Tornata in "carcere" Aung San Suu Kyi, "Nobel per la Pace"

RITAGLI     La ridicola "dittatura" trema     BIRMANIA
per la forza dell’"esile" donna

AUNG SAN SUU KYI: "Premio Nobel per la Pace", agli arresti domiciliari in Birmania!

Gerolamo Fazzini
("Avvenire", 15/5/’09)

Da ieri Aung San Suu Kyi, la "donna-simbolo" dell’"opposizione" al "regime militare" birmano, è di nuovo in prigione. L’ennesimo atto di prepotenza di un potere violento e "totalitario" contro una donna "fragile", in condizioni fisiche "precarie", ma per nulla disposta ad arrendersi nella sua lotta per la libertà e la "democrazia". Ufficialmente l’ultimo "provvedimento" è stato adottato per punire la San Suu Kyi dell’intrusione di un cittadino americano nella sua abitazione. Ma, stando a informazioni raccolte dall’Agenzia «AsiaNews», tanto il "fermo" del cittadino americano che l’ha visitata quanto l’arresto del suo medico personale sarebbero legati all’imminente "scadenza" (il 27 Maggio) dei termini di "custodia" dell’"attivista" birmana. Di qui la mossa del "regime" per mantenerla agli "arresti domiciliari". Quel che stupisce di più in questa vicenda è l’ostinazione del "regime" contro una donna messa da anni in condizioni di assoluta "impotenza".
Aung San Suu Kyi ha trascorso 13 degli ultimi 19 anni agli "arresti domiciliari".
Non può gestire contatti con l’esterno. Vive "blindata". Pochissime persone, fra cui il suo medico, sono autorizzate ad avvicinarla. Perché mai il "regime" dovrebbe temerla? Probabilmente sono due le ragioni. La prima è che la Aung San Suu Kyi rappresenta il volto di gran lunga più noto della composita "galassia" di "oppositori" al "regime". Se tanti hanno pagato un prezzo alto per la loro resistenza allo "strapotere" dei "militari", è il suo volto asciutto e "levigato" che tutti conoscono. È in lei, "Premio Nobel per la Pace" nel 1991, che il mondo riconosce il "simbolo" della lotta del popolo della
Birmania (che i "militari" hanno voluto ribattezzare "Myanmar"). A lei – che ha respirato "politica" fin da piccola e che ha avuto la fortuna di un’educazione "cosmopolita" – prestigiose "Università" di tutto il mondo assegnano riconoscimenti e lauree "honoris causa". A lei (e alla "battaglia" che incarna) diverse "band" mondiali hanno dedicato canzoni. Per quanto "blindata", dunque, agli occhi dei "militari" la "farfalla d’acciaio" – come l’hanno chiamata – è pericolosa perché semplicemente esiste. E perché, dopo anni di un’esistenza tranquilla in Gran Bretagna come moglie di uno "studioso" e madre di due figli, ha assunto in prima persona la "causa" del popolo birmano.
Ma vi è un’altra ragione. Aung San Suu Kyi è il "simbolo" di una folta schiera di "detenuti politici" in Myanmar, composta da "monaci buddhisti", membri del "Nld", il partito di "opposizione", ed esponenti di "Generazione 88", il "movimento non violento" sorto dalle "proteste di piazza" di vent’anni fa. Dall’autunno scorso più di 350 "attivisti" sono stati arrestati e, in molti casi, trasferiti in luoghi isolati. La "detenzione" di Aung San Suu Kyi ("illegale" persino secondo l’"ordinamento giuridico" del Myanmar, come denunciato dall’
"Onu") è quindi un "messaggio" esplicito a tutti costoro e a quanti vorrebbero rovesciare una "dittatura" che dura dal lontano 1962.
Un invito alla calma, a non disturbare il "manovratore".
La "comunità internazionale", alle prese con tanti fronti di "crisi", non può far finta di non vedere. Non può dimenticare Aung San Suu Kyi e il popolo birmano e il suo destino.
Specie dopo le numerose manifestazioni di "solidarietà" dei mesi scorsi. E pure
Obama – che in questi mesi ha provato a misurarsi in modo nuovo con "personaggi politici" a dir poco "spigolosi" (da Chavez a Castro, per arrivare ad Ahamadinejad) – è chiamato oggi a raccogliere la "sfida".