LA STORIA

«New Humanity» a fianco delle associazioni locali.

RITAGLI    "Ong", una speranza per il Myanmar    BIRMANIA

"Eden" è un centro che si occupa di bimbi disabili.
«Senza di noi, non avrebbero alcuna prospettiva».

Chiara Zappa
("Mondo e Missione", Novembre 2007)

Sono un piccolo esercito, armato soltanto - in un Paese che da decenni è governato da una giunta militare - di impegno, fiducia incrollabile, determinazione. Lavorano, per paghe risicate e qualche volta volontariamente, a favore di bimbi di strada, disabili, anziani, per difendere l’ambiente e tutelare le fasce più deboli della loro Birmania.
In Occidente non si sa, ma gli operatori impegnati in "ong" locali, nell’attuale
Myanmar, sono migliaia. Muovendosi con attenzione tra le maglie della delicata ragnatela costruita in 45 anni dalla giunta militare al potere, offrono quotidianamente servizi, sostegno concreto - in una parola speranza - al proprio popolo: 52 milioni di persone di cui il 25 per cento sopravvive con meno di un dollaro al giorno.
«Se non ci fossimo noi, i ragazzi disabili di Yangon non avrebbero alcuna possibilità di ottenere cure, riabilitazione e un minimo di speranza per il loro futuro», racconta Lilian Gyi, piccola quanto decisa signora birmana che dirige il
"Centro Eden" per bambini con disabilità, nella periferia della ex capitale. Sebbene non esistano statistiche sull’argomento, si calcola che nella «Terra dorata» circa il 10 per cento della popolazione sia affetta da qualche tipo di handicap, mentre i disabili fisici sarebbero oltre un milione. Per tutti loro, nel Paese esiste soltanto una scuola speciale gestita dal governo. E poi, dal 2000, c’è il "Centro Eden", prima struttura privata nel settore, che si prende cura, in sede o a domicilio, di oltre 150 ragazzi, «che aumentano ogni giorno, a riprova delle enormi necessità», precisa la signora Gyi. «L’obiettivo dei nostri interventi, dalle attività in istituto ai programmi educativi in casa alla partecipazione a iniziative sportive e ricreative, puntano, oltre alla riabilitazione, a rendere i ragazzi disabili il più possibile autonomi, consapevoli del contesto in cui vivono e partecipi alla vita della società».
Una società che, fino a pochi anni fa, emarginava questi giovani cittadini, facendoli letteralmente «scomparire»: le famiglie li tenevano chiusi in casa, isolati, addirittura - nelle zone più arretrate - li abbandonavano. «Anche oggi, a volte, i bimbi colpiti da handicap hanno difficoltà a frequentare i coetanei», racconta ancora Gyi, «ma qualcosa sta cambiando, c’è una nuova consapevolezza sulla disabilità». Anche grazie all’impegno di "Eden", che continua a investire in programmi di sensibilizzazione rivolti non solo alla società in generale, ma alle famiglie toccate dall’handicap e agli stessi malati. «Oggi, finalmente, i genitori dei nostri ragazzi hanno cominciato a collaborare con noi e i disabili non si sentono più solo "ricevitori di servizi" ma iniziano a prendere in mano la propria vita: alcuni hanno creato organizzazioni di "mutuo aiuto", mentre cinque portatori di handicap ora lavorano per "Eden"». A prova che il cambiamento può partire dall’interno.
Una convinzione condivisa da alcune realtà internazionali che operano in Myanmar, come
"New Humanity", tra le prime "ong" italiane a lavorare nel Paese. «In tutti i nostri progetti cerchiamo di avere partner locali, più o meno strutturati», spiega Chiara Cattaneo, referente per il Myanmar di "New Humanity", che collabora tra l’altro con "Eden" (anche attraverso adozioni a distanza dei piccoli ospiti del "Centro") e opera in vari settori strategici: dalla formazione professionale all’assistenza sanitaria, dal "microcredito" allo sviluppo agricolo. «Anche quando interveniamo con progetti nei villaggi più isolati, dove non esistono realtà associative organizzate, promuoviamo sempre la creazione di comitati di cittadini che prendano in gestione alcuni aspetti delle attività, per stimolare la partecipazione». Una scelta che all’inizio è stata anche di natura pratica, «visto che ci trovavamo a dover lavorare in settori diversi e all’interno di un contesto culturale molto differente dal nostro, e dunque avevamo bisogno di qualcuno che ci aiutasse a comprendere i bisogni e l’ambiente», spiega Cattaneo. Ma questo approccio «rappresenta anche un modo per promuovere la società civile birmana, nella forma di associazioni o singoli che hanno deciso di impegnarsi in prima persona». Le "partnership" tra gruppi locali e "ong" estere non solo rispondono alle necessità di realtà che hanno assoluto bisogno di supporto materiale per sopravvivere, ma rappresentano anche un modo per dare più forza, autonomia e credibilità a queste stesse realtà nei confronti del governo. Ecco perché mettersi in "rete" - sia con "partner" stranieri ma anche con altre associazioni birmane - per aumentare il proprio «peso specifico», oltre che per condividere esperienze e linee d’azione, è una strategia molto diffusa nel Paese. Senza contare che entrare in un circolo sempre più allargato di conoscenze - e di possibili finanziatori - può essere vitale in un contesto di estrema carenza di risorse. Eppure sostenere l’opera delle "ong" birmane - anche dall’Italia, magari proprio attraverso donazioni o adozioni a distanza - non equivale a un puro gesto di "carità", ma vuol dire «incentivare l’autodeterminazione di un popolo intero e restituirgli la possibilità di fare qualcosa per il proprio Paese», conclude Cattaneo. «Ecco perché la nostra priorità, anche per il futuro, è lavorare sempre più sulla formazione del capitale umano. In altre parole, cerchiamo di sostenere uno sviluppo che venga dall’interno».
Sono oltre 120 le "ong" locali che operano in Myanmar. In grandissima maggioranza basate a Yangon, si occupano di tutte le aree di bisogno del Paese, dalle emergenze sanitarie fino alla difesa delle foreste. Spicca, tra le priorità di intervento, quella dei bambini e adolescenti in difficoltà, ma le organizzazioni birmane gestiscono numerosi progetti anche nel settore sanitario e delle povertà in generale, con particolare attenzione alla categoria femminile.
Notevolmente trascurate, al contrario, le aree dell’handicap e degli anziani, mentre ricorrono con frequenza peculiare le realtà impegnate, in modi diversi, nella tutela dell’ambiente. Varie di queste "ong", che operano in una relativa indipendenza dal governo, hanno un’appartenenza religiosa più o meno esplicita. Nell’elenco riportato sul sito
www.ngoinmyanmar.org figurano anche una quindicina di monasteri buddhisti, che uniscono alla formazione religiosa un’opera di assistenza educativa, medica e sociale nei confronti degli orfani e dei minori in difficoltà. Nel Paese sono presenti poi 93 "ong" internazionali, oltre a dodici agenzie delle "Nazioni Unite".