La realtà di
un Paese poverissimo, devastato dal passaggio del ciclone «Nargis»,
l’impegno per la rinascita svolto dalla Chiesa cattolica locale,
il suo ruolo di "ponte" con la comunità ecclesiale cinese.
Parla il Presidente della "Commissione episcopale
per l’evangelizzazione dei popoli e la cooperazione tra le Chiese".
Mercoledì sera
i presuli dello Stato asiatico a Roma per la visita «ad
limina»
hanno incontrato una delegazione di cui facevano parte l’arcivescovo di
Trento,
il Vice-Presidente della "Cei", Mons. Superbo,
e il Presidente della "Caritas", Mons. Merisi.
«Nel disastro sono morti anche un prete e tre catechisti,
ma la presenza delle "Caritas" diocesane ha permesso a tutti di
mobilitarsi subito.
Non c’è oppressione religiosa, ma l’azione sociale è molto limitata».
Da
Roma, Salvatore Mazza
("Avvenire", 30/5/’08)
Una situazione che «si va
normalizzando», nella quale la Chiesa «ha fatto e continua a fare la sua parte
con grande generosità», pur con «i pochissimi mezzi di cui dispone» e in una
situazione che «resta di grande difficoltà». Monsignor
Luigi Bressan,
arcivescovo di Trento e Presidente della "Commissione episcopale per l’evangelizzazione
dei popoli e la cooperazione tra le Chiese", parla dell’incontro che,
mercoledì sera, ha visto una delegazione della "Conferenza
episcopale italiana",
di cui facevano parte anche il Vice-Presidente, monsignor
Agostino Superbo, e
il Presidente della "Caritas
italiana", monsignor
Giuseppe Merisi, a
colloquio con i vescovi del Myanmar,
a Roma in occasione della loro quinquennale visita "ad limina".
Un momento di «vera fraternità», racconta Bressan, durante il quale «siamo
tornati a esprimere la nostra solidarietà, e loro hanno manifestato grande
riconoscenza per l’appoggio che hanno sempre avuto, per la vicinanza loro
dimostrata».
Di che cosa s’è parlato?
Della realtà del Paese in generale, ma ovviamente soprattutto del grande disastro causato dal ciclone "Nargis". La situazione è terribile, tanto che monsignor Charles Maung Bo, l’arcivescovo di Yangon (la città più colpita dal ciclone, "ndr"), non è potuto venire proprio a causa dell’enorme lavoro che c’è da fare. La Chiesa s’è subito attivata, pur avendo sofferto come tutti: nel disastro, assieme a molti fedeli, sono morti anche un sacerdote e tre catechiste a tempo pieno. Ci è stato raccontato come abbiano riunito subito i seminaristi e le suore per fare dei corsi su come intervenire e la circostanza fortunata della presenza di una "Caritas" in tutte le diocesi ha permesso loro di intervenire subito, pur con quel poco che possiedono.
Com’è oggi la situazione?
All’inizio il governo era contrario a far venire aiuti dall’estero, ma adesso che a poco a poco lo sta permettendo, c’è speranza che le cose possano migliorare. Certo, sono zone estremamente povere: ricordiamo che il Myanmar è ben al di sotto del "livello di povertà", un insegnante di scuola elementare riceve attorno ai cinque dollari al mese, quindi parliamo di stipendi di 3-4 euro al mese.
E quanto alla vita della Chiesa?
Certamente abbiamo parlato anche di questo. I cattolici, come si sa, sono circa 700mila, in gran parte appartenenti ai gruppi etnici minoritari, con 600 sacerdoti e circa 2000 religiose, con un bel numero anche di seminaristi, circa 160 negli ultimi quattro anni di teologia. La cosa interessante sono i contatti ecclesiali che riescono a mantenere con la Cina: aiutano i sacerdoti, i catechisti, e anche qualche giovane che viene a frequentare le loro piccole "scuole professionali" che esistono.
Si continua però a parlare di difficoltà perduranti in materia di libertà religiosa...
Le difficoltà ci sono sempre, è chiaro: parliamo di una vita dura, di un governo che dice: «O si usa la mano forte, o il Paese si divide». Questo vuol dire che non ci sono prospettive ideologiche, di "comunismo", di portare l’uguaglianza, di favorire lo sviluppo: c’è solo la conservazione del potere.
Benefici attesi dalla nuova "Costituzione"?
La nuova "Costituzione" c’è, ma nessuno le dà un valore reale in quanto l’esercito tende, come ho detto, a mantenere la situazione com’è. Nel colloquio i vescovi del Myanmar non sono entrati in questo discorso, mi sembra però che non vedano grandi prospettive di democrazia.
E per quanto riguarda la libertà religiosa?
Non si può dire che ci sia oppressione. Esiste la possibilità di conversione, così come la libertà di culto. C’è la "Caritas", e la possibilità di fare educazione ma, al di là di piccolissime realtà come quelle a cui accennavo prima ("ateliers" professionali, dispensari), non esiste la possibilità di opere sociali, di aprire vere e proprie scuole, o ospedali. E, in ogni caso, molto dipende da quello che è il rapporto con l’autorità locale. Se è buono, si riesce a lavorare bene, ma se chi comanda è un "fanatico" allora le cose possono cambiare completamente.