Il "regime" s’arrende:
sì agli aiuti dell’"Onu"
Per la prima
volta il "governo militare",
non solo ha ammesso l’entità delle distruzioni,
provocate dalla furia dei venti,
ma ha anche esplicitamente inviato un
"appello".
La Thailandia si mobilita immediatamente.
Da Bangkok,
Stefano Vecchia
("Avvenire", 6/5/’08)
Per la prima volta, il
"regime" birmano – alle prese con la devastazione del ciclone "Nargis"
– risponde alla disponibilità del mondo aprendo le porte agli "aiuti
internazionali", prima non negando l’entità delle distruzioni e poi
attraverso una richiesta di aiuto. Ieri la "giunta birmana" aveva richiesto al
governo thailandese l’invio urgente di cibo, attrezzature mediche e materiale
edile e quello di Bangkok è stato il primo tra i governi a rispondere
affermativamente all’"appello". Le "Nazioni Unite" e altre
"agenzie internazionali" presenti in Myanmar,
che già domenica avevano inviato squadre nelle regioni colpite per verificare e
stimare i danni, si sono riunite ieri nella sede della rappresentanza "Onu"
di
Bangkok
per coordinare la loro risposta alla "sciagura". Tutte la
maggiori "agenzie umanitarie", "Organizzazione mondiale della sanità",
il "Fondo Onu per l’infanzia", il "Programma alimentare
mondiale", e diverse organizzazioni di soccorso come "Oxfam",
"Actionaid", "Usaid" e "Save the Children", si
sono dette disponibili ad entrare in azione in base ai rilevamenti sul terreno o
alle necessità. Il Segretario Generale dell’"Onu" Ban
Ki-moon ha
assicurato che le "Nazioni Unite" «faranno tutto il possibile».
Mentre si avvia la "macchina dei soccorsi" e il primo aereo carico di
aiuti atterrerà nella mattinata di oggi a Yangon,
proveniente da Bangkok, già dalle prime ore, la sezione locale della
Federazione della "Croce Rossa" e della "Mezzaluna Rossa" è
stata la prima ad intervenire direttamente, con la sua organizzazione locale
forte di un migliaia di persone, dopo avere individuato in acqua potabile,
abiti, cibo, articoli di igiene, tele di plastica e zanzariere contro la malaria
le priorità per le decine di migliaia di "sfollati" dalla violenza
del ciclone.
L’entità delle distruzioni in un Paese dove le comunicazioni sono
"precarie" già in condizioni normali rende più difficile la
distribuzione degli aiuti. I soccorritori della "Croce Rossa" si erano
già recati nel distretto di Yangon poco dopo il disastro e nuove squadre si
sono dirette nella giornata di ieri nelle aree più colpite, quelle dell’Irrawaddy,
di Bago, Karen e Mon, per valutare la situazione. Allarme destano soprattutto le
condizioni della regione costiera nel "delta" dell’Irrawaddy, dove
numerosi villaggi sono stati distrutti dalla forza "congiunta" del vento, del
fiume e delle onde. I centri abitati di Kawhmu e Kungyagon contano decine di
vittime, mentre incerta era a ieri sera la situazione nella città di Pathein (Bassein),
la terza del Paese per popolazione e "capoluogo" del
"delta", completamente inondata. «Stiamo distribuendo teli di
plastica per ricoprire i tetti delle capanne, prodotti "potabilizzatori",
oltre a 5.000 litri d’acqua, strumenti da cucina, zanzariere e capi d’abbigliamento
per chi si trova maggiormente in difficoltà», testimoniava ieri il
"portavoce" della Federazione internazionale della "Croce
Rossa" nel Paese, Michael Annar. A sostenere in modo diretto lo sforzo
della "Croce Rosa" sono in arrivo aiuti dalla Malaysia. Anche secondo
le fonti governative, la costa del "delta", colpita direttamente dal
ciclone e dall’ondata di "piena" che ha poi allagato Yangon, è
quella dove si registra il più alto numero di dispersi e dove con maggiore
urgenza è necessario intervenire, pur nella estrema difficoltà delle
comunicazioni.
Nella sola isola di Haing Gyi, i "senza tetto" sarebbero 98mila.