CARTOLINE DALL’AUSTRALIA

RITAGLI     Voglia di vivere: voci dal silenzio di Myanmar     DOCUMENTI

«Siamo liberi di professare la nostra fede,
ma non ci è permesso di costruire nuove Chiese o di fare grandi "raduni".
Per festeggiare un "novello" sacerdote dobbiamo chiedere il permesso del Governo,
come per qualsiasi altra occasione che ci vede insieme».

Sopravissuti al Ciclone, giovani birmani attendono nuova vita!

Dal nostro inviato a Sydney, Matteo Liut
("Avvenire", 15/7/’08)

Negli occhi dei ragazzi birmani c’è una luce che nessun altro qui a Sydney possiede. E subito ti rendi conto che quel gruppo di una trentina di giovani accompagnati da due religiose e quattro sacerdoti si carica sulle spalle una storia, decine di storie, in grado di portare la "Gmg" nel cuore ferito dell’umanità. La ferita di una recente catastrofe, il "Ciclone" che ha messo in ginocchio il Paese, ma anche il dramma di un popolo provato da povertà e libertà non sempre garantite.
Eppure ieri sera, quando i giovani provenienti dal
Myanmar hanno lasciato la grande "sala stampa" vicino a Darling Harbour, dopo un breve incontro con i giornalisti di tutto il mondo, è rimasta solo la sensazione di aver incontrato persone animate da una speranza incrollabile.
Padre Philip parla un buon inglese, ha vissuto e studiato in
Australia per sette anni: ieri ci è tornato con i «suoi» ragazzi del Myanmar. «Abbiamo dovuto affrontare difficoltà non indifferenti per essere qua oggi – racconta – . La prima è stata quella di ottenere i passaporti dal nostro governo, che tuttavia non ci ha creato troppi problemi. Poi ci si è presentato il secondo ostacolo: ottenere il "visto d’ingresso" australiano. Ma per questo si è prodigato fino all’ultimo il vescovo ausiliare di Sydney, Anthony Fisher, assieme ai nostri vescovi che hanno fornito delle "lettere di presentazione" per ognuno dei pellegrini». Un impegno oneroso che è stato premiato la settimana scorsa quando i "visti" sono arrivati: di quelli richiesti, solo uno è stato negato. Poi sale sul palco Tujani Maru, un giovane proveniente da Kachin, nel Nord del Myanmar. Fa fatica con l’inglese, ma risponde subito senza esitare alla domanda cruciale: «Perché avete deciso di venire alla "Gmg" affrontando così tante difficoltà?». «Volevamo vedere il Papa per la prima volta, volevamo vedere il Papa almeno una volta nella vita», dice con voce ferma. Ovviamente, replica a un’altra domanda, «il costo del viaggio è stato particolarmente oneroso per le famiglie ma siamo stati aiutati dalle nostre diocesi. Essere qui è un’emozione impareggiabile, un onore, una cosa che si può provare una volta sola nella vita».
Più il racconto continua, più cresce la sensazione che la loro presenza sia un vero "miracolo", un segno donato a tutti i giovani pellegrini che sono qui. «Siamo liberi di professare la nostra fede – dice padre Philip – , ma non ci è permesso di costruire nuove Chiese o riunirci in grandi "raduni". È vero, qua vedete presenti tre preti giovani, ma pensate che per festeggiare un "novello" sacerdote dobbiamo chiedere il permesso del Governo, così come per qualsiasi altra occasione che ci vede tutti insieme». Chiediamo ai testimoni diretti quali siano le "cicatrici" lasciate del "Ciclone": «Alcuni di noi, anche se non molti, sono stati colpiti direttamente dal disastro – risponde padre Martin, un altro sacerdote che segue il gruppo – , ma tutti siamo stati colpiti nell’anima. Io sono in Australia da undici mesi e nei giorni del "Ciclone" non riuscivo a mettermi in contatto con la mia famiglia, era davvero angosciante. La vera emergenza però è rappresentata dalle migliaia di persone che stanno morendo di fame e hanno bisogno di aiuti. Arrivano grazie a "Caritas Internationalis" e ad altre organizzazioni, ma è necessario fare di più».
Infine l’attenzione cade su un pacco che uno dei ragazzi birmani tiene in mano: sopra reca la scritta «Per
Benedetto XVI». Alla richiesta di uno dei presenti viene aperto con orgoglio; è un semplice "quadretto" che rappresenta una scena di pesca: «Questo è il nostro Paese, questa è la nostra cultura e la vogliamo offrire al Papa». Uno sguardo al dipinto, "icona" di una serenità e un rispetto unici, e si comprende subito quanto i giovani da tutto il mondo abbiano da imparare dai loro coetanei del Myanmar.