A SUZANA la Chiesa nasce tra i felupe
Sono passati oltre 50 anni dall’arrivo dei primi missionari del Pime in questa regione della Guinea-Bissau. Incontro con la comunità cristiana.
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P. Piero Gheddo
("Missionari del Pime", Marzo 2006)
Il 28 dicembre 2005 si è celebrata a Suzana una festa grandiosa per la
benedizione della chiesa e i voti perpetui di suor Lelia, dell’etnia felupe
che abita quella regione della Guinea-Bissau. È passato oltre mezzo secolo da
quando i primi due missionari del Pime, Spartaco Marmugi e Luigi Andreoletti, si
erano stabiliti a Suzana. La prima lettera di Marmugi (nell’archivio Pime a
Roma) è del 5 febbraio 1952: scrive entusiasta della nuova missione e della
religiosità dei Felupe, non ancora raggiunti dall’espansione dell’islam.
Marmugi esalta "l’importanza del popolo felupe per il futuro
della Chiesa in Guinea. Possono dare ottimi cristiani e ottimi preti in un
domani relativamente vicino".
Oggi quel sogno si è realizzato. Il vescovo di Bissau, monsignor José Camnate,
definisce Suzana "una missione modello", perché fin dall’inizio è
stata impostata secondo un metodo "evangelico", basato sulla
conoscenza del popolo a cui annunziare Cristo, il rispetto delle sue tradizioni
e dei suoi ritmi di vita, l’attesa di vent’anni per i primi battesimi
(subendo pazientemente autentiche persecuzioni), la crescita graduale di una
comunità inculturata nella lingua, arte, senso musicale che i Felupe (cantori
formidabili) hanno nel sangue. Merito naturalmente dei primi missionari (Marmugi
è morto il 28 dicembre 1973) e del loro successore padre Giuseppe ("Zé")
Fumagalli con quelli che sono venuti dopo di lui. Padre Zè è a Suzana dal
1968, l’unico missionario della Guinea a non aver mai cambiato destinazione.
Il risultato è la festa del 28 dicembre scorso.
«Abbiamo macellato quattro vacche e cinque maiali!», mi dice con fierezza un
collaboratore di padre Zé per dirmi come hanno dato da mangiare a circa mille
persone che occupavano gli edifici e il cortile della missione di Suzana il 28
dicembre scorso. Da queste parti una grande festa deve terminare con una
mangiata memorabile: il che vuol dire, per gente che di norma mangia una volta
al giorno e la carne una volta al mese, abbuffarsi di carne e riso, con pesce,
fagioli, ignami (un tipo di patata), erbe amare e verdure varie, banane, papaie,
manghi, pompelmi.
La sera del 27 dicembre una fiaccolata con un centinaio di fedeli dalla casa dei
genitori di suor Lelia alla statua di Maria nel cortile delle suore di Suzana.
Poi il vescovo di Bissau, monsignor Camnate, ha fatto le interrogazioni di rito
alla giovane e dato una benedizione, rimandando la professione perpetua alla
Messa del giorno dopo.
La Messa del 28 dicembre è iniziata alle 9,30 e terminata alle 12,30. Poi il
pranzo, danze, canti e giochi fino a sera.
La chiesa ingrandita e ricostruita sulle basi della precedente è veramente
bella, semplice e moderna, vasta, arieggiata, luminosa, con tre navate e una
cupola. Misura 20x60 metri, non sfigurerebbe come parrocchia a Milano, anzi mi
sembra molto meglio di alcune nostre parrocchie, costruite da architetti
bislacchi. Questo edificio esprime veramente il cammino di un popolo, mentre a
volte, nelle missioni, si costruiscono le chiese ma ancora senza comunità. A
Suzana l’ingrandimento graduale del tempio ha seguito passo passo la crescita
del popolo cristiano. Mi ha commosso il fatto che durante la messa cantavano
tutti. Non c’è un coro che canta e gli altri stanno in silenzio, qui tutti
sono protagonisti nel partecipare alla liturgia. Ero seduto vicino ai danzatori,
uomini giovani e forti. Li guardavo e anche loro cantavano a squarciagola
conoscendo i testi dei canti: tutti assieme, facevano tremare i vetri. Ricordavo
i canti appassionati nella chiesa di Tronzano di quand’ero bambino: come si fa
a non commuoversi?
Padre Fumagalli ha detto che la comunità cristiana era preparata a questi due
avvenimenti, la consacrazione della chiesa e i voti perpetui di suor Lelia, che
è diventata suora del "Santo Nome di Dio-Suore Cavanis", che hanno la
Casa madre a Porcari (Lucca) e che da trent’anni sono presenti a Suzana. Oggi
purtroppo non ci sono più ma hanno avuto la grazia della bella vocazione di
suor Lelia, che partirà missionaria per il Brasile, Paese da dove erano venute
suor Adelia e suor Elsa, da vent’anni a Suzana. Monsignor Camnate ha detto che
nella cultura africana un uomo o una donna devono avere almeno un figlio, per
tramandare la saggezza del nostro passato. Suor Lelia ha fatto il voto di
verginità e non avrà figli propri. Ha tradito la cultura africana? No, anzi la
valorizza e spiritualizza, perché avrà molti figli e figlie, nelle persone che
servirà. A volte in Europa si dice che il celibato o la verginità non vanno
bene per l’Africa. Invece preti e suore consacrati sono molto apprezzati in
Africa, perché sono al servizio di tutti i figli degli altri, li educano, li
assistono, li inseriscono nella grande famiglia universale che è la Chiesa di
Dio.
Il vescovo di Bissau ha detto che non dobbiamo solo essere estasiati da questa
bella chiesa di mura, ma più importante è la Chiesa intesa come comunità dei
credenti, che è ancora più bella della chiesa di mura. È più facile
costruire una chiesa in muratura che edificare una Chiesa comunità. Quella di
Suzana si può dire che è una missione modello, partita da zero in un ambiente
non cristiano e dopo cinquant’anni si vedono i frutti: ha già prodotto una
comunità unita e missionaria, tre sacerdoti e alcune suore, un diacono e
diversi seminaristi e aspiranti suore.
Monsignor Pedro Zilli, vescovo del Pime a Bafatà, la seconda diocesi della
Guinea, è stato cinque anni a Suzana con Fumagalli. Mi dice: «Nella mia
diocesi ho due preti felupe e io già vedo in loro una tradizione cristiana; lo
stesso vale per suor Lelia, che viene da una buona famiglia cristiana, per cui
hanno un senso di Chiesa più maturo, che non i neofiti. San Gerolamo scriveva:
"Fin da bambino sono stato nutrito con latte cattolico". Ecco, questi
ragazzi felupe che si sono fatti preti e suore, sono stati nutriti con latte
cattolico fin da piccoli. Sono diversi dagli altri: sentono di più il legame
anche affettivo con la Chiesa, sono più in sintonia con la Chiesa, per
tradizione familiare».
All’inizio della messa hanno letto in pubblico due lettere di alcuni Felupe
che lavorano in Europa. Sono cattolici e ambedue ricordano le sofferenze dei
primi Felupe cristiani, espulsi dai villaggi, battuti, privati delle terre a
causa della fede. Padre Fumagalli ha citato Giovanni Paolo II, che ha scritto
nella Novo millennio ineunte: «Dobbiamo mantenere lo stesso entusiasmo
che avevano i cristiani dei primi tempi?». I cristiani felupe devono
ritornare a quello spirito e quell’entusiasmo che avevano i loro nonni mezzo
secolo fa, quand’erano ancora catecumeni.