Il parroco di
Selva di Val Gardena, don Piero Clara:
«Si dava alla montagna nello stesso modo
in cui si donava a chi era nel bisogno, senza limiti».
Dal diario di
Unterkircher emerge la sua profonda fede:
«Siamo qui per una missione.
La vita è un "mistero" di cui nessuno di noi ha la
"chiave".
Siamo nelle Sue mani».
Da
Bolzano, Francesco Dal Mas
("Avvenire", 20/7/’08)
«Siamo qui per una missione
– scrive Karl
Unterkircher il 28
giugno da Rakhiot, dove si trova il "campo base" sul Nanga Parbat –
. Quella parete, quel "seracco" a metà parete, non mi esce dalla
testa. Ci vorranno sicuramente dieci-dodici ore per salire il
"seracco", mi chiedo se saranno ore inutili, ore che ci impediranno la
salita. Cerco di riaddormentarmi, ma la mia mente è confusa da tante domande.
La probabilità che il "seracco" piombi giù in quelle ore, è minima…
di certo non è una "roulette russa". Però, mai dire mai. Siamo nati
e un giorno moriremo. In mezzo c’è la vita. Io la chiamo il
"mistero", del quale nessuno di noi ha la "chiave". Siamo
nelle mani di Dio, e se ci chiama, dobbiamo andare. Sono cosciente che l’opinione
pubblica non è del mio parere poiché, se non dovessimo più ritornare,
sarebbero in tanti a dire: "Cosa sono andati a cercare là? Ma chi glielo
ha fatto fare?". Una sola cosa è certa: chi non vive la montagna non lo
saprà mai. La montagna chiama». «Sì, è proprio lui, Karl», ammette Silke,
mentre, con la serenità caratteristica della donna di montagna, accarezza i
figli Alex, Miriam e Marco. Legge e rilegge le testimonianze di Karl: «La
montagna, soprattutto quella "inviolata", era la sua passione –
racconta – . Non ha mai avuto paura della morte, ma negli ultimi tempi sì.
Sentiva che qualcosa di irrimediabile gli sarebbe capitato». Cosa gli dava la
forza di sfidare comunque l’"imponderabile"? «Sicuramente la
passione per le "terre alte". E anche per chi le abita. Ma anche una
grande fede. Una fede che non riusciva sempre a manifestare, ma che sicuramente
lo aiutava ad affrontare ogni possibile sfida. Sapeva, insomma, che
"Qualcuno" lo avrebbe protetto. E a Lui si abbandonava». Herbert
Mussner era diventato
solo da pochi mesi il suo uomo di fiducia. «Io, nella vita, non so far altro
che spedizioni. Aiutami tu per il resto», gli aveva chiesto Karl. Anche Mussner
sottolinea «questa grande capacità di abbandono» dell’amico caduto in un
crepaccio su una delle poche montagne del mondo ancora "inviolate".
«Il suo abituale saluto era: "Inshallah". "Come Dio
vorrà", – ricorda Mussner – . Questo affidarsi alla
"Provvidenza" la dice lunga». Una fede innata, quella di Karl.
Trasmessa da papà Erich e da mamma Teresa «fin dal grembo materno», come dice
la stessa madre, quasi ogni giorno a Messa.
«La Messa? È la nostra forza. Soprattutto in momenti come questi. Chi altro ci
può aiutare se non Lui». Don
Piero Clara, il parroco
di Selva di Val Gardena,
non ha altra spiegazione per la serenità che sembra contraddistinguere la
famiglia Unterkircher. «È solo la profondità della fede, che ti fa credere
nella "Resurrezione", che consente di non lasciarsi andare alla
disperazione per una morte così improvvisa, seppur messa in conto, e per l’impossibilità
di dare sepoltura al caro congiunto». «Sono serena, se così si può dire –
conferma Silke – , perché, tutto sommato, Karl è morto nella condizione che
forse riteneva a lui più congeniale». Ma c’è un altro aspetto di questa
fede che don Piero vuol evidenziare.
«Karl si dava alla montagna quanto si donava agli altri, aiutando chi si
trovava nel bisogno qui in paese e le popolazioni lontanissime, dell’Himalaya
o delle Ande, che veniva a conoscere durante le spedizioni. Una
"donazione", su
entrambi i versanti, senza limiti».