Robert Mugabe,
"leader" della lotta per l'indipendenza,
ha instaurato a partire dal 1980 un potere personale di matrice marxista,
i cui risultati sono disastrosi, soprattutto in campo economico.
E il Paese oggi è del tutto isolato.
P.
Piero Gheddo
("Avvenire",
24/8/’07)
Quella dello Zimbabwe
è una delle più gravi tragedie africane. Nel 1979 sono stato in Rhodesia,
allora era chiamata «il granaio dell'Africa»: oggi gran parte del popolo è
alla fame. Un missionario incontrato in Italia dice: «Il governo è preoccupato
di conservare il potere e di reprimere le manifestazioni di protesta che
aumentano. Si teme che il Paese precipiti nel "caos". In Zimbabwe rimangono 22.000
residenti inglesi (erano 290.000 nel 1980), ma per loro è già pronto da Londra
un piano di evacuazione. La scintilla che potrebbe innescare la rivolta popolare
sono le presidenziali del marzo 2008, le opposizioni si rifiutano di
parteciparvi a meno che non cambino le regole elettorali.
Mugabe
sarà
riconfermato per la sesta volta consecutiva, dopo che ha portato la nazione allo
sfascio».
Il presidente attribuisce il fallimento della sua politica a un «complotto
internazionale» ordito addirittura da Tony Blair, ma le vere cause sono altre.
Mugabe è battezzato e ha studiato nelle scuole missionarie; ha fatto il liceo
dei gesuiti di Salisbury (la capitale che oggi si chiama Harare). Quando era
studente all'università per neri di Fort Hare, in Sudafrica, si iscrisse al
"Partito comunista". Sia nella "guerra di liberazione" sia in seguito,
ha adottato la tattica marxista-leninista della conquista del potere: violenza e
dittatura del suo partito-guida, lo "Zanu-pf". Durante gli anni
dell'"apartheid" e della guerriglia si sperava che avrebbe fatto
superare il clima di odio e violenza che avvelenava l'atmosfera. Ma era soltanto
un'illusione.
Mugabe partecipa alle cerimonie solenni nella cattedrale di Harare: cattolico,
ma rivoluzionario marxista-leninista. Questa la radice delle due scelte
disastrose che hanno condotto il Paese allo sfascio: l'eliminazione della
democrazia e la cacciata dei bianchi che, tra l'altro, ha impedito una
transizione graduale, senza scompensi, nei posti di comando delle strutture
statali; trasporti, banche, scuole superiori, industrie e, soprattutto,
l'agricoltura, le cui esportazioni erano la ricchezza nazionale.
Salito al potere nel marzo del 1980, Mugabe vara ambiziosi progetti sanitari e
scolastici e istituisce un governo di coalizione con il partito di opposizione
"Zapu", il cui capo è Joshua Nkomo. Ma l'esecutivo dura solo due anni ed è
sciolto nel 1982. La dittatura diventa assoluta nel 1987, quando il Parlamento
abolisce il ruolo di primo ministro e riunisce tutti i poteri nel presidente
della Repubblica, naturalmente lui stesso. Da allora non si può più parlare di
elezioni nello Zimbabwe: per Mugabe ogni volta è un "plebiscito".
La riforma agraria è del 1991. Le fattorie con estese proprietà coltivate
industrialmente sono consegnate ai guerriglieri della libertà, senza
preoccuparsi di istruirli e sostenerli, dato che la loro unica esperienza era
l'agricoltura di sussistenza. Oggi lo Zimbabwe produce un terzo del grano che
produceva in tempo di guerra, quando gli abitanti erano 6 milioni; non esporta
più, anzi importa cibo. Secondo la "Fao", l'Africa subsahariana ha un
"deficit"
produttivo del 30% rispetto al cibo necessario per le sue popolazioni, una quota
che viene importata o è ricevuta sotto forma di aiuti alimentari.
Nel 1999, il sindacalista Norman Tsvangirai ha fondato il "Movimento per il
cambiamento democratico" (Mdc), scegliendo l'opposizione non violenta al
governo: oggi è in ospedale con il cranio fratturato dalle bastonate della
polizia, assieme a molti altri manifestanti. Negli ultimi anni, le proteste
popolari sono cresciute di numero e di peso, nonostante le feroci repressioni.
L'inflazione sta raggiungendo l'8.000% l'anno. Le suore italiane di "Maria
Bambina" vanno a fare la spesa con una carriola piena di pacchi di carta
moneta statale svalutata.
Lo Zimbabwe, che ancora trent'anni fa era un modello di dinamismo economico per
l'intera Africa, è ora afflitto da una decadenza tale da innescare il degrado
dei più elementari servizi sociali. Il tasso di abbandono scolastico si è
impennato e raggiunge il 50%, il governo non finanzia più le vaccinazioni, la
malnutrizione cronica riguarda un bambino su quattro, la malaria è fuori
controllo. Nelle città, il governo distrugge le baraccopoli, per mandare la
gente in campagna a coltivare la terra: circa 700.000 persone sono state così
disperse nel Paese.
A pagare il prezzo più alto sono le fasce sociali maggiormente vulnerabili,
primi fra tutti i bambini delle famiglie più povere e, soprattutto, i
tantissimi - un quinto della popolazione infantile - resi orfani dall'Aids di
uno o di entrambi i genitori. Capita che i più poveri siano costretti a
mangiare radici ed erbe bollite. Le interruzioni di elettricità sono una
costante, la distribuzione di acqua potabile non più garantita e quella di
carburante completamente assente. Alimenti come la carne e il latte sono ormai
introvabili, se non al "mercato nero", sempre più protagonista dell'economia
nazionale. L'aspettativa di vita, in queste condizioni, non supera i 40 anni,
mentre malattie come l'Aids colpiscono il 30% della popolazione maschile adulta.
A detta dei residenti, la situazione peggiora di giorno in giorno e l'unica
possibilità di sopravvivenza per molti cittadini è di espatriare in Sudafrica,
in Zambia o in Mozambico, alla ricerca di un pur basso stipendio. La crisi si è
acutizzata proprio in questi mesi, tanto che gran parte della popolazione non
può più disporre dei beni di consumo primario.
A ciò si aggiunga che tre milioni di persone - circa un quarto della
popolazione - vivono in campi profughi all'estero. L'Onu ha condannato più
volte lo Zimbabwe, il "Commonwealth" l'ha espulso, l'Unione europea e
gli Stati Uniti hanno decretato negli ultimi tempi varie forme di "embargo
economico". Mugabe però non cede.