Una democrazia
"paternalista",
che ha garantito stabilità, elezioni e libertà di stampa.
Un Paese senza grandi spese militari e senza debiti con l’estero.
Bellissimo e vivibile, ma poco visitato.
Pacifico e per questo fuori dall’attenzione dei "media".
Il "Pil"
è in lenta ma costante crescita,
il reddito "pro-capite" è tra i più alti della fascia equatoriale,
tuttavia la corruzione "endemica",
e la dipendenza dall’estero di pressoché tutti i beni moderni,
impediscono un vero sviluppo economico della nazione.
Da
Yaoundé, P. Piero Gheddo
("Avvenire",
24/2/’08)
Una visita in Camerun
(21 giorni) dà un’immagine più ottimistica dell’"Africa nera".
Purtroppo giornali e televisioni parlano solo dei Paesi "disastrati",
il Camerun è quasi del tutto ignorato. Eppure questo Paese è caratterizzato da
stabilità politica, libertà di stampa e sviluppo. È la seconda volta che lo
visito, a 31 anni di distanza, e da Yaoundé
al grande Nord i passi in avanti sono subito evidenti: strade, scuole,
Università (anche una cattolica), mercati ovunque, mezzi di trasporto pubblici,
buoni rapporti fra le etnie e religioni, anche nel nord dove l’islam è circa
il 30% della popolazione.
Il Camerun è esteso una volta e mezzo l’Italia con circa 18 milioni di
abitanti, turisticamente molto bello (perché gli italiani lo visitano poco?) e
ricco di terre, di acque, di ricchezze naturali: petrolio e minerali vari,
foreste, prodotti agricoli. Ha tre regioni ben distinte: il Sud agricolo e la
capitale Yaoundé con sbocco al mare, più evoluto, più ricco; il Nord di
foresta e steppa "pre-desertica", con in mezzo 900 chilometri di
foresta tropicale e una ferrovia lentissima che congiunge le due parti (oltre
all’aereo), eredità dei colonizzatori francesi; e l’Ovest (che parla
inglese), regione montagnosa ma con sbocco al mare e con il maggior porto del
paese, Douala.
Perché il Camerun rappresenta un’eccezione nel quadro dell’"Africa
nera"?
Nei suoi 57 anni di indipendenza è stato finora politicamente stabile, anzi,
fin troppo. Dagli anni sessanta ha avuto due presidenti (è una repubblica
presidenziale): Ahmadou Ahidjo (musulmano) dal 1960 al 1982, poi Paul Biya
(cattolico) fino ad oggi. Le elezioni presidenziali dell’ottobre 2004 si sono
svolte in un clima di serenità, con la rielezione di Biya e le prossime sono
previste nel 2011. I vescovi del Camerun hanno rivolto un appello alla dirigenza
politica a «creare le condizioni per un’effettiva alternanza democratica» ai
vertici dello Stato. Dell’appello diffuso a metà gennaio, si parlava già a
inizio mese come del motivo di forte contrasto fra la Chiesa, di cui Biya è
fedele membro, e il presidente, che vuole promuovere un "emendamento" alla
"Costituzione", per ricandidarsi alla presidenza nel 2011. La nuova
"Costituzione" democratica camerunese, varata negli anni ’90 dopo l’introduzione
del "multipartitismo", limita infatti il mandato presidenziale a sette
anni, rinnovabile solo una volta. I vescovi invitano i cittadini e i dirigenti
politici camerunesi ad impegnarsi per il «rispetto della libertà» e per l’alternanza
politica, condannando «la corruzione, il "settarismo", le
"distrazioni" di fondi pubblici e il "tribalismo"» che
minano la pace sociale nel Paese. Più esplicito il cardinale Christian Toumi,
arcivescovo emerito di Douala e autorevole voce critica dell’attuale governo
di Yaoundé, che nelle scorse settimane ha invitato, «a titolo personale», il
Capo dello Stato «a non procedere alla modifica costituzionale».
Quella del Camerun è una "democrazia paternalista" che funziona
perché ha garantito la pace, libere elezioni, libertà di stampa, giustizia
indipendente dal potere politico. Un Paese pacifico che non ha grandi spese
militari: per le strade di città e in campagna, i militari non si vedono come
quasi ovunque altrove in Africa. Inoltre si registra un costante sviluppo
economico dal 2 al 3% del "Pil" all’anno (però, la speranza di vita
alla nascita è di 46 anni), con un reddito medio annuale "pro-capite"
di 1.080 dollari (l’Italia 28.000) e un debito estero quasi inesistente, dopo
che i Paesi occidentali hanno "perdonato" quello che c’era; in
genere, nell’"Africa nera" il reddito annuale "pro-capite" è dai 100
ai 300 dollari.
Soprattutto il Camerun non ha mai conosciuto guerre fra le diverse etnie,
eccetto nei primi anni dopo l’indipendenza, quando la regione dell’Ovest
voleva unirsi alla Nigeria, che pure parla inglese. Va detto che il Camerun ha
275 etnie diverse con un’ottantina di lingue, non dialetti come i nostri, ma
vere lingue, diversissime l’una dall’altra. Che da mezzo secolo ci sia la
pace, in Africa, è quasi un fatto miracoloso.
Lo sviluppo è dovuto anche al fatto che gli analfabeti sono solo il 32%, contro
circa il 50% in media in "Africa nera". Il vero limite del Camerun è
che produce poco in campo industriale: alluminio, cementifici, industria
tessile, "sgranatura" del cotone, produzione dello zucchero, ma poco altro. Importa quasi
tutti i beni "moderni", esportando ricchezze naturali e prodotti agricoli (cotone,
cacao, banane). Una crescita economica non è possibile quando si importano
anche le biciclette e le lampadine.
Il secondo "cancro" del Camerun è la corruzione statale. Nella lista
dei paesi più corrotti del mondo dell’"Onu", il Camerun è sempre
ai primi posti e nel 2007 al primo. Non è colpa di questo o quel capo di stato
o amministratore, è un "costume" che viene dalla mentalità che quando uno
esercita un potere, deve pensare anzitutto alla sua etnia, "tribù",
villaggio, famiglia (naturalmente penetra anche nella Chiesa!), altrimenti corre
grossi rischi (avvelenamento, ecc.): si potrebbero citare esempi attuali
"macroscopici". È un "cancro" diffusissimo in tutta l’Africa
e non solo in essa, ma qui frena molto lo sviluppo, perché i soldi che vengono
dall’estero o dalle tasse finiscono spesso nelle tasche di chi detiene il
potere. E, ripeto, questo vale per i governanti ad alto livello e per gli
amministratori, i militari, ecc., ma anche per chi ha un qualche potere sugli
altri.
Un solo esempio: nel nord Camerun, regione con circa 5 milioni di abitanti,
sulla strada principale che unisce Garoua a Maroua, lunga 250 chilometri, ogni
30-40 chilometri c’è un "barrage" nel quale si riscuote un pedaggio
per la manutenzione della strada. Di auto, camion e pullman ne passano molti, ma
la strada è in condizioni miserabili: 78 ore per fare 250 chilometri, quando va
bene e non si rompono le gomme o le "balestre" nelle troppe buche. Ci
sono eccezioni alla corruzione, ma il "costume" di cui tutti si
lamentano è questo.
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LA RELIGIONE
Chiesa vivissima, paganesimo duro a morire
In Camerun il 48-50% dei suoi
abitanti sono cattolici, il 17% protestanti, il 16% musulmani e poi "animisti".
L’evangelizzazione è iniziata poco più di un secolo fa. Nel 1950 i cattolici
erano mezzo milione in cinque diocesi, oggi 8-9 milioni in 23 diocesi. La Chiesa
locale è viva, con tante vocazioni ed entusiasmo nella fede. Le Chiese sono
"strapiene", mai visto tante gente che canta, prega con fervore, crede e obbedisce
alla Chiesa; ci sono credenti che fanno chilometri a piedi per venire a chiedere
una benedizione o confessarsi e ricevere l’Eucarestia. Ma la loro cultura
rimane in buona parte "pagana".
La prof. Silvia Recchi dell’Associazione "Redemptor Hominis" insegna
da otto anni all’Università cattolica di Yaoundé e dice: «Il cristianesimo
non è ancora diventato cultura. A Yaoundé, gli Ewondo e i Beti sono corsi in
massa al battesimo, ma ci vorranno decenni o secoli perché la cultura di fondo
non sia più pagana. Sono cristiani in un certo senso esemplari per l’Occidente
cristiano, ma l’abisso culturale fra cristianesimo e modi di vita e mentalità
pagana è ancora profondo. Non basta dire cultura, bisogna risalire alla
religione. Se non si cambia il concetto di Dio e il concetto di uomo in
profondità, non è possibile che un popolo si sviluppi, anche cristianamente.
Chi guida la vita dell’uomo sono gli spiriti misteriosi, l’uomo non è
libero della libertà che Cristo ci ha portato. Sarà sempre vittima delle
credenze antiche, difficilmente potrà fare il salto dall’egoismo privato e di
etnia al bene pubblico dello Stato; se c’è una malattia si va dallo stregone,
che deve rivelare chi è all’origine di quel male col "malocchio".
Le due culture del mondo antico (pagano) e di quello moderno (cristiano) si
sovrappongono, ma non si integrano in modo armonioso».
L’educazione durante il regime coloniale era quasi totalmente delle missioni
cristiane, ancor oggi le scuole migliori sono cristiane. Ma la Chiesa è quasi
assente dai "mass media", che stanno formando la cultura moderna! Oggi
il maggior ostacolo al cristianesimo è il "laicismo" statale e
culturale, d’importazione francese. Si rischia di avere un popolo cristiano
che vive di nuovo in una cultura "pagana", negativa per la fede quanto
quella antica.
In un paese quasi "cristianizzato", sono ancora necessari i missionari
stranieri? Il rettore del Seminario maggiore del nord Camerun a Maroua, padre
Giovanni Malvestio del "Pime",
mi dice: «Siamo ancora necessari per la missione fra i non cristiani: e perché,
con umiltà e senza apparire, senza voler imporre nulla, dobbiamo fare un
cammino con i preti locali, fraternizzare e creare amicizia con loro, in modo da
crescere insieme e giungere ambedue ad una fede solida in Cristo, senza
aggrapparci alle loro antiche credenze. Noi siamo utili a loro perché
rappresentiamo una "Tradizione" millenaria della Chiesa, veniamo da
una ricchezza di studi della "Scrittura", di teologia, di pastorale e
poi anche per gli aiuti dall’estero che portiamo con noi, per dare delle
strutture a queste giovani comunità cristiane».
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I MISSIONARI
Il centro "Edimar" per i ragazzi di strada
A Yaoundé (1,5 milioni di
abitanti) i "ragazzi di strada" sono molti.
Dall’inizio degli anni novanta, i due padri
Maurizio Bezzi e Marco
Pagani del
"Pime" hanno creato (finanziati dal Principe Alberto di Monaco) il Centro
"Edimar",
oggi "Opera di pubblica utilità".
"Edimar" non ospita i ragazzi di strada come avviene in opere del
genere, ma si propone di educarli perché lascino la strada, con la scuola
elementare (anche giovanotti di 16-18 anni!); facendo loro prestiti se prendono
una stanza in due-tre; tenendo in deposito i loro soldi, vestiti, biancheria;
attraverso l’amicizia, accompagnandoli alla polizia, nei tribunali e in
carcere. E con la formazione cristiana.
P. Maurizio quasi tutte le sere è per le strade a trovare i suoi
"protetti";
dice: «Sono tutti già battezzati, ma sanno pochissimo della fede. Quando
scoprono Cristo in modo personale e profondo, nel quadro di una amicizia, cambia
la loro mentalità e si impegnano per una vita normale, il lavoro, il
matrimonio».