Il 26
Giugno viene proclamato "Beato" Padre Clemente Vismara,
"Missionario" del "Pime" in Birmania (oggi Myanmar) per 65
anni,
morto nel 1988, a 91 anni.
A
cura della Redazione
("Missionari
del Pime", Giugno-Luglio 2011)
Chi era Padre Clemente Vismara? Lasciamo che si presenti da solo, con il "racconto" del suo "ingresso" nel 1920 al "Pime" di Milano...
Tornato a casa dopo
quattro anni di Vita
Militare –
un bel giovanotto, agile e sempre scherzoso, capelli lucidi, e ben ravviati, coi
"galloni" d’argento – mio Zio, con un risolino malizioso, mi
domandò: «Clemente, vai ancora a Prete?». «Come no?», fu la risposta!
Alla Stazione di Verona, circondato da una cinquantina di Compagni, venuti a
salutarmi, s’era parlato dello stesso argomento. «Che peccato che ti faccia
Prete!», dicevano loro. «Ma sei matto a metterti su quella via, proprio tu! Missionario,
poi, è cosa da pazzi! Vedrai che te ne pentirai...».
«Forse hanno ragione», pensavo io, «Vox Populi, Vox Dei!».
Il "grado" che coprivo dà diritto a rimanere nell’Esercito. La
posizione era fatta, vita allegra, soldi pochi, ma sufficienti, spensieratezza e
allegria... infinita! Che mi mancava? Forse ero pazzo davvero, a vestirmi di
nero?
Giunto a casa, il 19 Aprile, senz’altro dissi: «Io voglio farmi Missionario,
parto domani!». Capivo che, se fossi stato a ragionare senza dare un taglio
netto alle mie riflessioni, non sarei riuscito a decidermi!
«Ma aspetta almeno che ti confezioni la biancheria, non hai nemmeno un paio di
calzoni!». «No, no, io vado domani, non importa se entrerò all’Istituto
vestito da Militare!».
Povera la mia vecchia Zia! Altri tre miei Fratelli, sciolti dal Servizio
Militare, s’erano subito accasati, lontani da casa.
Rimanevo io! E i miei famigliari avevano riposto in me l’ultima loro speranza,
al punto che avevano già comperato il mobilio per la mia futura casa.
Con un "fardello" contenente due camicie e un paio di mutande, salii
sul "Tram" Numero 15 che portava in "Via Monterosa 81", all’"Istituto
delle Missioni Estere"
di Milano.
Sentivo un nodo alla gola. Mi nascosi sulla piattaforma posteriore del
"Tram" e... piansi! Ma chi mai mi spingeva sì forte? Forse non avevo
riflettuto bene. Forse sbagliavo! Forse, chissà... E con quel
"subbuglio" in cuore, mi presentai al Superiore Generale, che mi
accolse con un sorriso buono, ampio, dolce; era l’olio sulla ferita. Mi fece
accomodare, mi fissò in viso con due occhi penetranti, mi batté la mano sulla
spalla e, dopo un istante di silenzio d’ambo le parti, mi abbracciò, e con un
bacio, che ancora oggi mi par di sentire: «Coraggio, giovanotto – mi disse
– , tu mi sembri un "galantuomo"! Sarai Missionario!». Come mi
conosceva? Come lo poteva dire?
Quando ero al "Collegio Villoresi" di Monza, se si sapeva che qualcuno
dei Compagni intendeva farsi Prete, veniva deriso e canzonato da tutti... Io
Prete non mi sarei fatto mai!
( Da: "Mamma della Foresta", 1958 )