Sabato Santo
(Estratto da una meditazione sul Sabato santo)
Testo completo: http://www.figlididio.it/meditazioni/triduo.html
(Audio)
Gesù ha obbedito fino alla morte e alla morte di Croce: ha
voluto scendere così in basso diceva il beato Charles de Foucauld che noi non
potremmo umiliarci quanto Lui si è umiliato anche se lo volessimo. Gesù di per
Sé non avrebbe mai assolutamente dovuto subire nessuna umiliazione, mentre è
sceso talmente in fondo che nessuno può scendere più in fondo di Lui.
Il cammino infatti dei santi sapete quale è? Si parla sempre di una ascesa del
monte Calvario, o del monte Carmelo... Ma che ascesa! si tratta di scendere! La
santità consiste nel discendere nel proprio fondo, perché è lì che ci si
incontra col Verbo il quale ci solleva al Padre. Ma è Lui che ci solleva. Noi
non riusciamo nemmeno a salir fino al soffitto; figuriamoci se si può salir
fino al Cielo!
Noi possiamo e dobbiamo discendere nel fondo della nostra povertà, nel fondo
del nostro peccato, nel fondo della nostra impotenza e tuttavia Gesù è disceso
più fondo ancora di qualsiasi santo "facendosi obbediente fino alla morte
e alla morte di Croce".
Ora se tutto questo cammino del Cristo è rivelazione di amore, che cosa ne
viene? che la morte stessa diviene manifestazione di quello che è Dio. Questo
non lo dice qui il cantico; lo dice San Giovanni: morte e resurrezione sono un
unico mistero, perché, di fatto, Dio non potrebbe rivelare Se stesso, né nella
sua potenza, né nella sua gloria che in questa impotenza a cui lo riduce
l'amore; perché in questa impotenza si rivela un amore infinito, un amore senza
limiti, un amore inconcepibile, un amore che ha veramente la misura stessa di
Dio. E in San Giovanni è così e così è anche in noi. Nella misura che, come
Cristo, accetteremo la volontà di Dio che esige che rinneghiamo noi stessi, noi
vivremo nell'atto del nostro morire una adesione a Dio che, non nel nostro corpo
ancora (la resurrezione dei corpi avverrà dopo) ma nel nostro spirito, già
implica la resurrezione. Ecco l'immortalità dell'anima, che non è
immortalità, ma partecipazione alla resurrezione. Il nostro spirito cioè vive
già la vita divina. Che cosa è la vita divina? È amare. Ecco quello che
distingue la morte di un cristiano dalla morte di uno che non è cristiano. La
morte di uno che non è cristiano, è la morte semplice. E l'uomo non vivrà che
la morte per tutta l'eternità. Io invece se sono cristiano, nella mia morte
vivo la mia vita, vivo l'espressione suprema del mio amore; perché non c'è un
amore più grande di quello che rinnega totalmente sé per aderire alla volontà
dell'altro che ama e che esige la tua morte. Cosicché la morte, nel
Cristianesimo è divenuta l'espressione suprema dell'amore di Dio; ma anche
l'espressione suprema dell'amore dell'uomo.
Infatti perché i santi possano essere canonizzati, bisogna che si sappia come
sono morti; perché è la morte che determina tutto. Nell'atto della morte noi
rimaniamo eternamente, perché con la morte il tempo finisce. Perciò nell'atto
della morte noi rimaniamo.
Se l'atto della morte è un atto di amore, un atto di adesione a Dio, in questo
atto noi viviamo e viviamo la vita stessa di Dio. Moriamo alla nostra condizione
mortale, moriamo alla vita presente e Dio vive in noi.
Ora noi viviamo, sì, la resurrezione, cioè viviamo la partecipazione alla vita
divina, ma la viviamo nel nostro spirito e non ancora nel nostro corpo. Ma
viviamo già la vita di Dio, viviamo già la vita beata. È l'amore. Quell'amore
che ci unisce a Dio, quell'amore che ci unisce a tutti i fratelli, perché ci
unisce a Cristo e il Cristo è tutta l'umanità redenta e il Cristo è il Figlio
di Dio e perciò è uno col Padre. Viviamo questa comunione immensa di amore.
Il nostro morire è quello che determina tutto. Non c'è un atto più grande, un
atto più decisivo, un atto più ricco di conseguenze per tutta l'eternità. Ed
è questo atto che ha determinato la glorificazione del Cristo come uomo.
Che cosa vuol dire San Paolo quando parla della glorificazione del Cristo?
Quando dice che a Lui si piegherà ogni ginocchio vuol forse intendere che, dato
che si è tanto abbassato, ora si innalza tanto da lasciarci soli? No; la
glorificazione del Cristo implica come Egli con Sé porta tutto l'universo fino
al Padre, perché è il Cristo-uomo che è glorificato, quel Cristo-uomo uno con
tutta la creazione visibile e invisibile. E tutta la creazione visibile e
invisibile, per la morte di Cristo, ora finalmente viene glorificata ed
innalzata.
La glorificazione del Cristo non è la glorificazione del Figlio di Dio (Dio non
ha perduto mai la sua gloria), ma la glorificazione di Colui che, facendosi
uomo, si è fatto uno con tutti, uno soprattutto con gli uomini.
Di qui ne viene che si può cantare, come scrive Sant'Ambrogio: "Nella
resurrezione del Cristo - resurrexit in eo coelum, resurrexit in eo terra,
resurrexit in eo omnis orbis terrarum". Col Cristo viene glorificato il
cielo e la terra. In Cristo è tutto l'universo che sale.
La morte di croce è l'atto supremo dell'amore del Cristo che si è fatto uno
con tutti; in questo atto Dio si è manifestato e si è presentato come amore e
in questo amore tutta quanta la creazione ora si solleva e viene glorificata; e
il Cristo diviene Colui mediante il quale tutto si salva, tutto acquista la
gloria finale. Dio discende fin negli abissi del nulla e il nulla ascende fino
agli abissi di Dio.
Ecco quello che ci dice il Cantico di San Paolo. La discesa di Dio fin negli
abissi del nulla ("spogliò se stesso") e poi l'ascesa nel Cristo di
tutta la creazione fino alla gloria del Padre celeste. La trascendenza infinita
di Dio è stata violata, perché nell'abisso infinito di Dio è asceso anche
l'uomo e l'uomo vive alla destra del Padre: Cristo Gesù, ma Cristo Gesù che si
è fatto uno con tutti noi nella sua morte.
Il cantico di San Paolo è certamente un inno cristologico, ma un inno che non
solo ci dice l'uguaglianza di Cristo con il Padre, ma anche la sua unità con
noi. E per questa sua unità con noi, una volta che ha vissuto il nostro morire,
noi viviamo in Lui che è Figlio di Dio, la gloria stessa di Dio perché Egli ha
vissuto in questo atto, l'atto supremo del suo amore.
Questo ci dice il responsorio che abbiamo cantato in questi giorni.
Christus factus est pro nobis obediens usque ad
mortem,
mortem autem crucis.
Propter quod et Deus exaltavit illum
et
dedit illi nomen super omne nomen.