L’invito
dei vescovi a «pregare per la pace»
e l’appello della "Federazione delle Chiese" al regime per la
«nonviolenza».
Cattolici in prima linea
per la democrazia a Myanmar
Da
Newh Delhi, Stefano Vecchia
("Avvenire",
2/10/’07)
I cattolici
birmani continuano a restare in prima linea nel reclamare democrazia. Dopo aver
invitato i cattolici birmani a pregare per la pace nel Paese, ieri è stato reso
noto un appello congiunto dei vescovi e della "Federazione delle
Chiese", che chiede alla giunta militare una «soluzione pacifica». Il
testo, che porta la data del 28 settembre, è firmato da monsignor
Charles Bo,
vescovo di Yangon e segretario della "Conferenza episcopale" e da Samuel
Mahn San,
presidente del "Consiglio delle Chiese birmane". L’appello è indirizzato al
generale Than Shwe, capo della giunta militare, ed invoca una «soluzione
pacifica» all’insegna della «nonviolenza».
Intanto la "Federazione delle Conferenze episcopali dell’Asia" (Fabc),
ha espresso «preoccupazione» per la situazione nel Paese asiatico, attraverso
un messaggio firmato da monsignor Orlando Quevedo, arcivescovo di Cotabato
(Filippine), segretario generale della Fabc. «Per conto della Fabc – scrive
monsignor Quevedo – esprimo tutta la nostra solidarietà nei confronti della
vostra situazione. Vi assicuro inoltre che abbiamo chiesto a tutte le
"Conferenze episcopali" di offrire preghiere e celebrazioni liturgiche
affinché possano terminare le violenze».
«Preghiamo – aggiunge – affinché i problemi nel vostro amato Paese vengano
risolti attraverso un dialogo pacifico in vista del bene comune ed è un
obiettivo che deve riguardare tutte le parti in causa». Dalle Filippine,
monsignor Fernando Capalla, arcivescovo di Davao, ha reso noto che la conferenza
congiunta tra la Chiesa cattolica e gli "ulema" musulmani ha inviato
un messaggio di solidarietà ai vescovi della Birmania.
Il portavoce della "Conferenza episcopale indiana", padre Joseph Babu,
nei giorni scorsi aveva sottolineato che la giunta militare birmana dovrebbe
rispettare i diritti umani e le aspirazioni democratiche della popolazione. La
solidarietà della Chiesa universale, e ancor più di quella del continente, non
potrà che sostenere i cattolici birmani in quella che è una prova difficile, e
non solo in quanto cittadini. Sono 450mila i cattolici, meno dell’1% della
popolazione di questo paese in stragrande maggioranza buddhista, circa un quarto
del totale dei cristiani. Inevitabilmente in quanto minoranza e in quanto
appartenenti a una religione spesso identificata con la dominazione europea,
sono sottoposti a restrizioni e controlli che, seppure meno soffocanti di un
tempo, permangono. Nei giorni dei cortei dei monaci, i cattolici si erano
apertamente dichiarati al loro fianco nel tentativo di trovare una via d’uscita
negoziata e pacifica dal lungo "tunnel" della repressione e della dittatura,
reclamando «democrazia».
Una prova di forza che vedesse in prima linea una piccola parte dei 400mila
monaci, referenti di 45 milioni di buddhisti (inclusi, per inciso, i "despoti" di
questo sfortunato Paese che non disdegnano di ricorrere alla pratica religiosa,
come pure alla "numerologia", alla "geomanzia" e agli
indovini secondo il caso, e i militari che non possono evitare di scandire la
propria vita secondo i riti della tradizione buddhista, o di versare le
elemosine rituali), si poteva immaginare. Ma per le minoranze religiose, come
pure quelle etniche, il regime ha sempre usato un peso, e una misura ben diversi
e per loro l’impegno è ancora più arduo.