CHIESA E SVILUPPO

Comincia nel Sudest asiatico il "viaggio-inchiesta" di "Avvenire",
per raccontare le molteplici iniziative che fioriscono in Italia e nel mondo,
anche grazie ai fondi destinati dai contribuenti italiani.
Aiuti umanitari ai poveri,
iniziative in campo educativo, sanitario e culturale.
Tessere di un grande mosaico di carità.

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I piccoli «miracoli» del "Centro St. Joseph".
Così l’handicap non è più un muro invalicabile.
Gli ospiti provengono soprattutto dai villaggi tribali.
Un esempio d’integrazione e condivisione,
in mezzo al fatalismo e all’indifferenza.

Da Phrae (Thailandia), Stefano Vecchia
("Avvenire", 2/12/’07)

Immagini del "Centro educativo per disabili St. Joseph" a Phrae, gestito dal "Pime" e finanziato con i fondi dell’"otto per mille". Il centro è considerato un "progetto-pilota" per l’integrazione scolastica e sociale degli handicappati.
Cose che non t’aspetti, da queste parti. Che stupiscono il cronista venuto fin qui per raccontarle, ma anche chi da queste parti ci vive. A Phrae, una cittadina della Thailandia settentrionale su cui si affacciano montagne che sono già area tribale, c’è una scuola cattolica. È frequentata da 2.200 studenti elementari e medi accanto a una chiesa parrocchiale vasta come una cattedrale. A fianco del campo di calcio è in costruzione un asilo modernissimo nella concezione e negli strumenti che sarà inaugurato in gennaio. Tra questi studenti è attiva un’iniziativa avviata con il contributo italiano attraverso l’"otto per mille" e che è un’altra delle caratteristiche di questa scuola, dove l’accoglienza ai disabili è non solo innovazione ma anche orgoglio. Qui ogni mattina arrivano 23 giovani ospiti del "Centro educativo per disabili St. Joseph", inaugurato nel 1998 e da allora cresciuto al punto da diventare una "iniziativa-pilota" e di riferimento anche per le strutture sanitarie pubbliche con le quali si coordina. Se la sua presenza qui è dovuta all’impegno del "Pontificio istituto missioni estere" ("Pime"), che a Phrae aveva una delle sue missioni in Thailandia, la sua realtà oggi si propone a tutti gli effetti come un servizio ai thailandesi e un contributo a una nuova visione della solidarietà e dell’handicap.

Oltre il marchio della vergogna

Gli ospiti provengono in maggioranza dai villaggi tribali dei dintorni e con le loro sofferenze, ma anche con i loro successi e le tante storie personali si pongono come esempio di integrazione e condivisione in un Paese non insensibile, ma distratto e fatalista. A maggior ragione quando si tratta di disabilità, fisica o mentale, vissuta anche qui con il marchio della vergogna per le famiglie e del disagio per l’intera comunità.
Oltre che per l’impegno della "Cei" attraverso i fondi dell’"otto per mille", fondamentale nella fase di avvio, oggi i contributi arrivano perlopiù da benefattori, mentre la "Caritas" vicentina garantisce da quest’anno la copertura di una quota dei costi delle attività esterne di fisioterapia. In parte gli ospiti beneficiano anche delle attività produttive del "Centro" - in un laboratorio artigianale apprezzato anche da alcune realtà italiane - che impiegano i disabili secondo le loro possibilità e li preparano a una maggiore integrazione. Il sostegno a distanza garantisce ulteriori fondi utilizzati per istruzione, fisioterapia e mantenimento del centro. Donazioni in occasione di battesimi, matrimoni, liste nozze: tutto aiuta.
Il risultato sono una serie di basse costruzioni alla periferia cittadina, affacciate su spazi verdi e spettacolari fioriture di orchidee che, dall’avvio dell’iniziativa, hanno consentito finora ospitalità e assistenza a 120 disabili, con il coinvolgimento delle loro famiglie e delle comunità locali.
Tutto bello e tutto facile tra le risaie che in questi giorni vedono il taglio di un prodotto che si identifica con la vita per oltre la metà dei thailandesi? Per niente, ma l’ottimismo è un ingrediente indispensabile dell’attività quotidiana al St. Joseph, insieme a impegno e non poco disincanto.
"A chi vuole aiutarci, con contributi in denaro o attraverso il volontariato, occorre far capire che qui non siamo in situazioni di estrema necessità come in Africa, che in un contesto culturale antico e ancora solido l’adattamento è necessario e che la gente, anche la più povera e sfortunata, a fatica si adegua se non viene coinvolta. E anche così il rischio di incomprensioni resta alto", racconta
Fr. Marco Monti, il direttore del centro. È un missionario laico del "Pime" che di cose ne ha viste e che delle cose ha il piacere del racconto e della condivisione, ha idee chiare e poche remore nel cercare di farle capire, anche ai thailandesi.

Diritti riconosciuti ma non onorati

D’altra parte è difficile imporre qualcosa a una realtà che ha proprie strutture, leggi, ritmi e tradizioni. Che cresce in possibilità tecnologiche e in consapevolezza, anche nel campo medico-sanitario, ma per tradizione legge tutto all’insegna dell’ineluttabilità e di un "peccato" che è questione prima di tutto personale, di meriti o demeriti acquisiti in precedenza. Le case su palafitta, tipiche di questa regione aggiungono ad esempio enormi difficoltà pratiche ai disabili; ospedali troppo distanti dai villaggi richiederebbero una viabilità migliore; le diagnosi al limite dell’inverosimile per disabilità poco conosciute e ancora meno tollerate sono un dramma quotidiano; i diritti dei disabili sono riconosciuti ma spesso non onorati.
Il programma del "St. Joseph" si divide in tre ambiti. Il primo riguarda i bambini. Quelli di età compresa tra i 5 e i 14 anni, provenienti da diverse zone della provincia di Phrae ma anche da zone circostanti, vengono ospitati al centro per tutta la durata dell’anno scolastico.
Sono seguiti da personale thailandese nelle attività che si svolgono sia all’interno del centro (fisioterapia, doposcuola, gioco e assistenza medica), sia all’esterno (inserimento e frequenza nella scuola della parrocchia, attività sportive e gite). Una proposta, quella dell’inserimento scolastico, che rappresenta una novità in Thailandia, dove i piccoli disabili vengono educati in scuole speciali governative in cui finiscono per ricevere un’istruzione povera di contenuti. La speranza è che questo favorisca un’integrazione spontanea tra i bambini inviati dal centro e gli altri studenti.
Il secondo ambito è quello dei giovani tra i 15 e i 25 anni, ai quali il centro consente di seguire corsi di "alfabetizzazione" promossi dalla "Pubblica istruzione" a livello provinciale. All’interno del programma educativo sono previsti corsi di manualità e di "computer", attività riabilitative e gite d’istruzione. Il fine è quello di propiziare una maggiore autonomia del disabile, tenendo conto delle specificità di ciascuno. «Qui – dice ancora Marco – il coordinamento tra il centro e le strutture locali è insieme obbligatorio e necessario per entrambi, come pure la cooperazione delle comunità. A domicilio seguiamo 22 disabili ma non vogliamo sostituirci alle famiglie o essere solo dei supporti. Abbiamo trovato abbastanza collaborazione, e casi anche commoventi di impegno dei familiari, che a volte devono affrontare vere tragedie umane».