In un Paese
di 150 milioni di abitanti, la presenza dei "cristiani" è
ridottissima.
300mila battezzati divisi in sei "diocesi", con scuole e "servizi
sanitari".
Ma il loro lavoro, in un clima di relativa "tolleranza", non lascia
indifferenti.
E i «tribali», gli ultimi della "scala sociale", bussano alla porta.
I primi
Missionari del "Pime" sono presenti dal 1855.
La Chiesa è fondata su due "comunità":
i discendenti dai primi "cristiani", formati dai portoghesi nei Secoli
XVI e XVII;
l’altra, maggioritaria, di "animisti" che si "convertono"
a Cristo.
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Da
Dhaka, P. Piero Gheddo
("Avvenire", 15/3/’09)
Con 150 milioni di abitanti e
300.000 cattolici (lo 0,3%), il Bangladesh
musulmano dimostra bene il paradosso della Chiesa in Asia:
minuscola minoranza in un Continente che ha circa tre miliardi e mezzo di
abitanti (il 62% dell’umanità), ma le "comunità cristiane" sono in
genere visibili e incisive, ammirate o perseguitate, ma non lasciano
indifferenti né i Governi né i popoli. I "valori evangelici"
penetrano nella mentalità comune, senza per questo convertire le
persone a Cristo (ad esempio, il diverso atteggiamento riguardo alla donna). Si
dice a volte che è inutile mandare Missionari nei "paesi islamici",
non sono graditi e non hanno niente da fare. In Bangladesh non è così. È uno
dei pochi Paesi democratici in Asia e nell’Islam,
con stampa libera e libertà politica. Le ultime
elezioni
del 29 Dicembre 2008
sono state vinte dalla "Awami League", partito "laico" e
moderato, mentre la coalizione con alcuni "partiti islamici", tra i
quali l’estremista "Jamat Islam", ha subìto una pesante sconfitta.
Il "bengalese" è tollerante e cordiale, lavoratore che si adatta a
tutto, rifiuta la violenza. Questo spiega perché i Missionari italiani sono
circa 120 in Bangladesh e possono lavorare liberamente.
Padre Angelo Canton,
in Bengala dal 1951, mi dice: «In quasi sessant’anni non ricordo alcun fatto
di persecuzione della Chiesa. Non solo, ma il popolo e le autorità ci stimano e
ci ascoltano». Come avviene la missione in un Paese islamico? Dopo un secolo e
mezzo di "Vangelo" (i primi Missionari del "Pime"
sono presenti dal 1855) la Chiesa è fondata su due comunità: una formata da
"convertiti" bengalesi discendenti dai primi cristiani formati dai portoghesi nei
Secoli XVI e XVII; l’altra, maggioritaria, sono gli "adibasis"
("aborigeni") "animisti" che si convertono a Cristo ("garo",
"santal", "oraon").
In Bangladesh ci sono sei Diocesi, tutte con Vescovo locale e un centinaio di
parrocchie (o "distretti missionari") per 300.000 battezzati, e una
media di 300-500 "catecumeni" ciascuna. La parrocchia di Pathorgata
nel Nord-Ovest del paese è fra i tribali "oraon" in ambiente ancora
tradizionale, con circa 400-500 "catecumeni" che danno 100 Battesimi
di adulti l’anno. Il parroco, Padre
Emanuele Meli del
"Pime", mi dice: «Il "catecumenato" dura dai due ai cinque
anni. Io vado adagio nel dare il Battesimo, devo convincermi che sono maturi.
Oggi il nostro problema è di istruire questi cristiani. All’inizio accolgono
la fede con entusiasmo perché capiscono che la loro religione
"tribale" non li sostiene più e vedono la differenza tra
"paganesimo" e cristianesimo. Non si convertono all’Islam, perché l’Islam
è troppo oppressivo della persona. I "tribali" sono persone libere,
il cristianesimo lascia libera la persona». Padre Meli aggiunge: «A livello di
villaggio l’Islam popolare è tollerante, non c’è "fanatismo".
Anzi musulmani e "indù" vengono anche a vedere la Chiesa Cattolica. Li portiamo
in Chiesa, spiego cosa facciamo, non ci sono contrasti perché loro non si
rivolgono nemmeno ai "tribali", che considerano troppo primitivi per l’Islam».
Pathorgata ha una ventina di villaggi cristiani e molti altri che hanno chiesto
l’istruzione cristiana, in un’estensione molto vasta di territorio. Il
parroco è aiutato da un giovane Sacerdote locale e quattro Suore: due visitano
i villaggi per istruire le donne, una tiene il "dispensario medico" e
l’altra è a servizio della parrocchia; e due "catechisti" a tempo
pieno: uno visita i villaggi cristiani, l’altro quelli "pagani" che
manifestano desiderio di conoscere Cristo. Poi ci sono i "prayer leaders",
"catechisti stanziali" nei villaggi cristiani che guidano la preghiera
e si curano la Cappella.
I "tribali" sono attratti dalle scuole (lo Stato non riesce a
costruirne per tutti); il "dispensario medico" e l’ospedale
cattolico che cura "gratis" molti poveri; le "Credit Union",
banche per i poveri che li rendono autosufficienti come famiglie; l’interesse
della parrocchia per aiutarli a difendere le loro terre; la "Caritas",
specie per i momenti di emergenza e per i più poveri; e poi la promozione e la
difesa delle donne. Il Vescovo di Dinajpur,
Moses Costa,
mi dice che oggi il Bangladesh è in grande sviluppo industriale ed è il
momento storico di prendere i "tribali", molti dei quali battono alla
porta della Chiesa. «Ma noi Vescovi manchiamo di Preti, di Suore, di mezzi
economici. Non siamo ancora autosufficienti. Voi avete fondato la nostra Chiesa,
continuate ad aiutarci». Monsignor Moses continua: «I "tribali" che
entrano nel mondo moderno o si fanno cristiani, o perdono il loro mondo religioso
e diventano praticamente "atei"».
Oggi si verifica un massiccio trasferimento di popolo dalla campagna verso la
capitale Dhaka,
che dal 1980 ad oggi è passata da uno a dodici milioni di abitanti, per il
rapidissimo sviluppo delle industrie tessili! Dhaka ha in tutto cinque
parrocchie, una in città affidata ai Missionari del "Pime", che hanno
fondato due "quasi-parrocchie" all’estrema periferia: una a Sud,
Utholi, con Padre
Arturo Speziale; una
a Nord, con Padre
Gianantonio Baio, a Kewachala;
e ne sta nascendo una terza con Padre
Franco Cagnasso a
Uttara, "città satellite" di Dhaka, con un milione di abitanti, senza
alcune segno cristiano! Sono stato una giornata con Padre Baio. Nel 2004 il
Vescovo l’ha mandato a fondare la parrocchia. Ha comperato i terreni adatti,
riunito i cristiani dispersi e costruito le strutture della parrocchia,
chiamando anche le "Missionarie dell’Immacolata" ad aiutarlo. Padre
Baio mi dice: «Sono arrivato appena in tempo. Cinque anni dopo, i prezzi dei
terreni sono quadruplicati, perché sorgono continuamente nuove fabbriche e
"case popolari". Non ci sarebbe più posto per la Chiesa».
Dove cinque anni fa non c’era nulla di cristiano, oggi la parrocchia di
Kewachala ha una grande Chiesa, scuola elementare e "High School",
"ostelli" per studenti e studentesse, "centro pastorale" e
sta nascendo un "centro sociale" per i lavoratori cristiani della
zona, campi da gioco e orto. La "casa parrocchiale" Padre Baio non l’ha
ancora costruita, per il momento vive in una "baracca".