Di recente
Thailandia, Vietnam, Cambogia, Birmania, Laos e Cina
hanno "sottoscritto" un accordo per una maggiore
"integrazione":
l’area è in "tumultuosa" crescita, le esportazioni sfiorano i 200
miliardi di dollari,
mentre solo per i prossimi cinque anni
sono previsti 20 miliardi di investimenti "infrastrutturali".
Da
Bangkok, Stefano Vecchia
("Avvenire", 4/5/’08)
"Campo di battaglia"
nel processo di "decolonizzazione", negli anni Sessanta e Settanta
preda del conflitto vietnamita e della terribile esperienza dei "Khmer
rossi", per
decenni impoverita e isolata, ora l’intera regione indocinese cerca "una
significativa riduzione del livello di povertà", secondo le indicazioni
della "Banca asiatica per lo sviluppo". Lo fa anche attraverso una
iniziativa che riguarda il bacino del Mekong,
avviata nel 1992. Nella tormentata regione asiatica la pace ha portato, insieme
a profondi cambiamenti culturali, anche prosperità crescente. Secondo dati
della "Banca asiatica per lo sviluppo", negli ultimi anni la crescita
media di questa regione abitata da 330 milioni di individui ha raggiunto il 6%.
Il valore complessivo delle esportazioni dei Paesi membri ha raggiunto i 179
miliardi di dollari nel 2006 (era di 37 miliardi di dollari nel 1992). In buona
parte queste cifre sono dovute allo sviluppo tumultuoso della "Repubblica
popolare cinese", che con la "subregione" del Mekong condivide
territorialmente l’alto corso del grande fiume indocinese, e in particolare le
provincia dello Yunnan, ma tutta l’area dimostra un notevole
"dinamismo", pur con una netta "differenziazione" tra paesi
che sono soprattutto fornitori di materie prime (Laos,
Birmania)
e paesi produttori (Cina,
Thailandia,
Vietnam).
Eccezione è la Cambogia,
che vive ancora in buona parte del "sostegno internazionale", in
attesa che gli "ingenti" investimenti occidentali, ma anche
giapponesi, coreani e cinesi "inneschino" un vero sviluppo e un
benessere finora negato.
Complessivamente per l’intera area, gli investimenti diretti stranieri hanno
raggiunto nel 2005 i 7 miliardi di dollari. Sono essi in parte consistente, ma
vanno via via perdendo terreno a favore di investimenti locali, a sostenere la
crescita delle "infrastrutture". Diverse strade di grande
comunicazione sono in via di completamento tra i Paesi collegati dal maggiore
fiume del Sudest asiatico. Una rete "interregionale" che si raccorda a
un più ampio "network" continentale. È così che non è più
"utopia" pensare a un viaggio in "carrozzabile", ma presto
anche in ferrovia, tra Pechino e Bangkok e da questi due estremi verso l’Europa
con il collegamento "transiberiano" e Singapore. Il tratto stradale
tra Kunming, nella provincia cinese dello Yunnan e Singapore, attraverso
Thailandia e Malesia è ormai in via di completamento nel tratto cinese. Si
realizzerà così il "Corridoio Nord-Sud", progetto dalla lunghezza
complessiva di quasi 1.900 chilometri particolarmente caro a Pechino. Un’opera
"controversa", finanziata in buona parte dalla Cina con il contributo
di 20 milioni di dollari della "Banca asiatica per lo sviluppo". Ma
non è tutto. L’impegno cinese è proiettato direttamente anche sullo stesso
Mekong. Unico Paese ad avere "violato" le rive del grande fiume con
argini in cemento e "sbarramenti" artificiali, la Cina ha finora
stanziato 5 miliardi di dollari per progetti "idroelettrici" e per
garantire una migliore navigazione sul tratto nel suo territorio.
Il "Summit" dei Paesi che gravitano attorno al Mekong, il 30 e 31
marzo scorso, poteva avere un "copione" già scritto – magari a
Pechino – : invece è stato forse per la prima volta, un reale momento d’incontro,
di dibattito e di "risoluzioni" per individuare un futuro comune e per
garantire comunque un futuro anche al grande fiume e ai suoi molti popoli.
Durante l’incontro, tenutosi nella capitale laotiana Vientiane, i "Primi
Ministri" di Thailandia, Vietnam, Cambogia, Birmania, Laos e Cina hanno
sottoscritto una "scommessa" per una maggiore integrazione. Non a
caso, a fornire una nuova e diversa concretezza alla discussione ha partecipato
anche la "Banca asiatica per lo sviluppo". Sul "tappeto" e
poi rientrati nella dichiarazione conclusiva, non solo i temi economici, ma
anche «l’aumento dei rischi per la salute umana, il traffico di esseri umani
e di "stupefacenti", il modificarsi dell’ambiente, inclusi i
cambiamenti climatici». L’energia è un altro punto essenziale. Grandi e per
diversi aspetti "controversi" impianti per la produzione di energia
"idroelettrica" sono già in funzione nell’alto corso del fiume, in
territorio cinese, ma molti di più sono quelli in progettazione oppure in
avvio. Preoccupazioni di rispetto ambientale e di conservazione dei tradizionali
"habitat" delle numerose etnie di questa regione, sovente vittime di
un progresso che non è il loro e di "repressione armata" hanno finora
rallentato diverse iniziative ma la pressione per il loro proseguimento è
forte. Le necessità locali di soddisfare una richiesta sempre in aumento e
anche il bisogno di paesi dal basso reddito "pro capite" ma ricchi di
potenziale energetico, come Laos e Birmania, convergono sulle acque del Mekong,
facendone oggetto di "contrattazione" e di tensioni, ma anche di
"compromessi" che alla fine arrivano sempre, e a beneficio di chi ha
più da offrire. I rischi maggiori, si è sempre sottolineato, sono per il
futuro ambientale della regione, "culla" di sorprendenti "biodiversità".
Ma dal "Summit" di Vientiane è uscito un elemento nuovo, quello di
una conservazione che cercherà di avvantaggiarsi della necessità di sviluppare
l’industria turistica "regionale", che sarebbe la prima ad
approfittare dei "corridoi di biodiversità" individuati con un
duplice scopo: ambientale ed economico. Il piano approvato per il
"quinquennio" 2008-2012 dal "Primo Ministro" cinese Wen
Jiabao, dall’omologo thailandese Samak Sundaravej, dai "leaders"
vietnamita Nguyen Tan Dung, cambogiano Hun Sen, birmano Thein Sein e laotiano
Bouasone Bouphavanh, con la firma anche del Presidente della "Banca
asiatica per lo sviluppo", il giapponese Haruhiko Kuroda, prevede oltre 200
progetti per un valore complessivo di 20 miliardi di dollari nei settori del
trasporto, del turismo, dell’energia e dell’ambiente.
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Mekong: un’"arteria" vitale per oltre trecento milioni di asiatici
Il Mekong è l’"arteria" vitale del "Sudest asiatico". Dodicesimo per lunghezza tra i fiumi del mondo (decimo se si tiene conto dell’intero bacino, 796mila chilometri quadrati), scorre per 4.425 chilometri dall’altopiano tibetano al Mar cinese meridionale, attraversando lo Yunnan cinese, formando il "confine" naturale tra Laos e Thailandia, scorrendo lungo tutta la Cambogia, di cui attraversa la capitale Phnom Penh e in cui forma il grande "bacino alluvionale" del Tonle Sap, prima di aprirsi nel grande "delta", che dà fisionomia e garantisce benessere al Vietnam meridionale. Oltre sessanta milioni di persone dipendono dal Mekong e dai suoi "affluenti" per la loro esistenza. La regione (o "subregione", rispetto al "Sudest asiatico") del Mekong include cinque Stati (Cambogia, Laos, Birmania, Thailandia, Vietnam) e la provincia cinese dello Yunnan. Complessivamente, un’area di 2,34 milioni di chilometri quadrati, abitata da quasi 330 milioni di persone, con una densità di 125 abitanti per chilometro quadrato.
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Cina: lo spettro della "ricolonizzazione"
«Lo sviluppo della "subregione"
coinvolge sei Stati, con uguali possibilità» – ha affermato al
"Summit" di Vientiane il "Primo Ministro" cinese Wen Jiabao
– . Si tratta di uno sviluppo "transnazionale" che richiede un’assistenza
reciproca». E ha concluso: «Lo sviluppo locale deve sapere
"bilanciare" necessità umane e ambientali. Dobbiamo promuovere la
crescita economica e proteggere la cultura, prestare attenzione all’ambiente e
raggiungere uno "sviluppo sostenibile"».
Per queste attenzioni, ma anche per la sua penetrazione "capillare"
sui mercati regionali, la Cina non può che suscitare insieme spirito di
"emulazione" e timori.
La modesta capitale laotiana Vientiane ha oggi sempre più un’impronta cinese,
ma l’intero paese è attraversato da strade e da ponti "made in
China" su cui viaggiano "camion" e "ciclomotori"
ugualmente "etichettati". La Cina
sta ponendo di fatto il più povero tra i paesi della "subregione" in
uno stato di "sudditanza". Ovunque "businessmen" cinesi
"sciamano" per vendere prodotti di basso prezzo, ma di affidabilità
sempre maggiore, persino nei villaggi tra le montagne, mentre sono imprese
cinesi a esplorare possibilità di estrazione mineraria e di gas in tutto il
paese. Il governo laotiano dà segni di "insofferenza", ma forse ormai
la situazione ha raggiunto il punto di non ritorno. Per molti laotiani,
"espropriati" dei loro terreni per fare posto a progetti di sviluppo
che produrranno benefici soprattutto oltre confine, sapere che nella capitale è
in via di completamento lo "stadio" costruito dai cinesi per i "Giochi
asiatici" del
2009, che potranno vedere attraverso televisori cinesi "alimentati" da
generatori di uguale provenienza, è davvero una "consolazione" da
poco.