"Karen":
deportati e costretti ai lavori forzati
Devono
riparare strade e infrastrutture.
Tra di loro è presente anche una forte comunità di cristiani.
Da
Bangkok, Stefano Vecchia
("Avvenire",
16/12/’07)
Mentre il resto
del mondo, all’avvicinarsi del Natale, focalizza il suo interesse su doni e
buoni sentimenti, tra le risaie e le foreste dello Stato
"Karen", che
pure ospita una consistente comunità cristiana, questo è un tempo di paura, un
tempo in cui – con l’inizio della stagione secca – cresce la richiesta di
lavoro forzato da parte dell’esercito birmano.
In un rapporto diffuso tre giorni fa, il «Karen
Human Rights Group»
indica un ritorno periodico del lavoro forzato. La pratica di "rastrellare" gente
nei villaggi per adibirla a manovalanza non retribuita a servizio dei militari
indica anche, purtroppo, un ritorno alla normalità della situazione dopo le
proteste dell’estate e la repressione.
Manutenzione delle strade, costruzione o riparazione di edifici militari,
trasporto di generi alimentari e attività domestiche sono affidate a persone
terrorizzate che, in caso di rifiuto, rischiano maltrattamenti e carcere. «La
persistenza del lavoro forzato nelle aree rurali dovrebbe servire ad indicare
chiaramente alla comunità internazionale ciò che la giunta militare birmana
considera normalità nel Paese», conclude il rapporto.
«Quando le strade si asciugano a sufficienza, reparti dell’esercito passano
di villaggio in villaggio per raccogliere manodopera da impiegare nella raccolta
di paglia e bambù, nella pulizia delle strade e nella manutenzione dei campi
militari, nel taglio di piante e nella distribuzione delle razioni. Inoltre –
ironia della sorte per una minoranza da decenni in guerra contro il regime che
governa l’ex Birmania
– elementi locali vengono utilizzati per verificare la sicurezza delle strade
e come sentinelle, di giorno come di notte. Tutto lavoro forzato, ovviamente»,
sostiene ancora il rapporto di "Khrg".
Secondo le testimonianze raccolte nei villaggi, i militari non distinguono in
base a età o sesso, imponendo le stesse attività a giovani e anziani, come
pure alle donne. La pratica del lavoro forzato non è limitata ovviamente al
solo Stato "Karen", ma è diffusa un po’ ovunque e serve a garantire
a costo zero abbondante manodopera per le necessità di supporto dell’esercito,
in particolare nelle sue campagne periodiche contro le minoranze, e per opere
come il nuovo aeroporto di Mandalay o la nuova capitale Naypyidaw, che sono
insieme simboli delle "velleità" del regime e un affronto alla povertà e degrado
in cui la ricca Birmania è stata trascinata. Inoltre, proprio la pratica del
lavoro forzato favorisce e accompagna una serie di gravi abusi - dalla violenza
sulle donne alla distruzione dei raccolti o di interi centri abitati come
ritorsione per un rifiuto, all’arruolamento dei minori - più volte denunciati
all’interno e all’estero.
Il lavoro di "Khrg", come quello di molti altri gruppi presenti nel
Paese ma che faticano a fare sentire la loro voce all’estero, serve anche per
ricordare alla comunità internazionale che, mentre l’attenzione dei
"mass media" è concentrata su Yangoon (l’ex Rangoon) e i suoi
dintorni, su una attività diplomatica di grande impegno ma di pochi risultati,
il Myanmar
rurale, che accoglie i tre quarti della popolazione complessiva, continua a
soffrire nella morsa della giunta.