DAL BANGLADESH, P. BAIO
La promessa di padre GianAntonio
Padre GianAntonio Baio segue, grazie alle adozioni a distanza,
l’istruzione di diversi ragazzi tribali nel nord del Bangladesh.
Quest’anno ha promesso ai suoi fedeli che celebrerà con loro il prossimo
Natale
in una nuova chiesa. Per questo ci chiede di aiutarlo.
P. GianAntonio Baio
("Missionari del Pime", Marzo 2007)
Carissimi amici, erano oltre un centinaio i fedeli rimasti fuori dalla
cappella il giorno di Natale. Dentro eravamo pigiati, quasi 150, e abbiamo
celebrato con viva fede e riconoscenza la Nascita del Salvatore. Pur nella
gioia, avevo il cuore gonfio e ho ripetuto a Lui una promessa già fatta altre
volte: farò di tutto perché quanto prima si realizzi il sogno. Al termine
della Messa l’ho detto a tutti: il prossimo Natale lo celebreremo insieme
nella chiesa nuova, cantando con gioia e riconoscenza l’amore misericordioso
del Padre. Ecco il motivo di questo mio appello, fiducioso nell’aiuto di tanti
benefattori amici.
Avevo già vissuto venti anni in Bangladesh, intensi ed entusiasti, nell’annuncio
del Vangelo. Poi la chiamata dei superiori a un servizio in Italia, oltre dieci
anni a Milano pure di impegno missionario, dove abbiamo avuto modo di conoscerci
e animarci reciprocamente secondo il Cuore di Cristo. Finalmente la possibilità
di ritorno qui, a fine 2004, per riprendere l’avventura.
Con fiducia ho accolto la proposta del superiore di impegnarmi in questa zona,
nuova missione tra i tribali al nord di Dhaka. Dal febbraio 2005 mi trovo a
Kewachala, a 60 km. dalla capitale, residente a tempo pieno, con l’incarico di
fondare un nuovo centro, a cui possano fare riferimento i tanti villaggi tribali
della zona, Garo, Koch, Oraon, aperti all’annuncio.
Le prime tre famiglie cattoliche risalgono al 1974, poi la lenta crescita,
grazie alla visita mensile di un sacerdote. Per sette anni padre Dominic
Rozario,
sacerdote diocesano con vero entusiasmo missionario, ha preso a cuore la zona,
un po’ da pioniere. Finché l’arcivescovo ha esplicitamente chiesto al Pime
di impegnarsi per l’evangelizzazione in questa zona, dove ci sono
migliaia di tribali emarginati, oppressi e sfruttati, presso i quali «farsi
prossimo», dando loro speranza e fiducia nel presente e nel futuro.
Dal mio arrivo ho dovuto affrontare una serie di difficoltà e urgenze, per
poter garantire un minimo di terreno per le attività in corso e quelle future.
Oltre alla scuola elementare con 130 alunni, c’è l’ostello con 40 ragazzi e
da gennaio ho iniziato anche a seguire, sempre grazie alle adozioni a distanza
da voi sostenute, 15-20 ragazzi delle medie. L’ostello permette una formazione
ben oltre l’istruzione scolastica, in un clima di gioia e di impegno. Ma ci
sono ancora tante famiglie poverissime che chiedono e sperano che i loro figli
possano essere sostenuti a distanza e avere così migliori opportunità di
lavoro e di sopravvivenza.
La formazione dei ragazzi è una priorità e mi permette di visitare i villaggi
e di entrare in contatto con i genitori, offrendo piccoli interventi di
promozione umana.
La nuova chiesa l’ho colta sin dall’inizio come una priorità, un’urgenza
da affrontare quanto prima. La cappella in fango, col tetto in lamiera, sta
facendo il suo servizio da 32 anni. Ora le famiglie cattoliche sono oltre 70,
anche se la frequenza domenicale lascia a desiderare. Ogni giorno abbiamo due
momenti di preghiera: la Messa del mattino e il rosario la sera, dove tutti i
ragazzi degli ostelli partecipano con entusiasmo e stupore nel canto e nella
conoscenza del Signore. Con le suore, le maestre e qualcuno del villaggio, la
cappella si riempie. E la domenica? Per tutto il 2007 ci accalcheremo, fiduciosi
che la Provvidenza esaudirà il nostro sogno per il prossimo Natale. Ogni giorno
una preghiera particolare per tutti i benefattori.
Padre Ezio ha preparato il disegno, approvato dall’arcivescovo e dal superiore
regionale, per una capienza di 450-500 persone. Posso già disporre di circa la
metà del costo previsto e, confidando nell’attenzione e generosità di tanti
di voi, a metà gennaio sono iniziati i lavori.
Oltre alla visita ai villaggi tribali vicini, il mio impegno
pastorale-missionario riguarda anche i diversi cattolici immigrati da più parti
del Paese, per lo più tribali del nord, che hanno trovato un posto di lavoro,
pur precario, in questa zona a veloce sviluppo industriale, e vivono allo
sbaraglio. Questo luogo diviene per loro punto di riferimento, di recupero e di
aiuto nel cammino di fede, per essere testimoni del Signore nell’ambiente in
cui operano.