Diritti "negati" e nuove "minacce"

RITAGLI     Forse ora il mondo     BIRMANIA
saprà tenere gli occhi aperti

AUNG SAN SUU KYI: "Premio Nobel per la Pace", agli arresti domiciliari in Birmania!

Gerolamo Fazzini
("Avvenire", 23/7/’09)

È capitato al Tibet, sta accadendo al Myanmar oggi: due nazioni vittime di altrettanto dure "repressioni militari", assurte a notorietà internazionale grazie (anche) al ruolo politico e "mediatico" di "figure-simbolo": là il Dalai Lama, qui Aung San Suu Kyi.
Il punto è che, in entrambi i casi, l’attenzione della "comunità internazionale" su queste terre (e sui popoli che le abitano) si piega spesso al vento delle emozioni e obbedisce – più che a una "strategia" di lungo respiro – ai sussulti della "cronaca". Il risultato è che i "regimi" che stanno dietro le quinte non hanno certo la sensazione di un "pressing" costante e convinto della "diplomazia" mondiale. Come la simpatia che universalmente circonda il Dalai Lama non ha incrinato la "prepotenza" di
Pechino, nemmeno le manifestazioni di "solidarietà" per Aung San Suu Kyi o per i "monaci buddhisti" che protestavano marciando a piedi scalzi hanno intenerito il cuore dei militari birmani. Cambierà qualcosa, per l’ex Birmania, oggi che gli Stati Uniti si dicono preoccupati dalla minaccia di un trasferimento di "tecnologia nucleare" dalla Corea del Sud al "regime" del Myanmar? È presto per dirlo. Quanto dichiarato ieri dal Segretario di Stato "Usa", Hillary Clinton, giunta in Thailandia per il vertice "Asean", tuttavia, lascia sperare. Autorizza a immaginare che, ad un’attenzione intermittente, quando non "episodica", alla situazione birmana, si sostituisca finalmente un "monitoraggio" più rigoroso ed efficace, in nome della sicurezza.
Le premesse per inserire il Myanmar nell’elenco dei "sorvegliati speciali" ci sono tutte. Dalle immagini "satellitari" sarebbe emerso che i militari birmani stanno costruendo, con l’appoggio della
Corea del Nord, una fitta rete di "tunnel blindati" e "rifugi militari" in varie zone del Paese, il che alimenta il sospetto che il "regime" nord-coreano abbia in animo di fornire "tecnologia nucleare" ai Generali birmani. Di qui la crescente "allerta" americana.
Dopo la nascita di inedite alleanze "strategico-militari" (tra
Venezuela e Iraq, tra Cina e Zimbabwe e Sudan, Paesi che Washington, seppur con toni diversi dal passato, continua a considerare "pericolosi"), sta per nascere un nuovo "asse del male"?
Ieri la Clinton è sembrata prudente: pur lanciando uno spigoloso "Sos", ha spiegato che gli Stati Uniti non escludono di adottare una posizione "costruttiva" con la Birmania se presterà ascolto alle richieste della "comunità internazionale": liberazione dei "prigionieri politici" (sono oltre 2.000 gli "attivisti" imprigionati nelle carceri birmane) e fine della violenza contro la popolazione. Ben venga, dunque, un controllo più diretto e severo della politica del Myanmar. Anche perché – duole constatarlo – le "sanzioni" imposte dalla "comunità internazionale" non hanno colpito la "giunta militare", che continua ad essere foraggiata da Paesi che non rispettano il "boicottaggio" imposto da "Usa" e
"Unione Europea".
Il vero interrogativo irrisolto, sotto questo profilo, è però legato al ruolo della Cina. L’87 per cento degli "investimenti" esteri in Myanmar (che hanno conosciuto un’impennata nell’ultimo anno) sono figli dell’iniziativa di Pechino. Anche
Russia, Vietnam e Thailandia fanno buoni affari con i Generali, ma è la Cina il vero "partner" economico e politico su cui il "regime" birmano fa affidamento. Senza un cambiamento radicale nella disinvolta "politica internazionale" di Pechino, anche le buone intenzioni "Usa" rischiano di rimanere tali.