IN MONTAGNA…

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Per Annibale Salsa ("Cai"),
«tanti appassionati vanno in quota come se stessero andando in palestra».

La vetta del K2, nalla catena dell'Himalaya...

Da Udine, Francesco Dal Mas
("Avvenire", 7/8/’08)

«Educare al senso del limite, nella vita di tutti i giorni, perché la montagna viene di conseguenza». Anzi, se la conoscenza e la consapevolezza del limite non c’è nella quotidianità, tanto meno può esistere quando si sale. Ne è convinto Annibale Salsa, antropologo, docente universitario, Presidente generale del "Club Alpino Italiano", escursionista ed alpinista.

Perché tanti morti in montagna quest’anno? Sia sulle grandi vette sia lungo i sentieri più facili?

Perché tanti escursionisti o finti alpinisti si fiondano in quota come se stessero andando in palestra: ritengono che basti la forza fisica. O che siano sufficienti un paio di scarpe da ginnastica. Invece la montagna presuppone una molteplicità di conoscenze e consapevolezze.

Come la prudenza. Secondo lei, sono stati prudenti i componenti della spedizione sul "K2", che non hanno seguito i consigli di scendere insieme o che hanno utilizzato corde troppo fragili?

Bisogna distinguere. L’errore umano, soprattutto sulle alte quote, dove può venir meno anche il senso dell’equilibrio, è sempre da mettere in conto. Non me la sento di puntare il dito contro taluni alpinisti perché non sarebbero abbastanza preparati o poco prudenti. Per affrontare le montagne dell’Himalaya bisogna essere preparati. E quelli che si spingono lassù lo sono.

Ma alle quote più basse, la prudenza che cosa deve significare?

La prudenza è una virtù, significa avere il senso del limite, cioè della "misura" oltre la quale non si può andare, sia con la testa, che con i piedi. Oggi invece prevale la cultura della "performance", della prestazione, dei "virtuosismi".

Proviamo a tradurre. Un esempio…

Ci si ritiene tanto prestanti da poter frequentare i sentieri di montagna con le scarpe da ginnastica. Ed ecco che gli incidenti più numerosi avvengono perché l’escursionista improvvisa, pensa di poter rinunciare alle "pedule" alte che coprono e proteggono la caviglia. Con le scarpette sportive, mette il piede in fallo su un sasso, cade e si rompe la caviglia.

Il limite non viene rispettato più in salita o più in discesa?

Basta leggere il "bollettino di guerra" di questa estate per rendersi conto che gli incidenti più numerosi avvengono in discesa. È accaduto sul "K2", avviene ogni giorno sulle montagne di casa. Ci si sente così appagati dell’ascensione appena conclusa, del rifugio appena raggiunto, che si fa ritorno correndo e magari si scivola sul "ghiaino" del sentiero, con conseguenze disastrose.

Lei parla di necessaria conoscenza della montagna, che presuppone pertanto un’informazione precisa prima di partire.

Non tutte le montagne sono uguali. Sul Monte Bianco e sul Monte Rosa le sorprese arrivano dal ghiacciaio, ma soprattutto dalla volubilità del tempo. In pochi minuti si passa dal sole alla bufera. Il vento caldo, per esempio, fa scivolare i "seracchi". Non si può, quindi, partire nelle ore calde, peggio nel pomeriggio. Sulle Dolomiti bisogna, invece, guardarsi dalla caduta sassi, dalla roccia che si sgretola. Scendono a valle creste intere.

Con la cultura del limite, manca anche quella del rischio, del pericolo?

Sì, ma non facciamo confusione. C’è una differenza radicale tra rischio e pericolo. Il rischio è sempre prevedibile, perché lo si mette in conto attraverso il calcolo delle previsioni. Il pericolo è imponderabile. Gli alpinisti più esperti arrivano a calcolare il rischio a 360 gradi, ma il pericolo no. Devono sapere che cosa possono trovare dove vanno.

Anche gli escursionisti lo dovrebbero sapere…

Appunto, informandosi, la sera prima di partire, o al mattino presto. E, comunque, è consigliabile portarsi appresso il "Gps".

Molti lo fanno.

Bene, ma non basta affidarsi al "Gps". Il tempo può cambiare improvvisamente. E di questo si può avere una percezione quasi "epidermica", solo che si abbia un minimo di conoscenza "metereologica".