AL SERVIZIO DEL "VANGELO"

La loro presenza è sempre più anziana e ridotta.
Le "famiglie missionarie" s’interrogano
sullo "stallo" delle "vocazioni" italiane.

RITAGLI   Missionari,   MISSIONE AMICIZIA
il «dono» dall’Italia al mondo

Cala il numero di chi parte dal nostro Paese per l’annuncio "ad gentes".
Ma il loro impegno resta tuttora importantissimo.

Sulla strada della Missione, in Guinea Bissau! Bimbi nelle Filippine: semplicità che attende aiuto... Momento di preghiera in una Chiesa del Vietnam!

Gerolamo Fazzini
("Avvenire", 14/11/’08)

Qual è lo stato di salute della Missione «ad gentes», oggi? Sensazione diffusa è che i Missionari «classici» – in Italia – siano in diminuzione, che l’età media vada crescendo e che l’ingresso di ragazze e giovani in "Congregazioni" e "Istituti Missionari" sia ormai un evento sporadico. Peraltro, va aggiunto, i Missionari continuano a godere di ammirazione generale (anche fuori del mondo cattolico). Ma, per quanto la loro "testimonianza" sia limpida e radicale, faticano a contagiare i giovani del medesimo entusiasmo che li ha spinti a consegnarsi "in toto" all’annuncio del "Vangelo".
I numeri confermano la situazione di "stallo". Un esempio. Nell’Istituto numericamente più consistente (i "Comboniani") gli italiani erano 1216 nel 1983; sono un quarto di meno (778) a 25 anni di distanza. Il vistoso calo è stato compensato dall’aumento di "vocazioni" straniere, passate da 566 del 1983 alle 975 attuali (quasi il doppio). Ciò fa sì che il totale dei membri dell’Istituto sia rimasto sostanzialmente stabile negli anni. Ma in molti altri casi l’iniezione di "vocazioni" giovani dal "Sud del Mondo", peraltro oggi meno numerose che nel recente passato, non sopperisce al drastico calo dei membri italiani.
Con differenze più o meno significative da Istituto a Istituto (il
"Pime" registra 22 nuovi ingressi negli ultimi 5 anni), la situazione appare a dir poco preoccupante. L’età media dei "Missionari della Consolata" italiani è 68 anni; nel caso dei "Gesuiti" supera addirittura i 74 (solo due sono gli italiani sotto i 45 anni).
È venuto, allora, il momento di salutare gloriose "istituzioni" che hanno fatto la storia dell’"evangelizzazione" ma oggi appaiono destinate fatalmente all’"estinzione"? Non è così. Primo, per la ricchezza del patrimonio di fede e cultura missionaria di cui queste realtà sono ricche. Secondo, perché – sebbene i numeri siano più esigui del passato – di giovani sensibili al fascino della Missione ce n’è ancora. E a sentire chi di loro ha fatto il passo della "consacrazione", si tratta di una scelta piena di significato, che «riempie la vita».
La verità è che la Missione, non da oggi, sta cambiando globalmente: ai protagonisti di un tempo (gli "Istituti Missionari", ben 8 – tra maschili e femminili – quelli di fondazione italiana) si sono affiancati nuovi "attori": i Sacerdoti "fidei donum", ossia i Preti «prestati» da una Diocesi del "Nord del Mondo" a una del "Sud", i nuovi gruppi e "Comunità" ("Villaregia", "San Francesco Saverio", "Redemptor Hominis", "Opus Dei"), fino ai membri dei "movimenti ecclesiali" ("Comunione e Liberazione", "Movimento dei Focolari", "Comunità di Sant’Egidio") che hanno via via messo "radici" in varie parti del mondo.
Ma la Missione sta cambiando anche perché cresce il numero delle giovani Chiese che, spesso stimolate proprio dai Missionari, si mettono a servizio delle «sorelle» in altri Continenti. E così abbiamo Preti Colombiani in
Bangladesh, Coreani in varie parti dell’Asia, Africani in America Latina e via dicendo.
Detto questo, la questione del calo dei Missionari italiani rimane. In gioco non è tanto o anzitutto la sopravvivenza di questo o quell’Istituto, quanto il fatto che la "decrescita" del numero di coloro che scommettono la vita per l’annuncio del "Vangelo" partendo per terre e culture «altre» è la spia di una serie di altri fenomeni.
C’entra il "calo demografico" in atto, ovvio. C’entra la fragilità diffusa che colpisce ogni scelta che si vorrebbe "definitiva" (non sono in crisi anche i matrimoni?). Ma non è solo questo il punto. Tra i Superiori e le Superiore degli Istituti c’è chi osserva «un abbassamento generale della qualità della fede, che rende difficile la scelta di una "consacrazione"». Da più parti si chiama in causa il contesto ecclesiale che fatica a cogliere lo specifico di due dimensioni essenziali dell’essere Missionari, ossia la dedizione totale e definitiva («ad vitam») e la disponibilità a partire («ad extra»). Si confonde spesso – lamentano i diretti interessati – l’esperienza in «terra di missione» (un’estate di "volontariato") con la "vocazione missionaria" come "consacrazione a vita". Quello che un tempo rappresentava il fascino della "scelta missionaria" – ovvero l’affidamento esclusivo e definitivo alla causa dell’"annuncio" – oggi appare come l’ostacolo più arduo, almeno per la maggioranza dei giovani.
Non solo.
Padre Gian Battista Zanchi, Superiore Generale del "Pime", osserva: «Si sente spesso dire: ormai la Missione è qui, nell’Europa "scristianizzata". Vero: ma tra un ambiente che non ha mai conosciuto il "Vangelo" e l’Italia, "post-cristiana" finché si vuole, c’è una bella differenza».
Sbaglierebbe, però, chi pensasse che i Missionari non facciano "revisione critica". Da più parti si avverte che qualche responsabilità c’è anche nel modo con il quale la Missione stessa è stata intesa e proposta, talora con un’enfasi eccessiva sull’elemento "sociale" o – se si preferisce – sulla «promozione umana». Negli ultimi decenni l’ "ideale missionario" si è spesso associato alla contestazione delle ingiustizie "Nord-Sud" del "Mondo" e al desiderio (del tutto legittimo e "sacrosanto") di contribuire al riscatto dei "diseredati", mentre sono rimaste talora in ombra le ragioni più specificamente teologiche ed ecclesiali della Missione. Ad un "offuscamento" di queste ultime ha contributo anche, probabilmente, l’idea che «tutte le religioni sono uguali»; partendo da provvidenziali intuizioni del "Concilio" (i «semina Verbi», i valori del "Regno" presenti anche in popoli e culture "non cristiane"), si sarebbe diffusa lentamente – questo il timore – una mentalità "relativista" che ha contribuito a svuotare di senso, dall’interno, la «Missione alle Genti».
Ma siamo davvero a questo punto? La domanda è di quelle «pesanti». Come altrettanto «pesante» è il quesito sul futuro degli "Istituti Missionari". Hanno un avvenire, se questi sono i "numeri"? Quale funzione possono svolgere nella Chiesa di domani? La freschezza e l’entusiasmo che traspaiono dalle testimonianze di giovani Suore e Missionari dicono che il Signore non smette di chiamare anche oggi. E quanti rispondono all’"appello", mettendo in gioco la vita per testimoniare Cristo fra chi non lo conosce, ricevono in dono il "centuplo" di ciò che hanno lasciato.

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LE RIVISTE

In «Mondo e Missione»
inchiesta sul "Made in Italy"

Nel numero di Ottobre, "mese missionario" per eccellenza, il mensile «Mondo e Missione» del "Pontificio Istituto Missioni Estere" ("Pime") aveva dedicato un’inchiesta alla Missione "Made in Italy", dando voce ai Superiori e alle Superiore degli Istituti, nonché a Missionari e Missionarie giovani. Anche «Popoli», mensile dei "Gesuiti", ha scelto di tracciare un quadro della presenza nel mondo dei «figli italiani» di Sant’Ignazio di Loyola. Da entrambe le "inchieste" emerge una "fotografia" che, sebbene consapevolmente incompleta, offre non pochi spunti di riflessione. Nel numero di Novembre «Mondo e Missione» si concentra invece sul Venezuela, «Popoli» sullo Stato Indiano dell’Orissa.

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