MYANMAR,
UN INDIZIO PER I MAESTRI DELL’ATEO-PENSIERO
Straordinaria rivolta popolare
guidata da una religione
Gabriella
Sartori
("Avvenire",
30/9/’07)
Brutte notizie: giornali,
telegiornali, "blog", è un vero e proprio ingorgo che "impacca" tutto
nella melma o nell’orrore. C’è la politica "logorroica" e
demotivante, ci sono i tenebrosi delitti di "famiglia" (da quello di
Garlasco in Lombardia a quello di Maddie in Gran Bretagna), sui quali il
"circo mediatico" sguazza in maniera troppe volte indecente. E poi la
tragedia nazionale del Myanmar,
una rivolta pacifica contro la dittatura per la democrazia, ancora una volta
brutalmente soffocata nel sangue. Davvero un panorama di fronte al quale è
difficile "salvare" un po’ di ottimismo che, per un cristiano,
coincide col dovere di coltivare la virtù della Speranza. Eppure, questa
possibilità c’è. Basterebbe cominciare a dare alle buone notizie lo stesso
risalto e impegnarsi a mantenere di esse la stessa "memoria" di quelle che non
lo sono. Se il tema del giorno verte su tanti e tali esempi negativi forniti da
istituzioni, politici e amministratori pubblici, non va dimenticato che, di
amministratori, ve ne sono altri di diversa "qualità" morale e
civica: la ricostruzione dell’Umbria, realizzata al 90 per cento a dieci anni
dal disastroso terremoto, lo dimostra. E così dicasi per quella specie di
"miracolo italiano" accaduto a Mestre dove, l’altro giorno, è stato
possibile inaugurare quello che si ha ottimi motivi per definire il "più
bello e il più moderno ospedale d’Europa": progettato e completato in
meno di quattro anni, frutto di una straordinaria "sinergia" fra pubblico e
privato che costituisce un vero e proprio esempio da imitare, non solo nel
nostro paese. Anche questa è Italia, un paese del quale non è sempre
obbligatorio vergognarsi, come, leggendo certa cronaca, si potrebbe esser
indotti a fare. È dell’altro giorno la decisione della "Confindustria"
siciliana che minaccia di estromettere gli imprenditori "cedevoli" con la mafia.
Un segno innovativo che non va passato così in fretta nel dimenticatoio.
Quanto alla tragedia che insanguina le strade del Myanmar, ne deriva certo una
grande angoscia e tristezza: ma quale straordinario esempio di forza morale sta
dando quel popolo! Si contano a centinaia di migliaia gli uomini e le donne che
sono pacificamente scesi in piazza sfidando (e non di rado incontrando) la
morte, la prigione, le percosse, le ferite, pur di ribellarsi all’ingiustizia,
difendere i deboli contro i prepotenti, affermare i diritti umani più
sacrosanti. Da buddista qual è, questo popolo sta cantando in maniera eroica un
suo splendido inno alla libertà: una lezione che sarebbe colpevole ignorare,
specie da parte di noi cristiani. È bello, poi, che in prima fila, ci siano
figure femminili di così gran rilievo, quali Aung
San Suu Kyi, premio
"Nobel" per la pace, da lunghi anni confinata agli arresti domiciliari
per la sua tenace opposizione alla feroce dittatura al potere.
Non può sfuggire a nessuno, infine, che questa enorme, pacifica rivolta
popolare che viene repressa nel sangue, ha il volto e le tonache di mille e
mille religiosi, monache e monaci. Una rivolta popolare per il progresso umano
che è promossa, voluta, guidata da una religione: così come è accaduto altre
volte in questo e in altri paesi. Bisognerà farlo sapere ai "maestri"
dell’"ateo-pensiero" oggi così in voga, Dawkins, Hitchens e
compagni, ai tanti loro devoti allievi nostrani, così zelanti nel predicare
"morte alle religioni, naturali nemiche del progresso", e pertanto
immancabilmente omaggiati a tutti i livelli, dalle librerie ai "talk
show", dai giornali alle manifestazioni "culturali" di piazza.
Come quel signore che, in una di queste manifestazioni settembrine, si è
piazzato a spiegare al popolo, come suole, che "cristiano" vuol dire
"cretino": lo ha fatto, con notevole "sprezzo" del ridicolo, in una
piazzetta dominata da uno splendido campanile trecentesco. Uno dei mille e mille
capolavori dovuti ad uno di quegli sconosciuti "cretini" che, nei
secoli, hanno fatto le basi e l’anima della nostra cultura. E che, del
progresso, come ancora ci sembra, è parte fondante.