MISSIONE BIRMANIA

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Padre Paolo Noè, 88 anni, era rimasto l’unico missionario del Pime
presente nel
Myanmar (ex Birmania)
dopo la morte, nel dicembre 2005, di padre Igino Mattarucco.
Lo scorso 29 marzo si è spento anche lui, lasciando un’eredità più viva che mai.

P. PAOLO NOÈ (1919-2007), Missionario in Birmania, con un suo piccolo amico!

Isabella Mastroleo
("Missionari del Pime", Giugno-Luglio 2007)

«È  rimasta solo la ruota di scorta… senza più la macchina». Così padre Paolo Noè definiva scherzosamente la sua situazione di ultimo missionario del Pime presente nel Myanmar (attuale nome della Birmania). Il 29 marzo scorso se n’è andato anche lui, realizzando il desiderio, tante volte espresso, di morire nella "sua" terra di missione.
Aveva 88 anni, 59 dei quali vissuti appunto nel Myanmar. Era arrivato per la prima volta nel Paese asiatico nel maggio del 1948, insieme ad altri dieci compagni. Erano passati solo pochi mesi dall’indipendenza del Paese (4 gennaio 1948). Quella che trovò a Yadò, villaggio della diocesi di Toungoo a cui era stato destinato, era una missione difficile, dalle condizioni di vita piuttosto dure. «Tutto era stato distrutto dai soldati giapponesi – raccontava nel 2001 in un’intervista a "Mondo e Missione". – La missione era ancora peggio di una topaia. Tutto era da ricostruire… Così ho cominciato a fare il muratore…».
Quella di Yadò fu solo la prima delle molte altre chiese costruite da padre Noè, che non si risparmiava affatto quando si trattava di costruire anche "materialmente" una nuova missione. E, venendo lui da una famiglia di muratori, non esitava a mettere in pratica l’arte di edificare con mattoni e calce, ancora poco diffusa, a quei tempi, sulle montagne birmane.
A partire dagli anni ’60 ricopre più volte la carica di superiore regionale, ma nel 1966 un grave avvenimento sconvolge le missioni della Birmania: il governo decide di chiudere le frontiere a tutti i missionari stranieri, espellendo anche quelli che erano arrivati dopo l’indipendenza. Padre Paolo, insieme a soli altri 29 missionari, non viene espulso soltanto perché, al suo arrivo nel Myanmar, aveva fortunatamente ottenuto il visto permanente invece che temporaneo. La permanenza dei trenta "stranieri" è tuttavia subordinata alla minaccia di non poter più rientrare se, per un motivo o per l’altro, avessero lasciato il Paese.
Con il passare degli anni, tutti i suoi confratelli del Pime sono morti o sono stati costretti a rientrare in Italia per motivi di salute. Padre Noè era dunque rimasto veramente l’«ultima ruota di scorta».
Il suo impegno fondamentale è stato per decenni l’evangelizzazione diretta delle minoranze Shan e Karen, soprattutto attraverso l’attenzione ai ragazzi e ai giovani e alla creazione di scuole e orfanotrofi. «L’idea di fondo – spiegava qualche anno fa padre Noè su queste pagine – era che ogni missionario avesse un "orfanotrofio", che non era solo per gli orfani veri e propri, ma per chi in genere non ce la faceva. C’era la scuola, quindi il catechismo, una grossa opportunità di evangelizzazione, fino a quando le cose non sono cambiate con la "nazionalizzazione" dell’istruzione. Con questo sistema si è creato un gruppo con una buona formazione cristiana di base, da cui sono uscite anche molte vocazioni sacerdotali e religiose, vescovi compresi. Quel sistema ha molto consolidato la Chiesa cattolica e continua ancora di fatto in mano a preti e suore locali».
Gli ultimi anni della sua vita padre Paolo li ha trascorsi a Hvari, cittadina sperduta tra i monti della nuova diocesi di Pekong, in una regione che fa parte dei territori considerati «black area»: zone non accessibili agli occidentali per via di contrasti e scontri tra il governo centrale e i gruppi che rivendicano autonomie etniche. Dal momento in cui aveva compiuto ottant’anni, aveva ottenuto di lasciare le responsabilità pastorali, pur restando a disposizione del vescovo e del clero locali. «Il nostro ruolo adesso – spiegava un anno fa a fratel Fabio Mussi – deve essere di sostegno, incoraggiamento e comprensione anche negli sbagli. Devono sentirci vicini, con un atteggiamento cordiale di umiltà e quindi senza giudizi e confronto».
Nella sua parrocchia di Hvari restano i tre giovani preti birmani che gli sono stati vicini fino all’ultimo. Insieme ad altri sacerdoti locali, formati come loro nel seminario del Pime a Monza, sono orgogliosi di essere subentrati nelle stesse missioni e parrocchie fondate e gestite per lunghi anni dai missionari del Pime. Quei missionari che avevano battezzato i loro genitori e loro stessi.