INCONTRO A SHINJUKU

MISSIONARIO IN GIAPPONE

TORNARE BAMBINI

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Hiroshima, "ghenbaku-domu".

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La prima missione dove sono stato mandato dopo due anni di studio della lingua è stata la città di Kofu, capoluogo di una regione montuosa alle spalle della frenetica e affascinante Tokyo, e che comprende il famoso monte Fuji, simbolo del Giappone.

Da lì sono andato poi a Takeo, città termale circondata dalle multicolori campagne nell’isola del Kyushu, a sud-ovest del Giappone, dove ho svolto anche l’incarico di direttore di un asilo di circa 100 bambini quasi tutti non cristiani: situazione comune a tutti gli asili e scuole cattoliche in Giappone.

Ultimamente, prima del rientro temporaneo in Italia, ho vissuto per circa tre anni a Hiroshima, la città della prima bomba atomica.

A Hiroshima non si vedono più le ferite della bomba atomica, perché tutto è stato ricostruito, ad eccezione del "ghenbaku-domu" ("cupola della bomba atomica": uno dei pochissimi edifici rimasti in piedi dopo lo scoppio della bomba), perché possa parlare alle generazioni future.

Apparentemente, però, non ci sono più ferite: perché ancor oggi muoiono persone per gli effetti delle radiazioni della bomba atomica. I loro nomi vengono aggiunti ogni anno nel libro custodito nel cenotafio per le vittime della bomba, situato al centro del parco della pace.

Dalla fine della seconda guerra mondiale la società giapponese è molto cambiata, o è cambiata solo esteriormente ma non nell’anima. È un dibattito ancora aperto e che fa scorrere fiumi di inchiostro. È sotto gli occhi di tutti comunque il suo sviluppo economico e sociale.

Per me, missionario giunto in Giappone negli anni del cosiddetto "bubble economy", cioè nel periodo in cui l’economia andava a gonfie vele, anzi erano gonfiatissime, tale situazione ha subito costretto ad andare al cuore della missione, che è far conoscere Cristo alle persone e ciò come importante per la loro vita.

Mi è capitato a volte di parlare con persone che non sapevano dove fosse nato Gesù, o convinte che Gesù fosse nato in America. Dall’altra parte ho avuto anche la gioia di iniziare un cammino di preparazione al Battesimo di persone che cercavano un senso alla vita, che appagasse il loro desiderio di felicità e di pace.

In una società dove forte è la competitività, accompagnare le persone, che per le più svariate e disparate circostanze si incontrano, ad approfondire la domanda di senso della vita e trovare una risposta, aiutarle ad avere uno sguardo positivo sulla vita, per cui la persona è amata e voluta per quello che è, e non per ciò che produce, è una sfida, e perciò uno dei compiti che mi è stato a cuore.

Il numero dei cristiani in Giappone numericamente è molto basso. La chiesa ha una tradizione che risale a S. Francesco Saverio, giuntovi nel 1549. Una tradizione alimentata anche dal sangue dei martiri, ma la stragrande maggioranza dei giapponesi si richiama al buddismo e allo shintoismo, che hanno ancora radici nella società. Non sempre perciò come missionari abbiamo "successo" nel nostro ministero.

D’altra parte Gesù stesso ci aveva preventivamente messo in guardia. E anche S. Francesco Saverio quando, sbarcato a Kagoshima, ha cominciato a percorrere le strade del Giappone, si è dovuto arrestare alle porte di Kyoto. Qui infatti pensava di incontrare l’imperatore, ma trovò l’opposizione dei bonzi buddisti che per invidia lo costrinsero a tornare indietro.

Quando ripenso ai miei anni in Giappone perciò, il mio cuore gioisce anche solo per la grazia di aver accompagnato, pur tra mille difficoltà, persone al Battesimo o comunque ad interrogarsi su se stesse. Persone che dal loro canto mi hanno aiutato a vivere la mia fede e il mio ministero con più semplicità. Per quel che ho vissuto mi si è fatto più chiaro che la missione cristiana non è propaganda né proselitismo, come alcune sette fanno in modo esasperato, ma testimonianza di ciò che di bello mi è accaduto nella vita, cioè dell’amore e della misericordia che Dio volge continuamente alla mia persona.

Tutto ciò richiede di essere presente, di esserci, di condividere la vita con la gente, cosciente da una parte di essere in cammino con la chiesa locale e dall’altra di fare da ponte con la chiesa in cui sono nato, così che la tradizione cristiana che ci sostiene nel comune cammino di fede non è più un privilegio di una parte ma uno scambio, come tra vasi (chiese) comunicanti.

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P. Alberto Berra