". Aiutateci a lasciare queste posizioni, traghettateci dalla sponda dei tanti documenti, dei tanti proclami e slogan a quella della realizzazione di ciò che essi esprimono, a una partecipazione coraggiosa e responsabile.
La formazione e l'animazione missionaria devono perdere il carattere della genericità, che spesso le contraddistingue e che non le fa assumere il rilievo che pure le spetta. Scarsa considerazione per gli studi missionologici si riscontra da parte delle istituzioni diocesane e da parte degli stessi Istituti missionari.
Un'autentica formazione missionaria deve, poi, non solo colmare i vuoti informativi, ma infondere fiducia e coraggio, elementi questi ultimi di cui hanno estremo bisogno i preti diocesani, sempre più impotenti davanti alle nuove sfide e in una situazione che sconvolge le tradizionali strategie. La condizione di fragilità del prete oggi si avvicina sempre di più a quella vissuta dal missionario; ed è una provvidenziale opportunità per vivere e annunciare il Vangelo.
Questo mi permette un'ultima considerazione relativa alla formazione dei seminaristi che ha scarsi riferimenti alla dimensione missionaria del loro futuro ministero. Non ricordo quale sacerdote un giorno parlando a un gruppo di seminaristi disse: "In seminario vi insegnano a smontare Cristo, come un meccanico smonta una macchina, per poterlo studiare pezzo per pezzo, ma non vi insegnano a rimontarlo". Una formazione teologicamente soddisfacente, ma che emargina la dimensione missionaria ad gentes non può dunque dirsi completa. È questa infatti che, allargando i confini del proprio ministero e individuando i bisogni più profondi di ogni individuo, permette di ricomporre i pezzi e di avere una visione integrale del servizio. Questa formazione non può limitarsi solo a un corso accademico o all'incontro col missionario visitatore dei seminari inviato dalla PUM. Penso a una formazione che porti non il missionario nel seminario ma il seminarista nella casa del missionario. Avete delle grandi case che un tempo brulicavano di studenti e missionari e che oggi potrebbero accogliere seminaristi e candidati al sacerdozio per colmare tra voi la duplice lacuna della vita comunitaria e della formazione missionaria. Ciò che caratterizza (perdonatemi se questa valutazione è errata) la presenza nelle vostre case è il desiderio di andare o tornare in missione. I "ritardi" preoccupano e generano ansia nei giovani e nostalgia negli anziani. Tutto questo non può che essere benefico per chi ha pensato al proprio ministero nel "luogo dove è stato sotterrato il proprio cordone ombelicale" (mons. Pierre Tchouanga Camerun ).
Concludo con le parole con cui don Gianni Colzani chiudeva il Convegno Nazionale di Montesilvano: "Per questo consideriamo questo Convegno come l'inizio di un dialogo fruttuoso e di una sincera partecipazione alle ricerche e alle trasformazioni della Chiesa italiana" .

NOTE

* Direttore CMD di Salerno.