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Il mondo missionario è ricco di tipi strani e fuori del comune. Felice Tantardini era uno di questi. Soffriva di ernia inguinale e la teneva a posto con un cinto di cuoio e fermaglio di legno da lui stesso fabbricati; si lavava i denti con la cenere e un vecchio spazzolino (a 85 anni aveva ancora tutti i suoi denti); dormiva per terra accanto al letto su una stuoia di paglia e una coperta, senza lenzuola e senza cuscino; quando sentiva in arrivo qualche raffreddore o disturbo intestinale (le uniche malattie che conosceva), per due giorni mangiava solo tozzi di pane secco bagnati nell'acqua salata e guariva; è vissuto in luoghi malarici ma non aveva mai preso la malaria e diceva ridendo: «Le zanzare che mi morsicano, muoiono».
Un fabbro in missione
Felice era un laico missionario nato a Introbio in Valsassina (Lecco) nel 1898, aveva studiato fino alla terza elementare e poi era andato a fare il fabbro. Militare nella prima guerra mondiale, è poi entrato nel "Pime" come «fratello cooperatore», cioè missionario laico consacrato a vita. Parte per la Birmania nel 1922 e muore il 23 marzo 1991, a 93 anni, dopo 70 anni di missione con un solo ritorno in patria nel 1956. Nella sua autobiografia, scritta per ordine del vescovo, si definisce «il fabbro di Dio» e nell'arte di lavorare il ferro aveva formato molti giovani birmani. Era a servizio delle missioni di Birmania, dove il vescovo lo mandava, lui andava e faceva di tutto: fabbro, falegname, ortolano, agricoltore, infermiere, sacrista, capomastro. Sorridente, arguto, disponibile, viaggiava sempre a piedi, capace di percorrere 50 chilometri al giorno su sentieri di montagna e di foresta con 30-40 chili sulle spalle e per più giorni di seguito. Aveva una forza straordinaria: piegava le sbarre di ferro con le braccia. Si alzava alle 4 e 30 del mattino, andava a dormire alle 22, senza nemmeno riposare al pomeriggio, quando passava un'ora in chiesa recitando i suoi tre rosari quotidiani. Alla sera faceva un'ora di adorazione.
Felice e «famoso»
Amava molto i poveri, gli ultimi della società e anche gli animali, dava via tutto quel che aveva e riceveva. In decenni di intenso lavoro costruisce chiese, scuole, case parrocchiali, ospedali, seminari, orfanotrofi, conventi. La sua fama si diffonde in tutta la Birmania, al suo funerale una folla notevole formata anche da buddhisti e musulmani. Molti hanno cominciato ad invocarlo come «il santo col martello». Il 28 gennaio 2005 la Congregazione dei Santi ha pubblicato il «decreto di validità» del processo diocesano informativo sulle sue virtù eroiche, concluso l'anno precedente nell'arcidiocesi di Taunggyi in Birmania. Felice Tantardini, fabbro di Dio, è incamminato verso la santità riconosciuta. La missione della Chiesa nei paesi non cristiani non è più quella vissuta da Fratel Felice, ma la sua storia ha il sapore dei «fioretti di San Francesco», lo stesso profumo di Vangelo, le stesse «beatitudini» che secondo la logica umana sembrano pazzie, ma che nella luce della fede danno serenità, pace e gioia del cuore.
Bibliografia