«La bellezza di far
conoscere Cristo»
La voce di Padre Gheddo,
Sacerdote del "Pime" da 55 anni: «È la "sfida" più
grande».
P.
Piero Gheddo, "Pime"
("Avvenire",
14/11/’08)
La "vocazione
sacerdotale" l’ho ricevuta dalla preghiera che i miei genitori hanno
fatto sposandosi nel 1928, di avere almeno un figlio Prete. Nel 1929 sono nato
io e fin da ragazzino sognavo di diventare Sacerdote. Nel "Seminario
Diocesano" di Moncrivello (Vercelli) la "vocazione missionaria"
mi è nata leggendo le "riviste missionarie", specialmente «Italia
Missionaria», che riportava articoli e lettere di molti Missionari. Nel
Settembre 1945 sono entrato nel "Pime"
di Milano come "liceale" e ordinato Sacerdote nel 1953. Ho fatto il
"Missionario-Giornalista". Da ragazzo sognavo le Missioni e i popoli
lontani, c’era in me molto senso dell’avventura, ma anche un forte amore per
Gesù Cristo. Poi ho visitato popoli in tutti i Continenti e la Missione mi è
apparsa nella sua vera realtà, la maggior "sfida" del «paganesimo»
alla Chiesa e a noi cristiani: 2000 anni dopo Cristo, più della
metà dei sei miliardi di esseri umani ancora ignorano la venuta del
"Salvatore". Il Signore mi ha concesso la grazia di vivere la
"vocazione missionaria", pur nei limiti e peccati di ogni uomo, come
una totale "consacrazione" al "Vangelo". Vivendo la
"vocazione" con passione ed entusiasmo, oggi posso dire che fare il
Missionario è bello. La Missione certo richiede molti sacrifici e rinunce, ma l’importante
è portare Cristo e non noi stessi. Allora sperimenti che Gesù dà veramente a
chi lo segue il "cento per uno" in questa vita. La "Missione
alle Genti" è
cambiata molto. Oggi i Missionari non vanno più a comandare, ma per mettersi a
servizio delle giovani Chiese; i popoli hanno acquistato una forte coscienza
delle loro culture e religioni; i Missionari, un tempo ammirati e seguiti, oggi
sono "tollerati" dalle autorità locali, a volte anche
"perseguitati"; l’immagine di Chiesa e di "liturgia" che
portiamo con noi è messa in questione dalle sensibilità diverse dei popoli.
Tutto questo, e molto più, è vero e causa sofferenza.
Ma se il Missionario mantiene vivo l’amore alla preghiera e l’umiltà di
essere servo e non padrone del "Vangelo", capisce che tutti i popoli e
tutte le culture hanno bisogno di Cristo.
Dopo 55 anni di "vita missionaria", confermo che è bello essere Prete
e Missionario.
A tutti i giovani che mi leggono dico: se il Signore vi chiama alla "vita
consacrata", non ditegli di no. Lui è l’unica ricchezza che abbiamo e la
nostra vera gioia.